Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33658 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 18/12/2019), n.33658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 613/2013 R.G. proposto da:

V.G., rappresentato e difeso dall’avv. Capomacchia

Salvatore e dall’avv. Persichelli Cesare, elettivamente domiciliato

in Roma, via Crescenzio n. 20, presso lo studio dell’avv.

Persichelli Cesare;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia, sezione n. 1, n. 52/01/12, pronunciata il

25/01/2012, depositata il 30/05/2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2019

dal Consigliere Riccardo Guida;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Filippo Capomacchia per delega dell’avv. Salvatore

Capomacchia;

udito l’avv. Giammario Rocchitta per l’Avvocatura Generale dello

Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.G. impugnò, innanzi alla CTP di Gorizia, gli avvisi di accertamento che recuperavo a tassazione IRPEF, per i periodi d’imposta 2000, 2001, 2002, componenti positivi di reddito desunti da movimentazione bancarie non giustificate. Gli atti impositivi derivavano da un processo verbale di constatazione redatto dalla DRE friulana in seguito ad un accesso presso il domicilio del contribuente che, nella fase amministrativa, aveva indicato che i flussi bancari provenivano dalla Cost & Research Management Inc. (in seguito “CRM”), società di diritto statunitense, della quale egli era amministratore e socio unico, e che si trattava della restituzione di alcune anticipazioni e di prestiti erogati dal dichiarante a coperture di perdite pregresse.

La CTP di Gorizia (sentenza n. 88/01/2010) accolse il ricorso ritenendo che la prova certa della correttezza del comportamento tenuto, sul piano fiscale, dal contribuente, fosse costituita dalle dichiarazioni dei redditi della CRM, degli anni 2000-2003, che rispecchiavano fedelmente la contabilità dell’impresa, visto che le autorità americane non avevano rilevato alcuna irregolarità.

La CTR del Friuli-Venezia Giulia (con la sentenza in epigrafe) in accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha riformato la decisione di primo grado.

La commissione regionale ha premesso che, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, per effetto dell’acquisizione dei dati e degli elementi attinenti a rapporti bancari dell’interessato, si verifica un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare l’assenza di un nesso tra i versamenti e i prelevamenti bancari e la produzione di un reddito (non dichiarato).

Nella fattispecie, tale prova contraria non è stata raggiunta, in quanto il contribuente si è limitato a fornire le dichiarazioni dei redditi della CRM, senza però esibire la contabilità della società statunitense, considerato anche che, all’esito della scambio d’informazioni tra organi finanziari italiani e statunitensi, ai sensi dell’art. 26, della Convenzione tra Italia e Stati Uniti contro le doppie imposizioni, l’autorità fiscale americana ha comunicato che, presso il domicilio dichiarato della società (nello stato del Nevada), non era stata rinvenuta la sede dell’ente commerciale che e, inoltre, era risultato che tutta la corrispondenza e la documentazione riguardante i rapporti commerciali della CRM veniva inoltrata presso l’abitazione dell’amministratore.

Il contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di quattro motivi; l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla questione concernente la nullità degli avvisi per difetto di motivazione, che era stata disattesa dalla CTP di Gorizia e che il ricorrente (vittorioso in primo grado) aveva (nella sostanza) riproposto nell’atto di costituzione in appello.

2. Con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3,L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, il ricorrente – nel caso in cui questa Corte debba rinvenire nella decisione della commissione regionale una pronuncia implicita di rigetto della questione dedotta con il primo mezzo d’impugnazione – si duole dell’errore di diritto della sentenza impugnata per avere negato (implicitamente) la nullità degli avvisi per difetto di motivazione.

2.1. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Dal testo della sentenza impugnata non risulta che, nel ricorso introduttivo, fosse stata censurata la nullità degli avvisi per difetto di motivazione; del pari, in base al tenore del ricorso per cassazione non risulta che il ricorrente abbia riproposto la questione (ove s’ipotizzi che essa costituisse un motivo d’opposizione agli avvisi), con la necessaria specificità e chiarezza, al giudice del gravame, laddove l’onere di riproposizione, in appello, delle questioni non accolte nella sentenza della commissione di provinciale vale anche per il processo tributario, a norma dell’art. 56, del D.Lgs. n. 546 del 1992, sicchè la loro omessa specifica riproposizione preclude il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che tale questione o eccezione non abbia esaminato (Cass. nn. 12191/2018, 15641/2004, 14925/2011).

3. Con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, il ricorrente assume che l’accertamento si basava sulle entrate sul suo conto bancario provenienti da CRM, in merito alle quali egli non avrebbe offerto giustificazioni idonee a vincere la presunzione legale d’imponibilità delle somme movimentate, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 1 e 2.

