Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33674 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. III, 18/12/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 18/12/2019), n.33674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 1432-2017 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CALTANISSETTA EX AZIENDA USL N

(OMISSIS) DI CALTANISSETTA, in persona del Direttore Generale e

Legale Rappresentante pro tempore Dott. I.C.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28/S, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PIETRO RABIOLO;

– ricorrente –

contro

FARMACIA B. D.SSA M.C. in persona della titolare

omonima Dott.ssa B.M.C., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA E. MANFREDI, 11, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

VALENTI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA TERESA CONSAGA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2016 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 20/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e in via

subordinata chiede la rimessione al 1 Presidente per valutazione;

udito l’Avvocato ROSARIO ALESSI per delega;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20/6/2016 la Corte d’Appello di Caltanissetta ha respinto il gravame interposto dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta (già Azienda UsL n. (OMISSIS) di Caltanissetta) in relazione alla pronunzia Trib. Caltanissetta 22/4/2010, di cessazione della materia del contendere relativamente alla domanda in origine monitoriamente azionata dalla Farmacia B. Dott.ssa M.C. di pagamento di somma a titolo di corrispettivo per prestazioni effettuate sulla base di convenzioni stipulate ai sensi della L. n. 833 del 1978, artt. 43 e 48 e di accoglimento della domanda di corresponsione degli interessi D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5 (di recepimento della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso la Farmacia B. Dott.ssa Maria Concetta. Con conclusioni scritte del 18/10/2018 il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Già chiamata all’udienza camerale del 21/11/2018, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “erronea e falsa applicazione” del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto applicabile la disciplina D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5 laddove “i rapporti tra le farmacie e le Aziende Sanitarie Provinciali sono regolati da una disciplina giuridica che è rinvenibile in disposizioni di… rango” diverso da accordi negoziali, in quanto “con D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371 è stato reso esecutivo il tuttora vigente accordo collettivo nazionale relativo alla disciplina dei rapporti tra il S.S.N. e le farmacie, accordo siglato l’08/08/96 e modificato il 3/4/97”.

Lamenta che l’applicabilità degli interessi D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5 “è preclusa dall’operatività piena dell’art. 11 medesimo D.Lgs.”, in base al quale la disciplina da esso dettata non si applica “ai contratti conclusi prima dell’08 agosto 2002”.

Con il 2 e il 3 motivo denunzia “erronea e falsa applicazione” del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito erroneamente ritenga “che l’applicazione al caso in specie del D.Lgs. n. 231 del 2002 costituisca una disciplina di maggior favore rispetto al D.P.R. n. 371 del 1998 per il creditore farmacista, ed in quanto tale ritiene legittima la sua applicazione”.

Va anzitutto osservato che in ordine alla fonte dei rapporti tra il Servizio Sanitario Nazionale e le farmacie pubbliche e private, e in particolare alla relativa riconducibilità al paradigma della transazione commerciale, e conseguentemente in ordine all’applicabilità ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, non sussiste un orientamento interpretativo uniforme.

Ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2, i rapporti tra le Aziende Sanitarie e le farmacie sono disciplinati da “convenzioni di durata triennale conformi agli Accordi collettivi nazionali stipulati a norma della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9 con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale” (così Cass., 8/3/2017, n. 5796).

L’Accordo collettivo applicabile è quello recepito con D.P.R. n. 371 del 1998, tuttora in vigore stante la proroga dei relativi effetti (art. 18, comma 2), non essendo allo stato ancora intervenuto un nuovo Accordo collettivo nazionale (v. Cass., 12/2/2019, n. 3968).

Come questa Corte ha avuto più volte modo di porre in rilievo, nel sistema vigente i farmacisti erogano l’assistenza farmaceutica per conto del Servizio Sanitario Nazionale mediante vendita di farmaci e medicinali il cui costo viene ai medesimi rimborsato periodicamente dall’Azienda Sanitaria di competenza, previa trasmissione delle relative ricette.

In caso di ritardo nel pagamento delle prestazioni farmaceutiche da parte delle Aziende Sanitarie, si tratta in particolare di verificare se gli interessi sono a questi ultimi dovuti al tasso legale ex art. 1284 c.c. ovvero al tasso speciale indicato al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5.

In termini più generali, si è da questa Corte sottolineato che il D.Lgs. n. 231 del 2002 ha introdotto una particolare forma di interessi, i c.d. “interessi moratori”, caratterizzati da un saggio d’interesse più elevato (e pertanto maggiormente satisfattivo per il creditore) di quello legale da applicarsi in caso di mancato rispetto dei termini di pagamento delle fatture nelle transazioni commerciali.

Si è al riguardo sottolineato che la nozione di transazione commerciale, di ispirazione comunitaria, deve – in assenza di limitazioni – essere intesa in senso lato, come ricomprendente i contratti (comunque denominati) tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni comportanti – in via esclusiva o prevalente – la consegna di merci o la prestazione di servizi (di tutte le prestazioni di servizio, e pertanto anche i contratti di utilizzazione di beni collegati o connessi ad un rapporto commerciale) verso il pagamento di un corrispettivo (v. Cass., 28/2/2019, n. 5803).

