Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3362 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/02/2017, (ud. 23/01/2017, dep.08/02/2017),  n. 3362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5493/2013 proposto da:

Z.F., P.M.G., elettivamente domiciliati

in ROMA VIA DELLA GIULIANA 9, presso lo studio dell’avvocato

VITTORIO MORRONE, che li rappresenta e difende giusta delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 26/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del 2^ motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Z.F. e P.M.G. propongono due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 36/04/12 del 26 gennaio 2012 con la quale la commissione tributaria regionale Lazio, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni loro notificato il 28 giugno 2008 in revoca delle agevolazioni “prima casa” (imposta di registro ridotta ex nota 2 bis Tariffa Prima Parte all. D.P.R. n. 131 del 1986) da loro fruite in relazione alla vendita, con atto registrato il 31.7.03, di un’unità immobiliare compresa in un fabbricato – sito in (OMISSIS) – di tipologia edilizia “villino”.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: – fosse nella specie applicabile la proroga biennale di esercizio dell’azione impositiva di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 1 bis, con conseguente tempestività dell’avviso opposto; l’agevolazione in oggetto non spettasse, trattandosi di immobile di lusso D.M. LLPP 2 agosto 1969, ex art. 5 (superficie utile superiore a 200 mq; area scoperta di pertinenza superiore di oltre sei volte la superficie coperta).

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

p. 2. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76; L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 1 bis; L. n. 212 del 2000, artt. 2, 3, 6 e 7; nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Ciò per avere la commissione tributaria regionale omesso di rilevare la decadenza triennale dall’attività di accertamento e liquidazione, non essendo applicabile alla materia delle agevolazioni “prima casa” la proroga biennale di cui alla cit. L. n. 289 del 2002, art. 11.

Il motivo è infondato.

Si è infatti più volte sostenuto – con indirizzo al quale si intende dare qui continuità – che il termine triennale per l’accertamento in materia di registro, previsto in via generale dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, è assoggettato alla proroga biennale dettata dalla L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 ed 1 bis, anche nella specifica materia della revoca delle agevolazioni. E ciò senza necessità di esplicito richiamo normativo, posto che una diversa soluzione determinerebbe una incongrua ed irrazionale disparità di trattamento tra ipotesi del tutto equivalenti (tra le molte: Cass. 23222/15; ord. 279/13; ord. 1672/11; 12069/10; 24575/10; ord. 15750/10; ord. 4321/09). Il termine prorogato deve, nella specie, farsi decorrere dalla data di registrazione dell’atto – a partire dalla quale l’amministrazione finanziaria era in condizione di verificare la non spettanza dell’agevolazione – con conseguente tempestività della pretesa tributaria qui esercitata; così come correttamente stabilito dalla commissione tributaria regionale.

Nessun elemento di segno contrario è desumibile da Cass. SSUU 18574/16, relativa a diversa imposta (IVA).

p. 3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione del D.P.R. n. 131 del 1986; della L. n. 212 del 2000, art. 6, art. 7, comma 1; L. n. 241 del 1990; nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Ciò per non avere la commissione tributaria regionale rilevato la carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione opposto (non preceduto da avviso di accertamento) nè, in ogni caso, l’insussistenza dei presupposti per ritenere di lusso l’immobile venduto.

Nemmeno questa censura può trovare accoglimento.

Va intanto considerato come essa non specifichi – dimostrandosi, in ciò, non autosufficiente e, comunque, carente nell’esposizione dei fatti di causa – se, ed in quali termini e modalità, i motivi di impugnazione dell’avviso di liquidazione in oggetto (non esaminati dal primo giudice, la cui assorbente decisione fu nel senso della decadenza dell’amm.ne dalla potestà impositiva) vennero specificamente riproposti in secondo grado (in atto di appello, non in nota integrativa) D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53 e art. 345 c.p.c..

In secondo luogo, essa mira ad inammissibilmente ottenere, nella presente sede di legittimità, la rivisitazione dei risvolti prettamente fattuali della vicenda; segnatamente in ordine al “fatto” che l’immobile compravenduto: – non fosse un unico alloggio padronale (come richiesto dal cit. D.M. 2 agosto 1969, art. 5) bensì una porzione di fabbricato quadrifamiliare; – non avesse superficie utile superiore a 200 mq. (bensì, asseritamente, di mq. 185,98, come desumibile da misurazioni in loco, e non da “indiziari e non corretti rilievi cartacei desunti dal Catasto non aggiornato”); non usufruisse di superficie aperta pertinenziale superiore a sei volte la superficie coperta (considerando la sola porzione del fabbricato costituita dall’appartamento venduto).

