Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3367 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 11/02/2011), n.3367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24323-2007 proposto da:

B.R., S.P., C.P., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 131, presso lo

studio dell’avvocato SERRA IGNAZIO, rappresentati e difesi dagli

avvocati PILLI ROMANO, FERRADINI GUIDO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1045/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/09/2006 R.G.N. 818/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato FERRADINI GUIDO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega GIUSEPPE SIGILLO’ MASSARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

B.R., C.P. e S.P., licenziati da Poste italiane s.p.a. a seguito della procedura di licenziamento collettivo iniziata con una comunicazione del 25 giugno 2001, hanno impugnato il licenziamento deducendo vari profili di illegittimità (violazione degli obblighi di comunicazione iniziali e finali della procedura; illegittimità del criterio di scelta concordato fra le parti collettive; inesistenza degli esuberi posti a base della procedura).

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Pisa e la sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Firenze.

Per quanto rileva in questa sede la Corte d’Appello ha motivato la propria decisione richiamando testualmente una propria precedente sentenza resa su questione analoga ed affermando, conclusivamente, che tutte le argomentazioni della precedente sentenza, da condividere pienamente, davano completa risposta a tutti i motivi di impugnazione dedotti dagli appellanti.

Di questa sentenza viene chiesta la cassazione con ricorso per due motivi. Poste italiane s.p.a. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con i due motivi di ricorso unitariamente trattati è denunziata nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost. nonchè nullità della sentenza per omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Si sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe in sostanza esaminato le censure degli appellanti perchè non avrebbe effettuato alcun collegamento fra dette censure e la motivazione della sentenza richiamata. In tal modo essa avrebbe superato i limiti entro i quali è consentita la motivazione mediante il richiamo di altra decisione analoga, che non può essere effettuato in modo acritico e senza specifici collegamenti con la fattispecie da decidere.

li motivo è infondato.

Il giudice d’appello, nella parte narrativa della sentenza ha riferito che gli appellanti, ora ricorrenti, avevano censurato la sentenza del primo giudice per violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 non essendo stato fornito, a loro avviso, alcun dato circa la collocazione aziendale degli esuberi presso i singoli uffici locali e non essendo stati richiamati i diversi profili professionali a cui tali esuberi erano riferibili.

Essi avevano dedotto altresì l’insufficienza della indicazione della mera categoria professionale senza ulteriore indicazione e individuazione dei profili professionali dei lavoratori in esubero, sostenendo che la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità era avvenuta solo ed esclusivamente in ragione della loro anzianità contributiva, quando invece avrebbe dovuto seguire la preventiva individuazione dei lavoratori in eccedenza.

Infine, essi avevano censurata la mancata comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro e alle organizzazioni sindacali delle specifiche modalità con le quali la società aveva individuato i lavoratori da licenziare predisponendo a tal fine una sorta di graduatoria, laddove la società si era limitata a comunicare un elenco dei licenziandi, omettendo le “concrete modalità” previste dalla legge.

La prima censura trova ampia risposta nelle pagine da 15 a 17 della sentenza impugnata, dove la Corte, dopo aver svolto una serie di considerazioni di carattere generale circa la comunicazione di avvio della procedura di mobilità, esprime il suo specifico punto di vista sul problema della indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedentario.

Alla seconda censura la Corte territoriale risponde (vedi, in particolare, pagina 23 della sentenza) affermando in sostanza la piena ragionevolezza e la obiettiva non discriminatorietà della prossimità alla pensione quale criterio di scelta pattiziamente individuato.

Infine, in coerenza con tale punto di vista, il giudice di merito (v.

pagg. 23 e 24 della sentenza) ritiene che, considerata l’unicità del criterio di scelta, la comunicazione dell’elenco dei licenziandi sia sufficiente per ritenere assolto l’onere imposto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, e risponde così all’ultima delle censure degli appellanti.

Quindi l’affermazione conclusiva contenuta nella sentenza, secondo la quale le argomentazioni della sentenza richiamata rispondono a tutti i motivi impugnazione dedotti dagli appellanti, non è mera formula di stile ma corrisponde effettivamente, in sostanza, ai contenuti della sentenza richiamata, senza che tale conclusione possa esser messa in dubbio dalle inevitabili leggere difformità fra le vicende rispettivamente esaminate.

La Corte territoriale ha quindi operato nei limiti del principio secondo cui la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione dei rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante, fermo restando che in forza di un principio generale dell’ordinamento, desumibile dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, per gli atti amministrativi (e valido, a maggior ragione, in forza dell’art. 111 Cost., per l’attività del giudice) il rinvio va operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione “per relationem”. (Cass. 13937/2002, che nella specie, ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimo il provvedimento di trasferimento di un lavoratore, la cui inosservanza aveva poi dato luogo a licenziamento, motivando con un rinvio assolutamente generico a precedenti pronunce, rese anche dal medesimo organo giudicante in controversie analoghe, neppure identificate nei loro estremi; conf.

Cass. 11126/2003; 979/2009).

In conclusione, il ricorso deve esser rigettato con condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna le parti ricorrenti alle spese in Euro 35,00 per esborsi e Euro 3000 per onorari, oltre ad IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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