Si è ulteriormente evidenziato che in caso di prestazioni erogate da strutture private accreditate con lo Stato il diritto di queste ultime alla corresponsione da parte del soggetto pubblico degli interessi di mora nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002 sorge solo allorquando tra l’ente pubblico competente e la struttura sia stato concluso, in data successiva all’8 agosto 2002, un contratto avente forma scritta a pena di nullità con il quale l’ente abbia assunto l’obbligo di pagamento, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, di determinate prestazioni di cura erogate dalla struttura privata (v. Cass., 11/10/2016, n. 20391).

Si è altresì posto in rilievo che il sistema dell’accreditamento, quale regime regolante i rapporti con le strutture sanitarie private, è stato introdotto in luogo di quello in precedenza basato su convenzione, in tal modo venendo ad attuarsi l’equiparazione tra strutture pubbliche e private, purchè dotate di requisiti minimi e uniformi (correlativamente riconoscendo il diritto del fruitore a scegliere liberamente tra le strutture sanitarie accreditate quella a cui rivolgersi), e, per altro verso a conformare l’accreditamento quale provvedimento amministrativo riconducibile al genus delle concessioni di pubblico servizio (v. Cass., 11/10/2016, n. 20391).

A tale stregua, il regime di accreditamento viene disciplinato legislativamente dalle Regioni, nel rispetto dei principi fissati dalle leggi statali (attenendosi in particolare al quadro delineato dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 bis, 8 ter, 8 quater e 8 quinquies (inseriti D.Lgs. n. 229 del 1999, dall’art. 8, comma 4, le leggi regionali delineano – senza significative diversità – un regime definito delle 3 A: autorizzazione, accreditamento, accordo (v. Cass., 11/10/2016, n. 20391)), e (come nel previgente regime convenzionale di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 44) i rapporti tra le AUSL e le strutture sanitarie sono regolati da concessioni di pubblico servizio, laddove il pagamento da parte delle Aziende Sanitarie Locali delle prestazioni rese dai soggetti privati accreditati va effettuato in base a quanto previsto in appositi Accordi contrattuali (così, da ultimo, Cass., Sez. Un., 20/6/2012, n. 10149; Cass., Sez. Un., 3/2/2014, n. 2291; Cass., Sez. Un., 13/2/2007, n. 3046).

Essendo ai fini della qualifica di erogatore del servizio D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 8 (come integrato dalla L. n. 724 del 1994, art. 6) necessario un provvedimento concessorio di accreditamento, non può dunque porsi a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali intesi a regolare il volume massimo delle prestazioni erogate, i requisiti del servizio e l’ammontare dei corrispettivi dovendo in ogni caso escludersi ai sensi del D.Lgs. n. 502, art. 8 quinquies che possano validamente concludersi Accordi contrattuali per facta concludentia, giacchè R.D. n. 2440 del 1923, ex artt. 16 e 17 tutti i contratti con la P.A. debbono essere a pena di nullità redatti in forma scritta (v. Cass., 3/6/2014, n. 12392).

Avendo il contratto ad oggetto l’attività da svolgersi dalla struttura privata per il Servizio sanitario in favore del fruitore del servizio sanitario pubblico, nonchè la determinazione del corrispettivo all’uopo previsto a carico dell’ente; e poichè il fruitore non è parte del contratto, bensì il soggetto in favore del quale esso è stipulato, sicchè esso va qualificato come contratto in favore di terzi ad esecuzione continuata e a prestazioni corrispettive, si è da questa Corte affermato che il medesimo è senz’altro riconducibile alla nozione di transazione commerciale posta dal citato D.Lgs. n. 231 del 2002, quale contratto tra un’impresa e la P.A. comportante la prestazione di servizi (a favore di terzi) a fronte del pagamento di un corrispettivo (v. Cass., 11/10/2016, n. 20391).

Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, l’Accordo in questione reca una disciplina convenzionale specifica ed autonoma di tutta la materia relativa al completo ristoro spettante al creditore in caso di ritardato pagamento da parte dell’Azienda Sanitaria dell’obbligazione pecuniaria nascente dall’erogazione dei medicinali agli assistiti dal SSN, prevedendo in particolare che, in caso di ritardato pagamento, al farmacista non spettano interessi moratori superiori al tasso legale.

A tale stregua, il sistema convenzionale attualmente vigente in materia si sottrae invero alla valutazione di grave iniquità dell’Accordo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 7 non perseguendo la finalità di procurare alla PA debitrice liquidità aggiuntiva, e determinando un riequilibrio della situazione in favore della farmacia creditrice (v. Tar Lazio, 12/2/2004).

L’Accordo nazionale recepito con D.P.R. n. 371 del 1998 esclude pertanto l’applicabilità della disciplina ex D.Lgs. n. 231 del 2002 (di natura meramente dispositiva) alle prestazioni farmaceutiche.

