Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3363 del 12/02/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3363 Anno 2013
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore
p.t., domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lego

ricorrente

contro
Circolo Bocciofilo Pensionati ARCI, in persona del
legale rappresentante p.t.,
_intimato

avverso la sentenza n. 11/23/2007 della Commissione
Tributaria regionale della Toscana, depositata il
28/5/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 13/12/2012 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
udito l’Avvocato dello Stato, Bruno Dottori, per
parte ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Sergio Del Core, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con

sentenza

n.

11/23/2007

del

24/3/2007,

Data pubblicazione: 12/02/2013

,

depositata

in

data

A,Per.p

28/5/2007,1a

Commissione

Tributaria Regionale della Toscana Sez. 23
accoglieva, con compensazione delle spese di lite,
l’appello proposto, in data 10/3/2006, dalla
Agenzia delle Entrate Ufficio di Livorno, avverso
la decisione n.

174/5/2005 della Commissione

Tributaria Provinciale di Livorno,

che aveva

respinto il ricorso del Circolo Bocciofilo

(LI), contro un avviso di accertamento emesso per
l’anno di imposta 2002, ai fini IRPEG, IVA, IRAP ed
ILOR, sulla base dei rilievi contenuti in un
processo verbale di constatazione redatto, in data
27/1/2004, dalla Guardia di Finanza, dal quale era
emerso lo svolgimento, in via principale, di
un’attività commerciale (nel locale adibito a barcaffè), con la conseguente perdita della qualità di
ente non commerciale goduta, ai sensi dell’art.149
T.U.I.R., necessità di tenuta delle scritture
contabili prescritte dall’art.14 DPR 600/1973 e
legittimità dell’accertamento induttivo dei redditi
di impresa.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il
gravame

del

contribuente, in guanto riteneva non

provato che il Circolo avesse

“svolto in maniera

continuativa servizi o prestazioni rivolte a terzi
non soci”

ed inoltre ogni attività svolta

all’interno dei locali, in particolare, proprio le
attività

“del bar, del ballo e della tombola”,

rappresentava una delle fonti di autofinanziamento
per il perseguimento degli scopi sociali, il che
avvalorava le caratteristiche non commerciali
dell’associazione.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per
cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo due

2

Pensionati Arci, con sede in Rosignano Marittimo

motivi di ricorso per cassazione, per violazione
e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex
art.360 n. 3 c.p.c. (in relazione agli artt.108 e
111 DPR 917/1986, oggi 143 e 148, non essendo
qualificabili, a prescindere dalle astratte
finalità statutarie dei circoli ARCI, le attività
di gestione bar con somministrazione di bevande ed
alimenti all’interno dei locali del circolo

pagamento di corrispettivo, i cui proventi
rappresentavano circa i due terzi delle entrate
complessive, quali attività non commerciali
rientranti nelle finalità istituzionali, con
riferimento a detta normativa vigente ratione
temporis) e per insufficiente motivazione su fatto
decisivo controverso, ex art.360 n. 5 c.p.c.
(contestando la natura apodittica di alcune
affermazioni dei giudici della CTR, in contrasto
con il materiale probatorio acquisito agli atti e
ritrascritto in ricorso, costituito dal verbale
delle dichiarazioni rese dalla Metani Elvira,
gestore del bar, e dai bilanci consuntivi del
Circolo).
Non ha resistito il Circolo con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso è fondato.
Il terzo comma dell’art.111 TUIR, con riguardo
proprio alle associazioni sportive, prevedeva, in
deroga al coma 2, che non fossero attività
commerciali le prestazioni di servizi verso
pagamento di corrispettivi specifici effettuate nei
confronti degli associati,

Ma,

assicurare

la

l’effettività e

al fine di
stabilità

del

rapporto associativo tra l’ente che svolgeva
l’attività ed il soggetto che traeva vantaggio

ricreativo nei confronti degli associati, dietro

dalla stessa, il quarto comma chiariva la necessità
della previsione statutaria del diritto di voto
degli associati maggiorenni per l’approvazione e le
modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per
la nomina degli organi direttivi.
Questa Corte ha costantemente affermato che, nel
sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore
della L. 23 dicembre 2000, n. 383, art. 4 (che ha

commerciali consistenti nella cessione di beni e
servizi ai soci ed ai terzi),

“Gli enti di tipo

associativo possono godere del trattamento
agevolato previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art.
111, (in materia di IRPEG) e D.P.R. n. 633 del
1972, art. 4, (in materia di IVA ) – come
modificati, con evidente finalità antle-lusiva, dal
D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 5, – a condizione non
solo dell’inserimento, negli loro atti costitutivi
e negli statuti, di tutte le clausole
dettagliatamente indicate nel D.Lgs. n. 460 cit.,
art. 5, ma anche dell’accertamento – effettuato dal
giudice di merito con congrua motivazione – che la
loro attività si svolga, in concreto, nel pieno
rispetto delle prescrizioni contenute nelle
clausole stesse”

(Cass.

