Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3365 del 11/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2021, (ud. 09/09/2020, dep. 11/02/2021), n.3365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3458-2019 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE,

GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– ricorrente –

contro

P.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 277/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Corte d’appello Brescia, ha confermato la sentenza del Tribunale di Mantova, che in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da P.F., aveva annullato l’avviso di addebito con il quale l’Inps, avendo computato nell’imponibile contributiva anche gli utili derivanti dalla partecipazione di quest’ultimo alle società di capitali So.Ve.Mo. s.r.l. e So.Ve.G. s.r.l. ne pretendeva la riscossione;

la cassazione della sentenza è domandata dall’Inps sulla base di un unico motivo; P.F. è rimasto intimato;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione della L. 14 novembre 1992, n. 438, art. 3 bis, di conversione del D.L. 19 settembre 1992, n. 384 e, in connessione con questo della L. 2 agosto 1990, n. 233”;

contesta l’approdo interpretativo raggiunto dalla Corte d’appello, sostenendo che la disciplina contenuta nel D.L. n. 438 del 1993, art. 3 bis, nel riferirsi alla “totalità dei redditi d’impresa” per il calcolo dell’ammontare dei contributi dovuti dal lavoratore autonomo iscritto alla relativa gestione previdenziale (nel caso in esame gestione commercianti), abbia innovato la precedente disciplina (contenuta nella L. n. 233 del 1990), estendendo la base imponibile anche agli utili percepiti dal socio di società di capitali il quale non abbia svolto attività lavorativa;

il motivo è infondato;

questa Corte ha deciso in proposito che “Il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, deve includere nella base imponibile sulla quale calcolare i contributi la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale, vale a dire quelli che derivano dall’esercizio di attività imprenditoriale (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55), restando esclusi i redditi di capitale, quali quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, lett. e).” (Cass. n. 21540 del 2019);

l’opzione ermeneutica consolidata riguardo alla nozione di “redditi d’impresa” di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 3 bis, così come modificato dalla L. n. 438 del 1992, ha trovato corretta applicazione nella sentenza qui impugnata, essendo risultato pacifico che P.F. non avesse concorso alla propria partecipazione societaria mediante svolgimento di attività lavorativa, ma unicamente in virtù della sottoscrizione di quote di capitale sociale i cui utili, derivanti dalla partecipazione a società di capitali e non di persone, non rientrano nella base imponibile contributiva;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

non si provvede sulle spese di questo giudizio per mancanza di attività difensiva da parte dell’intimato;

in ragione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021

 

 

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