Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3362 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. III, 12/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31783/2005 proposto da:

JACKLON DI GIACALONE DANIELE ANDREA & C SAS, (già di

Liliana

Azzolini Giacalone), in persona del socio accomandatario, Sig.

G.D.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNG.RE MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato MANFREDONIA

Massimo, che lo rappresenta e difende 88 unitamente agli avvocati

CORIELLI ELENA, CORIELLI GIUSEPPE giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

VERAL ITALIANA DI VIOLETTA TOLLOY & C SAS, (OMISSIS), in persona

della liquidatrice e legale rappresentante pro tempore, Signora

T.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PZZA MAZZINI 8,

presso lo studio dell’avvocato CRIMI Giuseppe, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASSIRONI GUIDO MARCO giusta delega a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2082/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Terza Civile, emessa il 12/07/2005, depositata il 12/09/2005;

R.G.N. 3960/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato MANFREDONIA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 16 marzo 1995 Veral Italiana di Violetta Tolley e C. s.a.s. conveniva in giudizio Jackson di Liliana Azzolini Giacalone e C. s.a.s. (di seguito, rispettivamente, Veral e Jackson), chiedendone, ex art. 1591 cod. civ., la condanna al risarcimento dei danni per la ritardata consegna di un capannone industriale di sua proprietà: la mora, iniziata il (OMISSIS), data di cessazione della locazione, si era protratta fino al (OMISSIS), data della riconsegna.

Resisteva Jackson, che insisteva per il rigetto dell’avversa pretesa.

Con sentenza depositata il 1 settembre 2003 il Tribunale di Monza, in accoglimento della domanda attrice, condannava la conduttrice al pagamento della somma di Euro 69.147,22, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 16 marzo 1995 al saldo.

Proposto gravame dalla società soccombente, la Corte d’appello di Milano, in data 12 settembre 2005, lo respingeva.

Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione Jackson di Giacalone Daniele Andrea s.a.s. (già di Liliana Azzolini Giacalone), articolando tre motivi.

Resiste con controricorso Veral Italiana di Violetta Tolley e C. s.a.s..

La ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo la società Jackson denuncia violazione e falsa applicazione degli artT. 2697, 1591, 1288 e 1223 cod. civ., nonchè omessa ed errata motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, per avere il giudice di merito accolto la domanda benchè Veral non avesse, in realtà, dimostrato nè l’effettivo prodursi di un danno, nè il nesso causale tra lo stesso e il ritardo nella riconsegna dell’immobile. Sostiene che, nel motivare il suo convincimento, la Corte territoriale aveva richiamato argomenti idonei a prospettare l’astratta commerciabilità del bene e la sua idoneità a soddisfare esigenze di un pubblico potenzialmente interessato a utilizzarlo, senza affatto preoccuparsi di verificare in concreto la sussistenza effettiva del pregiudizio lamentato e la sua misura, in contrasto con gli enunciati del Supremo Collegio, che costantemente esige, ai fini dell’accoglimento della domanda di danni ex art. 1591 cod. civ., l’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto dell’immobile. Fuorviante e inconsistente era poi il riferimento sia al canone spuntato da Veral nel (OMISSIS), sia alla somma concordata inter partes nella parte finale del rapporto: il primo, era infatti un dato inconferente ai fini del decidere, dovendosi avere riguardo al canone corrente di mercato del (OMISSIS), anno in cui la conduttrice avrebbe dovuto rilasciare l’immobile; la seconda era in realtà espressiva soltanto del compenso preteso dal locatore per differire la riconsegna.

1.2 Col secondo mezzo l’impugnante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ., nonchè omessa e contraddittoria motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, per avere la Corte territoriale affermato che non poteva essere rimesso in discussione, in quanto statuizione ormai coperta dal giudicato, che il contratto era cessato il (OMISSIS) e che Veral avrebbe dovuto riottenere a quella data la disponibilità dell’immobile.

Il giudice di merito avrebbe cosi fatto malgoverno del principio che esige, per rilevare la formazione di un giudicato esterno, la prova rigorosa dell’identità tra le questioni trattate nell’altro giudizio (e quindi anzitutto, soggetti, petitum e causa petendi) e quelle proposte in un successivo procedimento. In tale prospettiva il giudicato sulla risoluzione di un contratto a una certa data non poteva inibire la possibilità di indagare l’attività delle parti in epoca successiva, trattandosi di circostanze che in quel giudizio non erano mai state prese in considerazione, in quanto estranee al thema decidendum. Non a caso durante tutto il corso del processo egli aveva evidenziato una serie di elementi di portata tale da escludere, in modo inequivocabile, un’occupazione abusiva per il tempo successivo al (OMISSIS).

1.3 Col terzo motivo l’impugnante lamenta difetto di motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento alle censure formulate nei confronti della sentenza di primo grado in ordine ai criteri di calcolo della variazione del canone di locazione nel periodo dal (OMISSIS). L’errore prospettico in cui era caduto il consulente, e di riflesso il decidente, consisteva nell’aver determinato il costo della locazione facendo riferimento ai canoni correnti di mercato, rispettivamente, alla data del 28 marzo 1984 e alla data del 31 dicembre 1993, senza considerare che il canone, una volta convenuto, era suscettibile di variazione solo nei limiti del 75% dell’indice inflattivo calcolato dall’ISTAT, e ciò sia per il primo che per il secondo sessennio.