11956/10;

(vedasi,

di

recente, Cass.8623/2012).
Non era affatto sufficiente, pertanto, al fine
della fruizione del trattamento tributario di
favore in esame, né la mera appartenenza dell’ente
alla categoria delle associazioni in questione, né
la conformità dello statuto alle norme stabilite
per il riconoscimento della relativa qualifica (con
eventuale applicazione di diverse disposizioni
tributarie specifiche).
Anche le associazioni senza fine di lucro potevano,

4

consentito ai circoli di finanziarsi con attività

di fatto, svolgere attività di tipo commerciale,
come si evinceva dall’art. 111, comma 2, TUIR, nel
testo vigente

ratione temporis;

in altri termini,

gli enti associativi non godevano di uno status di
extrafiscalità, che li esentasse, per definizione,
da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere
conto della natura delle attività svolte

in

concreto (v. Cass. 15321/2002 e Cass.16032/2005).

disposizione dell’art. 111 TUIR (testo originario)
costituiva deroga, per gli enti non commerciali di
tipo associativo, alla disciplina generale, fissata
dagli artt. 86 e 87 TUIR, secondo la quale l’IRPEG
si applica a tutti i redditi, in denaro o in
natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone
fisiche. Ne derivava che l’onere di provare la
sussistenza dei presupposti di fatto che
giustificano l’agevolazione sull’IRPEG, nonché
quella sull’IVA (art. 4 normativa citata), era a
carico del soggetto collettivo che la invocava,
secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art.
2697 c.c. (Cass. 22598/06:

“In tema di imposta sul

reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti
di tipo associativo non godono di uno “status” di
“extrafiscalità”, che 11 esenta, per definizione,
da ogni prelievo fiscale, potendo anche le
associazioni senza fini di lucro – come si evince
dall’art. 111, comma secondo, del

d.P.R.

22

dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella
specie, “ratione temporis”) – svolgere, di fatto,
attività a

carattere commerciale. Il disposto

dell’art. 111, comma primo, del d.P.R. n. 917 cit.
– in forza del quale le attività svolte dagli enti
associativi a favore degli associati non sono
considerate commerciali e le quote associative non

5

Sul piano dell’onere della prova si rilevava che la

concorrono a formare il reddito complessivo costituisce d’altro canto una deroga alla
disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87
del d.P.R. n. 917, secondo la quale l’IRPEG si
applica a

tutti i redditi, in denaro o in

natura,

posseduti da soggetti diversi dalle persone
_fisiche: con la conseguenza che l’onere di provare
la sussistenza dei presupposti di fatto che

che la invoca, secondo gli ordinari criteri
stabiliti dall’art. 2697 cod. civ.”;

Cass.

16032/05).
Essendo questo il quadro di riferimento, era
agevole dedurre come solo le prestazioni ed i
servizi che realizzavano le finalità istituzionali
senza specifica organizzazione e verso il pagamento
di corrispettivi che non eccedevano i costi di
diretta imputazione, non venivano considerate come
compiute nell’esercizio di attività commerciale e,
quindi, come non imponibili, mentre ogni altra
attività espletata dagli stessi soggetti doveva
ritenersi rientrante nel regime impositivo (Cass.
19839/2005; 20073/2005; 2680/2004; 6340/2002;
3850/2000;4964/2000). In conclusione, l’ attività
di bar con somministrazione di bevande verso
pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un
circolo culturale, anche se effettuata ai propri
associati, non rientrava in alcun modo tra le
finalità istituzionali del circolo e doveva,
dunque, ritenersi ai fini del trattamento
tributario, attività di natura commerciale(Cass.
15191/2006).
Deve poi

osservarsi,

trattandosi

relative all’anno 2002,

di

imposte

che il nuovo regime

introdotto dalla L. n. 383 del 2000, art. 4, che

6

giustificano l’esenzione è a carico del soggetto

prevede la possibilità per i circoli culturali di
autofinanziarsi grazie ai proventi della cessione
di beni e servizi verso soci e verso terzi, anche
di natura commerciale