Si è precisato che i suindicati principi valgono anche per le prestazioni farmaceutiche come nella specie effettuate in epoca successiva all’8 agosto 2002, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2002, rappresentando esse pur sempre adempimento parziale dell’unico rapporto obbligatorio sorto tra le Aziende sanitarie e le farmacie e regolamentato dall’Accordo nazionale recepito con D.P.R. n. 371 del 1998 (v. Cass., 12/2/2019, n. 3968).

In altra occasione, nella ritenuta estraneità dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle AsI al paradigma della transazione commerciale e riconducibilità viceversa del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, e cioè al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2, e al relativo Regolamento, questa Corte è diversamente pervenuta a negare l’applicabilità del saggio d’interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 (v. Cass., 8/3/2017, n. 5796).

Argomentando dalla norma D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 7 in tema di nullità, si è sostenuto che la disciplina posta da tale decreto legislativo è disciplina dell’atto, e non del rapporto, e che l’attuazione della Direttiva ha invero riguardo non già “ai fatti che si verificano nel corso del rapporto (le singole erogazioni del prodotto nell’ambito della somministrazione…), ma alla fonte costitutiva del rapporto” (così Cass., 8/3/2017, n. 5796).

Si è a tale stregua affermato che la fonte del rapporto è nel caso propriamente da ravvisarsi non già in un negozio bensì nel regolamento che ha reso esecutivo l’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private, concludendosi che “il rapporto che si instaura fra il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la farmacia in occasione dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica non ha natura di transazione commerciale perchè trattasi di rapporto la cui disciplina non è affidata al contratto, ma alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l’accordo collettivo nazionale stipulato in base ed in conformità alla legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2)”.

Si è sostenuto trattarsi di “rapporto sottratto alla autonomia privata nell’intendimento del legislatore in forza della natura del fenomeno, che è erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto dell’Azienda Unità sanitaria locale”, altresì sottolineandosi che “Il Servizio sanitario nazionale garantisce l’assistenza farmaceutica in favore della popolazione mediante la rete delle farmacie distribuite sul territorio (le quali sono titolari di una concessione di pubblico servizio)”, erogando “come prevede l’art. 28 Legge Istitutiva del Ssn (L. n. 833 del 1978), l’Usl (oggi Asl)… l’assistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari enti pubblici e le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte convenzionate” con il Ssn. “; che la “cessione dei medicinali e degli altri prodotti di interesse sanitario avviene attraverso i principi e le norme che disciplinano il funzionamento del Ssn”, sicchè trattasi “di attività disciplinata quanto ai principi dalla legge, e nel dettaglio, sulla base di tali principi, dal regolamento amministrativo che recepisce l’accordo collettivo nazionale cui la legge rinvia”; che “mentre rientra nella comune area contrattuale l’ordinaria vendita al pubblico di medicinali prevista dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 122 testo unico delle leggi sanitarie, è sottratta all’area della negoziazione privata l’erogazione della assistenza farmaceutica per conto delle Asl”, che ” in questo quadro della disciplina ex lege del rapporto trova posto il divieto di riconoscere interessi superiori quelli legali, che è previsione contemplata al livello dei principi legislativi, ancor prima che di regolamento”.

Si è ulteriormente posto in rilievo come emerga “qui la differenza con le fattispecie di Cass. 14 luglio 2016, n. 14349 e di Cass. 11 ottobre 2016, n. 20391, nelle quali è stata ritenuta in astratto applicabile, salvo le circostanze del caso, al rapporto fra la struttura sanitaria accreditata nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il soggetto pubblico la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002. La fonte del rapporto è in tal caso l’accordo contrattuale, e dunque configurabile è la transazione commerciale”.

Se ne è quindi tratto, quale corollario, che diversamente dal rapporto sussistente tra il SSN e la struttura sanitaria accreditata, il quale ha fonte in un contratto, il rapporto tra il SSN e la farmacia pubblica o privata non ha invero fonte negoziale, sicchè non può trovare applicazione il saggio d’interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002.

Si è ulteriormente affermato che il tasso di interesse di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 8 non è applicabile ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle ASL in quanto l’attività di dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici svolta dal farmacista in esecuzione del rapporto concessorio con l’Azienda Sanitaria Locale, essendo intesa a realizzare – quale segmento del Servizio Sanitario Nazionale -l’interesse pubblico della tutela della salute collettiva, ha natura pubblicistica, non potendo essere pertanto inquadrata nel paradigma della transazione commerciale di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2, comma 1, lett. a), (v., da ultimo, Cass., 10/4/2019, n. 9991).

Atteso il suindicato contrasto interpretativo venuto a delinearsi in argomento, e trattandosi comunque di questione di massima di particolare importanza, si appalesa la necessità, e comunque l’opportunità, della rimessione della causa al Primo Presidente della Corte, per l’eventuale relativa assegnazione alla Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte dispone la trasmissione del ricorso al Primo Presidente ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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