2.1 Si ritiene opportuno partire dall’esame del secondo motivo di ricorso che, in quanto attinente alla individuazione della data in cui Veral aveva diritto a riottenere la disponibilità dell’immobile – e, specularmente, del momento a partire dal quale la conduttrice poteva ritenersi in mora nella restituzione, ex art. 1591 cod. civ. – investe una questione preliminare ai fini dello scrutinio sulla correttezza della decisione impugnata.

In proposito mette conto evidenziare che la Corte territoriale, ricostruito il complesso accavallarsi del contenzioso tra le parti, ha ritenuto coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza 534/99, del 24 novembre 1998/16 marzo 1999, tutta la tematica relativa alla natura, alla durata, alla presunta prosecuzione del contratto, “anche dopo la data di ritenuta risoluzione del marzo 1984”, agli asseriti “accordi intervenuti tra le parti” per la cessazione del rapporto locatizio, sotto la data del 31 dicembre 1993, conseguentemente affermando che non poteva più essere posto in discussione che il contratto fosse cessato il (OMISSIS).

A fronte di una così secca e perentoria asserzione – espressamente formulata proprio con riguardo alla presunta prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del (OMISSIS) la censura, involgendo l’erronea valutazione di un documento, doveva contenere, per il principio di autosufficienza, la trascrizione del testo integrale o della parte più significativa dello stesso, e ciò anche al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo circa la denunciata inadeguatezza della motivazione (confr. Cass. civ., 3^, 27 gennaio 2009, n. 1952).

Si ricorda, in proposito, che, occupandosi della deduzione del giudicato esterno, questa Corte, dopo avere affermato che la relativa interpretazione ben può essere da essa direttamente effettuata, ha precisato che è a tal fine necessario che il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (confr. Cass. civ., 3^, 29 settembre 2007, n. 20594; Cass. sez. un. 27 gennaio 2004, n. 1416.

Poichè l’esposizione del motivo non risponde in alcun modo ai principi emergenti dalla riportata giurisprudenza, ne consegue che esso è inammissibile.

2.2 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, il primo e il terzo motivo di ricorso.

Essi sono infondati per le ragioni che seguono.

Il ritardo del conduttore nella riconsegna della cosa locata costituisce un comportamento antigiuridico, fonte di responsabilità contrattuale, in quanto potenzialmente lesivo del patrimonio del locatore: esso legittima pertanto la condanna del conduttore al risarcimento dei danni, sempre che di questi venga data idonea dimostrazione. A tal fine questa Corte ha più volte ribadito che la parte che ne chieda il ristoro può dare la prova del pregiudizio subito con ogni mezzo, e quindi anche con presunzioni, segnatamente valorizzando elementi quali le condizioni dell’immobile, la sua ubicazione, le possibilità di una specifica, attuale utilizzazione nonchè l’eventuale esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene 11 godimento dietro corrispettivo (confr. Cass. civ., 3^, 12 dicembre 2008, n. 29202; Cass. civ. 3^, 16 settembre 2008, n. 23720).

2.3 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale, premesso che non esiste nell’ordinamento vigente una gerarchia tra le possibili fonti di prova, di modo che la prova per presunzioni ha la medesima dignità di ogni altro tipo di riscontro, ha ritenuto corretta la quantificazione dei danni operata dal giudice di prime cure, in ragione: a) della marcata destinazione industriale e/o commerciale del capannone, deducibile dalle sue caratteristiche costruttive, dalle sue dimensioni, e dal fatto di essere dotato di cortili anteriori, posteriori e laterali, nonchè di una palazzina per gli uffici e di locali accessori; b) della collocazione strategica della struttura nella cintura produttiva limitrofa a (OMISSIS), molto ben collegata con vie a scorrimento veloce, percorribili anche con mezzi eccezionali; c) della circostanza che esso era stato reinserito nel mercato delle locazioni industriali dopo solo quattro mesi dalla restituzione e a un canone assolutamente appetibile.

A fronte di un compendio motivazionale così analitico e persuasivo, le critiche formulate dalla ricorrente, lungi dall’evidenziare lacune e illogicità argomentative, mirano surrettiziamente a introdurre una revisione del merito del convincimento del giudice di appello, e cioè a sollecitare un tipo di sindacato precluso in sede di legittimità.

2.4 Con specifico riguardo, poi, ai rilievi formulati nel terzo motivo di ricorso essi, in quanto incentrati sulla pretesa necessità di calcolare, sul canone ragionevolmente ipotizzabile con riferimento all’anno 1984, l’incremento nei soli limiti del 75% dell’indice inflattivo calcolato dall’ISTAT, introducono una questione non trattata nella sentenza impugnata e quindi nuova. Conseguentemente, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per quel principio di autosufficienza, già innanzi richiamato, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1^, 31 agosto 2007, n. 18440): ciò in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello.

In definitiva l’impugnazione proposta da Jackson di Giacalone Daniele Andrea s.a.s. deve essere integralmente rigettata.

Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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