“Le associazioni di

promozione sociale traggono le risorse economiche
per il loro funzionamento e per lo svolgimento
delle loro attività provenienti delle cessioni di
beni e servizi agli associati e a terzi, anche

natura commerciale, artigianale o agricola, svolte
in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque
finalizzate al raggiungimento degli obiettivi
istituzionali, da:.. .f) proventi delle cessioni di
beni e servizi agli associati e a terzi, anche
attraverso lo svolgimento di attività economiche di
natura commerciale, artigianale o agricola, svolte
in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque
finalizzate al raggiungimento degli obiettivi
istituzionali”),

non ha modificato sostanzialmente

i termini del problema.
La possibilità di usufruire dell’agevolazione di
cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 e art. 111
TUIR deriva infatti pure sempre dal concorso di due
specifiche circostanze: a) dall’esclusione della
qualificazione dell’ attività svolta come attività
commerciale, in ragione dell’affinità e
strumentalità della stessa con i fini
istituzionali; b) dallo svolgimento dell’ attività
unicamente in favore dei soci. L’inclusione dei
terzi, fra i soggetti potenzialmente destinatari di
attività di natura non commerciale,

“non incide,

dunque, sulla necessità che, ai fini di usufruire
delle agevolazioni di cui al D.P.R. n. 633 del
1972, art. 4 e art.

111 TUIR, ne vengano integrati

tutti quanti i requisiti, e cioè la natura non

7

attraverso lo svolgimento di attività economiche di

commerciale dell’

attività

svolta

e il suo

indirizzarsi unicamente ai scci”(Cass.21406/2012).

Ai contrario di quanto affermato dal giudice di
appello, pertanto, la circostanza per cui non vi
fosse la prova, malgrado le dichiarazioni resa
dalla persona che gestiva il bar, nella specie,
dell’accesso di terzi al servizio bar del circolo,
non è affatto dirimente, essendo decisiva invece la

istituzionale dell’ente.
Il secondo motivo (col quale si deduce vizio di
motivazione) deve ritenersi assorbito in ragione
della ritenuta fondatezza del primo motivo.
Pertanto,

in

applicazione

di

tali

principi

giuridici e regolativi, va cassata la sentenza
d’appello laddove ha riconosciuto il trattamento
agevolato

alla

controricorrente,

associazione

sportiva, essenzialmente, sulla sola scorta
dell’astratta appartenenza alle categorie previste
dalle precitate disposizioni e della conformità
dello statuto associativo alle norme stabilite per
il

riconoscimento della relativa qualifica,

accogliendo il ricorso del Circolo Arci sulla base
della sola astratta considerazione dell’assenza dei
fini di lucro dell’associazione, omettendo di
accertare la natura dell’attività in concreto
svolta ed in specie se l’attività di servizio barcaffè e di organizzazione di serate danzanti e
giochi, come emergente dai bilanci consuntivi del
Circolo

(in primis

dal rapporto costi-

corrispettivi), potesse rientrare nelle finalità
istituzionali di un ente non commerciale. Al
riguardo, la commissione regionale non ha prestato
la sua doverosa attenzione argomentativa su dati di
particolare rilievo decisionale, quali quelli

8
,./
‘`

finalizzazione del servizio all’attività

riassunti da parte ricorrente, alle pagg.10,11,12 e
13 del ricorso, e sul sopra delineato riparto degli
oneri probatori.
La sentenza impugnata va pertanto cessata senza
rinvio e, decidendo nel merito, non essendo
necessari ulteriori accertamenti in fatto, il
ricorso del contribuente va respinto, dovendo
ritenersi l’attività in concreto svolta dal

giochi, non rivolta alla realizzazione delle
istituzionali finalità, assistenziali e culturali,
dell’ente non commerciale.
Le spese processuali del giudizio di merito vanno
compensate tra le parti anche in considerazione
dell’evoluzione giurisprudenziale in materia,
mentre le spese processuali del giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo, in
conformità del D.M. 140/2012, attuativo della
prescrizione contenuta nell’art.9, comma 2 ° , d.l.
1/2012, convertito dalla 1.

271/2012

(Cass.S.U.DEpos i- Tc., N

2..

17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, quanto al primo,
motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza
impugnata senza rinvio e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso del contribuente; compensa tra
le, parti le spese del giudizio di merito e condanna
parte intimata al rimborso delle spese del giudizio
di legittimità, liquidate in complessivi C
4.000,00,

a

titolo di

compensi,

oltre

spese

prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della

Circolo, nella gestione del servizio bar, ballo e

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