Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33630 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. I, 18/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 18/12/2019), n.33630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24308/2018 proposto da:

K.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gilardoni Massimo, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal consigliere Dott. Paola VELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino bangladese K.M. per ottenere la protezione sussidiaria o quella umanitaria, avendo lasciato il Bangladesh per sottrarsi all’aggressione della famiglia che si era impossessata dei fondi del padre.

2. Avverso detta decisione il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, cui il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Vanno preliminarmente disattese, perchè manifestamente infondate, la richiesta di annullamento del decreto con rinvio “al Presidente del Tribunale di Milano per la celebrazione del giudizio avanti al giudice monocratico con la garanzia del doppio grado di merito” e le questioni incidentali di legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”), per violazione dell’art. 77 Cost. (in relazione ai requisiti di necessità e urgenza) e degli artt. 3,24 e 111 Cost. (quanto alla previsione del termine ridotto per proporre ricorso per cassazione ed alla non reclamabilità del decreto che definisce il giudizio di primo grado dinanzi alla Corte d’appello).

3.1. Si tratta invero di questioni ripetutamente dichiarate manifestamente infondate da questa Corte (ex multis, Cass. 17717/2018, 27700/2018, 28003/2018, 28119/2018, 32867/2018, 1876/2019) sulla base di motivazioni cui il Collegio presta adesione.

3.2. In particolare, i presupposti della straordinaria necessità ed urgenza non sono del tutto incompatibili con la scelta del legislatore di differire l’applicazione delle disposizioni introdotte con decreto legge (Corte Cost. 5/2018 e 16/2017); inoltre, con specifico riguardo al decreto legge in esame, il difetto di detti requisiti non può porsi rispetto alla disposizione transitoria che differisce di centottanta giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito, trattandosi di previsione connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per l’entrata a regime di una complessa riforma processuale (Cass. 17717/2018).

3.3. La questione della riduzione del termine per proporre ricorso per cassazione a trenta giorni, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, comma 13, difetta invece di rilevanza, avendo l’istante impugnato tempestivamente il decreto del tribunale.

3.4. Infine, il principio del doppio grado di giudizio non ha copertura costituzionale, mentre il fatto che il procedimento de quo sia definito con decreto non reclamabile è giustificato dalle esigenze di celerità, tanto più che la fase giurisdizionale è comunque preceduta da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali, deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700/2018; 28119/2018).

4. Nel merito, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, per avere il tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria senza effettuare un bilanciamento tra il grado di inserimento sociale raggiunto in Italia e la condizione di provenienza.

4.1. La censura è infondata, poichè il tribunale, dopo aver motivato sulla non credibilità del racconto del ricorrente nella parte in cui riferisce delle ragioni che ne hanno determinato l’allontanamento dal proprio Paese, ha analizzato – escludendoli – i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, alla luce di C.O.I. tratte da fonti qualificate e aggiornate (EASO Country of Origin Information Report Bangladesh Country Overview/ Dec. 2017; www.amnesty.it/rapporti annuali/rapporto annuale – 2017 – 2018 /asia / bangladesh; Human Rights Watch – world report 2018), sottolineando che “il ricorrente non ha dedotto o allegato individualizzate situazioni che lo esporrebbero ad una indiscriminata e non arginabile violenza”.

4.2. Anche sotto il profilo della protezione umanitaria, il tribunale ha riscontrato, con accertamento di fatto non adeguatamente censurato in questa sede, come “non siano stati dedotti particolari e sufficienti elementi per ritenere che, ove rientrasse in Bangladesh, il sig. K. si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità rispetto alle condizioni di vita raggiunte sul territorio nazionale”, precisando che le attività di istruzione e lavorative non costituiscono per legge “causa di riconoscimento del titolo di protezione richiesta, avendo il diverso scopo di consentire al richiedente asilo di condurre una vita attiva nella fase necessaria per il completamento della procedura”; il tribunale ha altresì osservato che “le stesse condizioni di salute del sig. K. (che dicono di una lesione al ginocchio curato chirurgicamente in Bangladesh e con terapia medica in Italia) sono tali da costituire il presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che le cure necessarie sono state prestate proprio nello Stato di provenienza”; infine, il collegio di primo grado non ha mancato di rilevare che il ricorrente “ha dichiarato di aver svolto, nel proprio paese, l’attività di tecnico della linea satellitare e di contadino” di avere lasciato in Bangladesh “la madre, due fratelli, quattro sorelle”, la moglie e un figlio”.

5. Al riguardo va comunque richiamata la giurisprudenza di questa Corte per cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. 17072/2018). Inoltre, non è “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna alle spese in favore del Ministero controricorrente, liquidate in dispositivo.

7. Poichè il ricorrente risulta in atti ammesso in via provvisoria al Patrocinio a spese dello Stato, con conseguente prenotazione a debito del contributo unificato, si dà atto che, persistendo tale condizione, non va applicato il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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