Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33659 del 28/12/2018

Cassazione civile sez. un., 28/12/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 28/12/2018), n.33659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di sez. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Anonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9768-2017 proposto da:

C.M.A., S.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la signora ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONELLO ROSSI;

– ricorrenti –

contro

A.M., B.M., AGENZIA LAORE, ARGEA SARDEGNA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 820/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

21/02/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/09/2018 dal Consigliere UMBERTO BERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Antonello Rossi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di espletamento di concorso – indetto dal Direttore generale dell’Ente Regionale di Sviluppo ed Assistenza Tecnica in Agricoltura (ERSAT) con determinazione n. 107/2004 per alcune selezioni interne per titoli ed esami riservate al personale – il medesimo Direttore approvò, con successiva Det. 29 settembre 2006, n. 207, la relativa graduatoria, all’esito della quale vennero dichiarati vincitori i concorrenti collocati entro il 32 posto, con punti 81,75. Impugnata tale graduatoria in sede giurisdizionale amministrativa da parte di alcuni dipendenti dell’ERSAT, il TAR della Sardegna accolse il ricorso delle sole dipendenti B.M. ed A.M. ed annullò la graduatoria nella parte in cui assegnava loro punti 79,55, invece del punteggio complessivo pari a punti 81,25.

Appellata tale sentenza da S.P. e C.M.A. e costituitosi il contraddittorio nei confronti delle dipendenti A. e B., oltre che degli enti ARGEA Sardegna (succeduta ad ERSAT) e LAORE Sardegna (istituita con legge regionale dopo la soppressione di ERSAT), il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sentenza del 21.2.2017) rigettò l’appello e confermò la sentenza impugnata.

Secondo il Consiglio di Stato la risposta esatta al quesito 33 a risposta multipla predefinita – sulla disciplina prevista dalla L. n. 109 del 1994, art. 26, in tema di revisione dei prezzi negli appalti di lavori pubblici – era la n. 1, cioè quella che considerava sempre applicabile la revisione se gli eventi lo giustificavano, e non la numero 2, che contemplava l’esclusione in modo assoluto di una tale possibilità, come ritenuto, invece, erroneamente dalla Commissione esaminatrice.

Invero, quest’ultima non aveva considerato il fatto che i candidati avrebbero dovuto tener conto della novità rappresentata dalla circostanza che il testo della L. n. 109 del 1994, art. 26 era stato nel frattempo modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311 che, in deroga al generale divieto di revisione dei prezzi, aveva previsto la possibilità di compensazioni in aumento o in diminuzione dei prezzi di materiali da costruzione che avessero subito per circostanze eccezionali una variazione in aumento o in diminuzione superiore al 10% del prezzo rilevato dal Ministero delle Infrastrutture con decreto annuale.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso S.P. e C.M.A. con tre motivi, illustrati da memoria, mentre sono rimasti intimati gli enti LAORE Sardegna ed ARGEA Sardegna, nonchè le dipendenti A.M. e B.M..

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti deducono il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato per eccesso di potere giurisdizionale in relazione all’art. 111 Cost., art. 362 c.p.c., art. 606 c.p.p., lett. a) e art. 110 C.P.A., assumendo che con la decisione impugnata la Terza Sezione del predetto organo giurisdizionale amministrativo è pervenuta ad una ricostruzione della L. n. 109 del 1944, art. 26 vigente ratione temporis palesemente eccedente i limiti esterni della giurisdizione attribuitale, in quanto non ha svolto un’attività ermeneutica, bensì legislativa, con invasione della sfera di attribuzioni del legislatore. In pratica, secondo i ricorrenti, il Consiglio di Stato non si è limitato ad interpretare la L. n. 109 del 1994, art. 26 ma ha introdotto in tale norma la previsione di una disposizione inesistente, vale a dire il meccanismo della “revisione dei prezzi”, prevista e disciplinata dal D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 26 e dall’art. 1664 c.c., che rappresenta un istituto diverso e distinto da quello delle “compensazioni” di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 4 bis. Spiegano al riguardo i ricorrenti che la revisione dei prezzi consiste nell’aggiornamento periodico del corrispettivo dovuto all’impresa aggiudicataria nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o a forniture, mentre il meccanismo della compensazione opera se e quando i prezzi dei singoli materiali da costruzione previsti nel contratto d’appalto subiscono, per effetto di circostanze eccezionali, variazioni in aumento o in diminuzione superiori al 10% rispetto ai prezzi rilevati con decreto dal Ministero delle Infrastrutture nell’anno di presentazione dell’offerta da parte dell’impresa.

In definitiva, la Terza Sezione del Consiglio di Stato, nell’attribuire all’espressione “compensazione” – contenuta nella previsione derogatoria di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 1 bis – il diverso significato di “revisione” ha di fatto sancito una nuova ipotesi normativa non contemplata dalla citata disposizione di legge, pervenendo, di conseguenza, ad una valutazione errata della risposta che andava data al quesito di cui trattasi.

