Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33656 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 18/12/2019), n.33656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28334-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, Presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ ESECUZIONI APPALTI SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, con domicilio eletto in ROMA VIA GIAN GIACOMO PORRO 8,

presso lo studio dell’Avvocato FALCITELLI FRANCESCO che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 16/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 92/34/2012, depositata il 16.10.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la decisione di primo grado, con la quale, accogliendosi il ricorso introduttivo della Società Esecuzione Appalti s.r.l. (So.Es.A drl), era stato annullato l’avviso di accertamento notificato alla contribuente per maggiori imposte e sanzioni relativamente all’anno 2003.

Riferisce che la controversia aveva tratto origine da una verifica in occasione della quale era stata contestata l’omessa contabilizzazione di interessi attivi su un finanziamento infruttifero erogato dalla società in favore della propria controllante Mokark B.V., con successivo accollo del debito da parte della società Tonard Finance B.V..

L’Amministrazione, rilevando l’assenza di un qualunque atto negoziale scritto, da cui poter evincere la gratuità del prestito concesso, aveva applicato il saggio legale al capitale corrisposto a mutuo, ai sensi di quanto previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89, comma 5, così determinando gli interessi ripresi ad imponibile e tassati.

Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Milano aveva annullato l’avviso di accertamento con sentenza n. 127/44/2011. L’appello della Agenzia era stato rigettato con la pronuncia ora impugnata. Il giudice regionale aveva ritenuto che la documentazione allegata dalla contribuente provasse la gratuità del mutuo, ai sensi dell’art. 1815 c.c., mancando pertanto i presupposti per l’accertamento delle maggiori imposte.

L’Ufficio con unico motivo ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 e 1815 c.c. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erroneo presupposto della pattuizione di non onerosità del mutuo concesso.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale statuizione.

Si è costituita la società, che ha contestato le avverse ragioni ed ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 le parti ed il P.G. hanno discusso e concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il motivo, con il quale l’Agenzia si duole dell’erronea interpretazione della disciplina che presidia l’ipotesi della gratuità del mutuo, è fondato e trova accoglimento.

La sintetica decisione della Commissione Regionale lombarda riconosce la sussistenza dell’accordo di prestito infruttifero in ragione della esistenza di due richieste scritte della mutuataria Mokark B.V., portanti rispettivamente le date del 15.11.2000 e del 5.12.2001, della cui autenticità ritiene di non dubitare, con le quali era richiesto il finanziamento infruttifero. Afferma che “la produzione delle richieste nelle date e nei termini sopra indicati costituisce valida prova dell’accordo voluto dall’art. 1815 c.c.”. Nella pronuncia il giudice regionale riporta anche le difese della Amministrazione, secondo cui quelle richieste costituivano solo documenti unilaterali, privi di data certa, non emergenti da un documento registrato o autenticato, inidonei a supportare la prova della “gratuità del prestito”.

Perimetrati i punti salienti del percorso argomentativo del giudice d’appello, e senza ripercorrere le teorie sulla natura del mutuo -secondo la ricostruzione classica dotato del carattere della realità, contestata invece da chi preferisce la collocazione tra i negozi consensuali, ammettendosi in ogni caso, anche da chi propende per il primo inquadramento, il venire in essere di un contratto consensuale atipico-, nel caso di specie la pronuncia ha condiviso la ricostruzione del contribuente, secondo cui il negozio si sarebbe concluso con l’erogazione delle somme richieste, atto dalla duplice valenza, quella del perfezionamento del negozio, quella della accettazione della proposta di concessione di prestito infruttifero di denaro. Nello specifico la presunzione di onerosità del negozio sarebbe stata superata dall’accordo raggiunto tra le due società, consistito nella richiesta scritta da parte del mutuatario di un finanziamento senza interessi e nella accettazione delle modalità gratuite da parte del mutuante, evincibile dalla medesima erogazione delle somme.

Le conclusioni, sulla base dello scarno ragionamento della decisione, già impraticabili ai fini civilistici, sono ancor meno fondate se riferite alla disciplina fiscale, dettata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 89, comma 5.

