Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33628 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. I, 18/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 18/12/2019), n.33628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22487/2018 proposto da:

E.M.S.N., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Provezza Clara, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano; Procura

Generale presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di 21/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella 12/09/2019 dal

consigliere Dott. VELLA Paola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino egiziano E.M.S.N. per ottenere lo status di rifugiato, ovvero la protezione sussidiaria o quella umanitaria, avendo lasciato l’Egitto per il timore di essere arrestato, come alcuni sui amici, per aver partecipato ad alcune manifestazioni di protesta nei confronti del governo, dapprima nel 2014 a (OMISSIS) e poi nel 2015 a (OMISSIS).

2. Avverso detta decisione il richiedente ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere il tribunale applicato il principio dell’onere della prova attenuato, limitandosi a confermare il giudizio di inattendibilità già espresso dalla competente Commissione territoriale.

3.1. La censura è infondata, in quanto il tribunale, dopo aver effettuato l’audizione del ricorrente, ha motivatamente espresso le ragioni per le quali il racconto finalizzato ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato fosse del tutto inattendibile, stante la sua estrema genericità e l’emersione successiva di aspetti non immediatamente segnalati. Peraltro, per consolidato orientamento di questa Corte, l’aspetto della credibilità del racconto del richiedente (e quindi la sua attendibilità) integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – chiamato segnatamente a valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), – come tale censurabile in cassazione solo nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) applicabile ratione temporis e non rispettato dal ricorrente (ex multis, Cass. 3340/2019; cfr. Cass. 27502/2018), ovvero per assoluta mancanza di motivazione, restando escluse sia la rilevanza della sua pretesa insufficienza, sia l’ammissibilità di una diversa lettura o interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente (ex multis, Cass. 3340/2019).

4. Con il secondo mezzo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 5 e 14 in tema di protezione sussidiaria, per avere il tribunale negato l’esistenza di un rischio effettivo di danno grave in capo al ricorrente, in caso di rimpatrio, sulla base di informazioni non attuali, contraddette dal rapporto di Amnesty International.

4.1. La censura è infondata. Invero il tribunale, per un verso, ha escluso le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in assenza di un attendibile racconto atto ad evidenziare rischi specifici e personalizzati di subire torture, pena di morte o trattamenti inumani e degradanti, non essendo sufficiente il timore del ricorrente di essere arrestato, “narrato in modo non credibile quanto a sussistenza dei presupposti individualizzanti”; per altro verso ha escluso le condizioni di cui alla successiva lett. c), in quanto, pur dando atto del serio pregiudizio all’esercizio dei diritti fondamentali e alla presenza di conflitti di stampo terroristico (specie nella penisola del Sinai e in danno dei cristiani copti), ha rilevato che in Egitto “non può affermarsi sussistere una situazione di violenza generalizzata di intensità tale da operare indipendentemente da una seppur minima personalizzazione individuale”; e ciò ha fatto sulla base di fonti qualificate (Unità COI-Ministero dell’interno; Freedom House) e aggiornate (al gennaio 2018), laddove le informazioni tratte dal rapporti di Amnesty International, sintetizzate a pag. 7 del ricorso, sono prive di una specifica collocazione temporale.

5. Il terzo motivo prospetta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, con riguardo alla protezione umanitaria, in uno alla insufficiente motivazione su alcuni elementi (giovane età, attività lavorativa, inserimento sociale) ed omessa motivazione su altri (la situazione del Paese d’origine).

6. Con il quarto motivo ci si duole analogamente della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34 per omessa motivazione sull’esistenza di situazioni vulnerabili.

7. Tali ultimi due motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

7.1. Il tribunale, con una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità, ha in realtà vagliato gli elementi offerti dalla difesa del ricorrente, per concludere che il documentato svolgimento di attività lavorativa non integra “un quadro sufficiente a comprovare una situazione di integrazione come richiesta dalla giurisprudenza citata” (segnatamente Cass. 4455/2018) e che il ricorrente non ha dimostrato il suo radicamento sul territorio, vivendo con uno zio per mantenere il proprio nucleo familiare residente in Egitto, “paese nel quale il reperimento di una attività lavativa, raffrontata a quella svolta dal ricorrente in Italia, non risulta seriamente pregiudicata”, anche alla luce dei dati sulla situazione economica egiziana contestualmente riportati; ha infine aggiunto che “la certificazione medica prodotta dà conto di una lombalgia pur ricorrente e definita cronica ma non necessariamente di cure non disponibili nel paese di origine”.

7.2. Un simile ordito motivazionale rispetta i principi elaborati da questa Corte, per cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. 17072/2018). Inoltre, non è “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019).

8. In conclusione, il ricorso va rigettato; in assenza di difese degli intimati non ricorrono i presupposti per la pronunzia sulle spese.

9. Poichè il ricorrente risulta ammesso in via provvisoria al Patrocinio a spese dello Stato, con conseguente prenotazione a debito del contributo unificato, si dà atto che, persistendo tale condizione, non va applicato il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

10. Da ultimo occorre dichiarare il non luogo a provvedere sulla “istanza di liquidazione compenso al difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato”, pervenuta in data 02/08/2019, poichè “in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito” (Cass. 23007/2010, 11028/2009).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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