2. Col secondo motivo viene reiterata la denunzia del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per eccesso di potere sotto altro profilo in relazione all’art. 111 Cost., art. 362 c.p.c. e art. 110 C.P.A., vale a dire con riguardo al lamentato sconfinamento da parte della Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sfera del merito riservato alla pubblica amministrazione. Invero, secondo il presente assunto difensivo, il giudice amministrativo ha esercitato un vero e proprio sindacato sostitutivo del potere discrezionale della Commissione esaminatrice del concorso nel momento in cui ha ritenuto, contrariamente al giudizio di quest’ultima, che la risposta esatta al quesito “33” era la numero “1”, ossia che la revisione dei prezzi negli appalti pubblici era sempre applicabile se gli eventi lo giustificavano, finendo, in tal modo, per imporre un criterio di valutazione predeterminato non contemplato dalla norma di riferimento, tra l’altro erroneamente interpretata per le ragioni sopra illustrate. Al contrario, la L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 3, tenuto ben presente dalla commissione esaminatrice, fissava espressamente il divieto di procedere alla revisione dei prezzi per i lavori pubblici affidati in appalto.

3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per eccesso di potere giurisdizionale sotto altro profilo, in relazione all’art. 11 Cost., art. 362 c.p.c. e art. 110 C.P.A., assumendo che quest’ultimo ha travalicato i limiti del riscontro di legittimità dei provvedimenti impugnati nel momento in cui ha applicato criteri di valutazione non contemplati dalla L. n. 109 del 1994, art. 26 ed ha, nel contempo, compiuto una diretta valutazione dell’opportunità e convenienza dei medesimi provvedimenti, sostituendosi alla commissione di concorso nella valutazione della correttezza della risposta al quesito n. 33. Invero, secondo i ricorrenti, il giudice amministrativo ha preteso di applicare la disciplina delle “compensazioni” negli appalti pubblici (ammessa solo in presenza di determinate condizioni) alla diversa ipotesi della “revisione del prezzi”, sempre esclusa dal legislatore.

4. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, data la prospettazione sotto diversi profili della stessa questione di fondo.

5. Orbene, il ricorso, così come proposto, è inammissibile. Questa Corte ha, infatti, avuto di recente occasione di ribadire (Sez. U. – Ordinanza n. 16974 del 27.6.2018) che “la mancata o inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra, al più, un “error in iudicando”, ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1.

In effetti, quest’ultima decisione ha confermato il principio già espresso dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 11347 del 13.5.2013, vale a dire quello per il quale “non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale in danno del legislatore, sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, in relazione alla decisione del giudice amministrativo che, nell’esercizio del suo compito di rinvenimento della “regula iuris” applicabile, interpreti estensivamente, ai fini dell’individuazione del “quorum” occorrente per l’elezione del presidente del consiglio comunale, l’ambito di operatività della delega demandata dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 38 e 42 alle norme regolamentari contenute nello statuto e nel regolamento del comune.”

6. Ebbene, nella fattispecie non vi è stata alcuna invasione, da parte del Consiglio di Stato, della sfera di competenza del legislatore, nè tantomeno di quella della pubblica amministrazione, in quanto il medesimo giudice amministrativo ha esattamente individuato quello che rappresentava il vero oggetto del contendere, vale a dire la verifica della applicazione o meno, da parte della commissione esaminatrice delle prove concorsuali, della regula iuris riconducibile ad una norma di legge già esistente, cioè la L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 4 bis norma, questa, che consentiva di verificare l’esattezza o meno della risposta al quesito n. “33”.

Nè l’interpretazione, da parte del giudice amministrativo, di tale norma, allora vigente ed applicabile alla fattispecie in esame, implica la creazione di una disposizione inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, non assumendo rilievo il risultato dell’interpretazione che ricade, come tale, in un’eventuale errore di giudizio sottratto al sindacato delle Sezioni Unite (v. in tal senso Sez. U., sentenza n. 20698 del 10.9.2013).

In effetti, come esattamente rilevato nell’impugnata sentenza, tale norma era vigente nel momento in cui veniva modificato il bando di concorso con una rettifica pubblicata il 19.12.2005 e vi è da aggiungere che la stessa L. n. 109 del 1994 (legge quadro in materia di lavori pubblici) fu abrogata solo in seguito dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

7. E’ opportuno, a questo punto, ricordare che la L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 26, comma 4-bis allora vigente stabiliva espressamente quanto segue:- “In deroga a quanto previsto dal comma 3, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 4-quater, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 4-sexies.”

8. Va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese di lite dal momento che le controparti del presente giudizio sono rimaste solo intimate.

Ricorrono, invece, i presupposti per la condanna dei ricorrenti, come da dispositivo, al pagamento del contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018

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