Ai fini civilistici, se è indiscusso che il negozio non necessiti di contratto scritto, e ciò anche quando debba superarsi la presunzione di onerosità, è altrettanto pacifico che gli elementi necessari a supportarne i tratti della gratuità vanno evinti da fatti concludenti e non da mere circostanze. Assumere dunque che la gratuità sia dimostrata dalla erogazione stessa delle somme richieste prova troppo. Ciò assume rilievo ai fini della conclusione del contratto, per facta concludentia, ma non può dimostrare anche che il prestito assumeva il carattere della gratuità.

Ai fini fiscali la pretesa gratuità della operazione di finanziamento è investita da criticità ancora maggiori.

L’art. 89, comma 5 cit. prescrive che “se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale.”. Il riferimento ad una formalizzazione scritta, idonea ad escludere il calcolo degli interessi al tasso legale, è stata ritenuta necessaria non solo in riferimento alla ipotesi della pattuizione di un saggio diverso, ma anche in relazione alla esclusione degli interessi. L'”esigenza” di una forma scritta, ventilata in alcune opinioni dottrinali, si accompagna, soprattutto nella giurisprudenza, ad una “presunzione di fruttuosità” dei crediti, che può essere superata solo con prova contraria, il cui onere è posto a carico del contribuente e non della Agenzia (cfr. Cass., sent. n. 11154/2010 in tema di interessi della società per crediti verso clienti). D’altronde l’obbligo di formalizzazione degli interessi attivi o passivi nelle scritture contabili senza che abbia rilevanza che i rapporti di debito o di credito intercorrano fra società del medesimo gruppo, affermata da questa Corte a proposito dei principi di trasparenza prescritti dall’art. 2423 c.c. (Cass., sent. n. 21157/2008), costituisce un ulteriore conferma del rigore formale che si impone quando l’autonomia negoziale dei privati si interseca con gli interessi della Amministrazione finanziaria. Rispetto ad essa dunque la presunzione di onerosità di un modello negoziale come il mutuo (affermato non solo nella attuale disciplina, ma anche nel D.P.R. n. 597 del 1973, art. 42, vecchio) può essere certamente superata dalla volontà delle parti, alle quali tuttavia spetta l’onere di una prova rigorosa della pattuizione di gratuità del finanziamento.

D’altronde se, in riferimento alla disciplina del transfer pricing, se ne è affermata l’operatività anche nell’ipotesi di prestito ad una società del gruppo, sicchè il costo rappresentato dal saggio di interesse deve essere determinato in relazione al prezzo normale di mercato, ossia al tasso mediamente praticato nel tempo e nel luogo dell’operazione (cfr. Cass., 13387/2016; 27018/2017; 2387/2019), in materia di prestiti infragruppo nazionali almeno il rigore probatorio non può essere declinato verso valutazioni approssimative, prive di qualunque rigore.

Nel caso di specie il giudice regionale non si è attenuto ai principi ora esposti, limitandosi addirittura ad affermare che della autenticità delle scritture, con cui la mutuataria formulava richiesta di prestito infruttifero, non vi fosse motivo di dubitarne, quando l’Agenzia aveva invece evidenziato che trattavasi di scritture prive di data certa, perchè i documenti non erano nè registrati nè autenticati. Questi rilievi non appaiono contestati in alcun modo nelle difese di controparte, nè dalla decisione è dato evincere un qualunque elemento da cui ricavare che il giudice d’appello se ne sia occupato.

In conclusione il motivo trova accoglimento e la sentenza va cassata.

Poichè non vi è necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa anche nel merito. A tal fine, non emergendo alcun elemento probatorio idoneo a dare prova della gratuità del mutuo concesso dalla contribuente alla società Mokark, sua controllante, il ricorso introduttivo della contribuente va rigettato.

Alla soccombenza processuale segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo, mentre l’esito nelle fasi di merito giustifica la compensazione delle spese processuali in essi sostenute.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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