Da un primo punto di vista, sostiene che il fatto controverso e decisivo per il giudizio era da individuarsi nella natura delle somme transitate dal conto della CRM al proprio conto, che non avevano natura reddituale in quanto si trattava di una mera operazione contabile tramite la quale egli aveva pagato le fatture emesse da Vetroasfalto Spa, fornitrice di CRM, utilizzando gli accreditamenti trasferiti da CRM sul suo conto personale.

Afferma che la sentenza impugnata è viziata da motivazione insufficiente e contraddittoria, in punto di giustificazione del pagamento di Vetroasfalto Spa (fornitrice della società statunitense), in considerazione del fatto che egli aveva spiegato agli organi di controllo di avere pagato direttamente il fornitore sia perchè questi pretendeva il pagamento in Euro (e non in dollari), sia perchè, ai sensi del D.M. 7 novembre 2011, n. 458, art. 14, una compagine societaria straniera, con conti aperti presso banche italiane, con poteva emettere assegni senza essere in possesso di un codice fiscale e la CRM non poteva chiedere un codice fiscale italiano in quanto operava solo negli Stati Uniti.

Inoltre, la sentenza impugnata, contraddittoriamente, non aveva adeguatamente valutato che il ricorrente aveva prodotto in giudizio la dichiarazione del fornitore Vetroasfalto Spa (datata 31/10/2007), diretta a CRM, con un elenco di pagamenti registrati a fronte di assegni emessi dal contribuente negli anni 2002, 2003, 2004, nonchè le fatture e le matrici degli assegni in questione, con la precisazione che non era neppure vero quanto affermato dalla CTR, ossia che non vi era corrispondenza tra l’ammontare dei pagamenti e gli importi delle fatture, in quanto la documentazione versata in atti dimostrava l’assoluta corrispondenza delle somme (Euro 255.848,29) fatte transitare da CRM sul conto del suo amministratore e, per di più, l’ammontare delle fatture, al netto delle note di credito, corrispondeva all’importo pagato con assegni personali.

Sotto un diverso aspetto, il ricorrente imputa alla sentenza impugnata di avere ignorato tutti i documenti che egli aveva prodotto al fine di dimostrare che gli altri importi accreditati sul suo conto erano la restituzione di prestiti che egli aveva fatto a CRM, negli anni precedenti, a copertura delle perdite della società.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza della CTR è stata pubblicata il 30/05/2012, sicchè trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione anteriore alla novella introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate a partire dall’11/09/2012) – secondo cui il vizio di motivazione consiste nella “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Questa Corte, anche di recente (Cass. 3/10/2018, n. 24035), ha chiarito che: “il “fatto” ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014). Il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006). Anche nel vigore del vecchio testo del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., è invece inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006). Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).”.

Nella specie, si assume che il deficit dello sviluppo motivazionale della sentenza impugnata s’incentri sulla natura delle somme confluite sul conto del contribuente, le quali (in base alla sua prospettazione dei fatti) provenivano dalla società statunitense CRM (di cui era socio unico e amministratore) ed erano prive di carattere reddituale, in quanto accreditate per estinguere i debiti della società verso terzi (la fornitrice Vetroasfalto Spa) e verso lo stesso ricorrente (per i pregressi finanziamenti).

Ebbene, non è dedotto alcun fatto nell’accezione storico-naturalistica delineata dai succitati principi di diritto, ma si sollecita la Corte, in modo non consentito, alla revisione del ragionamento compiuto dal giudice di merito, mercè un diverso apprezzamento del materiale probatorio, già selezionato e censito dalla commissione regionale.

D’altra parte, il ricorrente si è limitato a proporre la propria personale tesi in merito alla rilevanza probatoria della documentazione prodotta in giudizio, senza indicare alcun “fatto decisivo”, capace d’invalidare (con un giudizio di certezza e non di mera probabilità), l’efficacia probatoria delle (altre e diverse) risultanze che sostengono il percorso argomentativo della sentenza impugnata, riconducibili (in sintesi) all’assenza (in atti) di documentazione idonea a vincere la presunzione legale (ex art. 32, cit.) circa la natura reddituale delle somme accreditate sui conti personali del ricorrente.

4. Con il quarto motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 1 e 2, art. 2729 c.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere quasi totalmente omesso l’esame dei documenti dal medesimo prodotti per superare la presunzione legale della natura reddituale delle somme movimentate sul suo conto e, quindi, per avere trascurato contra legem l’onere del giudice di merito di verificare la prova contraria offerta dall’interessato per vincere il detto congegno presuntivo.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Sotto l’egida dell’errore di diritto la censura in esso contenuta rivolge alla Corte la richiesta di un nuovo esame degli aspetti fattuali della controversia, già apprezzati dal giudice d’appello, e sindacabili, in sede di legittimità, esclusivamente in rapporto al diverso parametro normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (vedi p. 3).

5. Ne consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile.

6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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