Si tratta di aspetti già valutati dal giudice di merito, il cui convincimento si è basato, oltre che sulla nota dell’agenzia del territorio allegata all’avviso opposto, anche alla perizia suppletiva redatta dalla stessa agenzia del territorio in data 4.1.11 (e legittimamente prodotta in appello dall’agenzia delle entrate, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58). Pur trattandosi di valutazione di parte, la commissione di merito ha ritenuto che quanto in essa descritto e riferito attestasse “con chiarezza” il carattere di lusso dell’immobile; in quanto di superficie utile di 238 mq. e con superficie pertinenziale aperta superiore a sei volte l’area di sedime. Detto elaborato tecnico, in particolare, è stato ritenuto sufficiente a smentire gli assunti dei contribuenti – sui quali gravava, per regola generale ex art. 2697 c.c., l’onere di provare i presupposti dell’agevolazione richiesta – in ordine ai diversi connotati fattuali e di superficie asseritamente rivestiti dall’unità immobiliare. Ferma dunque restando la congruità motivazionale della sentenza impugnata, non vi è spazio per addivenire in questa sede ad una diversa delibazione fattuale.

Nè la censura può trovare accoglimento sotto il diverso profilo della carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione; posto che quest’ultimo, così come riportato in ricorso dagli stessi ricorrenti, recava: – precisa indicazione del presupposto normativo di revoca (immobile non di lusso D.M. 2 agosto 1969, ex art. 5); – univoco richiamo alla nota dell’agenzia del territorio che aveva appurato le caratteristiche intrinseche dell’immobile, e che veniva allegata all’avviso stesso, così da renderne pienamente edotti i contribuenti stessi fin dall’esordio della pretesa.

L’avviso impugnato, in ordine al quale non era dalla legge prevista alcuna modalità di preventivo avviso, consultazione o contraddittorio (v. Cass. SSUU n. 24823/2015), recava pertanto puntuale richiamo tanto alle “ragioni giuridiche” della revoca, quanto ai suoi “presupposti di fatto”; con conseguente osservanza sia del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, sia della L. n. 212 del 2000, art. 7 (anche nell’allegazione della citata nota di riferimento).

p. 4. Va detto che i presupposti della revoca dell’agevolazione permangono integri anche alla luce dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a); il quale, nel sostituire il comma 2, dell’art. 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio “prima casa” – sulla base dei parametri di cui al D.M. LL.PP. 2 agosto 1969.

In forza della disposizione sopravvenuta, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale A1, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota Iva ridotta, il legislatore è poi intervenuto con il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33, che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte 2, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione Iva è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie.

Senonchè, il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1 gennaio 2014, come espressamente disposto dal cit. D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5.

Il trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua pertanto ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina; come detto incentrata sui requisiti del citato D.M..

Fermo dunque restando il pregresso regime impositivo sostanziale, si ritiene dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. 13235/16 – che una diversa soluzione si imponga invece per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato.

In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”.

La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex art. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE e art. 7 CEDU si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” (sempre secondo i suddetti parametri ministeriali); vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento.

In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dal comma 4 dell’art. 1, Parte Prima, Tariffa D.P.R. n. 131 del 1986 cit. – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.

E’ vero che la modifica normativa non ha abolito nè l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), nè le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione; e tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione.

Il che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “abolitio criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatorio (Cass. 25754/14; Cass. 25053/06).

Va poi considerato come ci si trovi qui di fronte ad una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite. Perchè qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione; fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio.

In maniera tale che l’amministrazione finanziaria mantiene, come detto, la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile dall’immobile trasferito; senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.

In definitiva, l’applicazione dello jus superveniens induce al parziale accoglimento del ricorso, limitatamente alla non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto.

Conclusione, quest’ultima, che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; e quindi anche in sede di legittimità (tra le altre: Cass. 1856/13; Cass. 4616/16; Cass. 16679/16 e Cass. ord. 13235/16 cit.).

Ciò perchè, stante l’avvenuta contestazione da parte del contribuente della legittimità della revoca dell’agevolazione, è per ciò solo escluso che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue. Nè – trattandosi di eliminazione delle sanzioni, e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile – si richiedono accertamenti fattuali di sorta.

All’esito del giudizio, sussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese dei gradi di merito e legittimità.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione;

– cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le sanzioni;

– compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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