Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33606 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 18/12/2019), n.33606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27977/2014 R.G. proposto da:

T.A., C.F. (OMISSIS) e D.G.G., C.F.

(OMISSIS), residenti in Tarquinia, Via degli Alvethna n. 134,

rapp.ti e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv.to Norberto Ventolini del Foro di Viterbo, elett. dom.ti

presso il suo studio in Tarquinia, V.le Igea n. 21;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rapp.ta e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

Sez. 2 N. 2474/02/2014 depositata il 14 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 luglio

2019 dal Consigliere Luigi Nocella.

Fatto

RILEVATO

che:

T.A. e D.G.G. impugnavano innanzi alla CTP di Viterbo l’avviso di liquidazione N. 2005-1T001102000, notificato dall’Agenzia delle Entrate di Viterbo, con il quale questa, sul presupposto della non spettanza dell’agevolazione IVA prima casa richiesta per l’acquisto di un immobile in Tarquinia ritenuto abitazione di lusso, aveva recuperato la relativa IVA nella misura di Euro 26.419,50 ed aveva comminato sanzioni per Euro 7.146,00. In particolare i ricorrenti avevano dedotto che l’immobile aveva estensione pari alla metà dell’intero villino, per mq.118 ed area scoperta di mq. 778. Con successivo ricorso, poi riunito al primo, i medesimi contribuenti hanno altresì impugnato la cartella esattoriale emessa per il recupero delle somme oggetto di controversia.

Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP con sentenza N. 158/02/2010, accoglieva i ricorsi; detta sentenza è stata riformata, sull’appello dell’Agenzia, dalla CTR del Lazio con la sentenza oggi impugnata: i Giudici d’appello hanno ritenuto che le concrete caratteristiche dell’immobile non facessero venir meno la qualificazione di abitazione di lusso connessa alla sua edificazione su “aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati o approvati, a ville o a parco privato”, secondo la previsione dell’art. 1 DM 2 agosto 1969.

Il T. e la D.G. ricorrono per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 20.11.2014 e depositato il 5.12.2014, articolando due motivi di censura.

L’Agenzia delle Entrate non ha notificato controricorso, ma si è costituita ai soli fini dell’eventuale discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I ricorrenti denunciano, con il primo motivo di ricorso, violazione e falsa applicazione del D.M. 2 agosto 1969, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: deducono che nel corso del giudizio era stata data prova che l’area sulla quale era stato realizzato l’immobile de quo non era destinata dallo strumento urbanistico vigente a ville o parchi privati, essendo stata invece edificata in virtù di convenzione di lottizzazione antecedente all’entrata in vigore del cennato decreto; così come la tipologia edificatoria non aveva caratteristiche di lusso, nè nelle previsioni della lottizzazione nè nella realtà concreta, nè nella certificazione rilasciata dal Comune, che enuncia destinazione a “ville unifamiliari isolate”; donde l’inapplicabilità della norma impiegata dalla CTR per regolare la fattispecie. Inoltre era stata provata l’inapplicabilità degli altri criteri previsti sia dal D.M.m art. 2, in epigrafe (essendo la costruzione un villino bifamiliare ed essendo il lotto impiegato ben inferiore al limite minimo di mq.3000) che dall’art. 5, avendo l’immobile superficie di mq.180, inferiore al limite minimo previsto per la abitazioni di lusso. Sotto il profilo della corretta interpretazione del D.M., art. 1 (ai cui fini invocano e riportano il precedente di Cass. sez. V ord. 23.02.2012 n. 2755), i ricorrenti evidenziano come la condizione della insistenza su area finalizzata alla costruzione di ville non sia da sola sufficiente a determinare la qualificabilità come di lusso di qualsivoglia tipologia di edificio costruito sulla stessa, per la quale dovrebbero sempre soccorrere gli ulteriori criteri enunciati nelle norme successive.

Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa il punto decisivo e controverso della destinazione urbanistica dell’area alla realizzazione di ville o parchi privati: invero tale destinazione non compariva nè nella convenzione di lottizzazione, nè nell’atto di compravendita dell’immobile, laddove la CTR l’avrebbe ricavata sia dalla sentenza impugnata che dalle difese dei ricorrenti in primo grado. I ricorrenti evidenziano come la CTP l’avrebbe evinta da una comunicazione del Comune all’Agenzia, inidonea a superare il dato oggettivo della documentazione ufficiale, essendo peraltro incontroverso che l’immobile tassato era parte di un villino bifamiliare e non unifamiliare come comunicato dal Comune; mentre nelle difese di entrambi i gradi, che riportano integralmente aì fini dell’autosufficienza, non comparirebbe alcuna ammissione diretta o indiretta della destinazione a villa delle aree e/o delle costruzioni medesime.

Il primo motivo è infondato in entrambi i profili prospettati.

Il D.M. n. 2 agosto 1969, applicabile in tema di IVA al fine del riconoscimento dei benefici fiscali per l’acquisto della prima casa, è formulato in modo da individuare, in ciascuno dei suoi articoli, altrettante ipotesi nelle quali un’abitazione può acquisire caratteristiche di lusso; sicchè per le abitazioni definite di lusso in base alle caratteristiche di destinazione urbanistica dei suoli sui quali sono edificate (art. 1), che questa Corte ha già in precedenti pronunce individuato come “indice di particolare prestigio, e risulta, quindi, caratteristica idonea, di per sè, a qualificare l’immobile come di lusso” (Cass. sez. VI-V ord. 22.06.2017 n. 15553; Cass. sez. VI-V ord. 23.02.2012 n. 1755, quest’ultima testualmente riportata nel ricorso), non deve concorrere alcuna altra condizione di superficie o di caratteristiche qualitative o di estensione o di dotazioni tecnologiche previste negli altri articoli.

Che tale sia la corretta lettura della norma, è confermato dalla circostanza che lo stesso art. 1 del D.M. n. in esame, come enunciato dagli stessi ricorrenti, prevede tre ipotesi, alternative tra loro, di attribuzione alle abitazioni della qualifica di lusso da parte degli strumenti urbanistici: le “ville”, senza altra specificazione, il “parco privato” ovvero altre costruzioni alle quali la previsione urbanistica attribuisca caratteristiche “di lusso”; e la stessa ordinanza di questa Corte riportata nel ricorso, dopo aver ribadito che la qualificazione di villa è di per sè sufficiente ad attribuire la natura di abitazione “di lusso”, ben lungi dall’affermare la necessità del concorso di ulteriori caratteristiche qualificanti, ha specificato che nella fattispecie esaminata concorrevano anche altre caratteristiche qualitative da sole sufficienti a confermare tale natura, al solo fine di evidenziare che il ricorso era manifestamente infondato.

Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la destinazione urbanistica del terreno non può scaturire dalla convenzione di lottizzazione, che può disciplinare esclusivamente modalità costruttive, distribuzione, caratteristiche dei lotti e delle costruzioni, bensì soltanto dalla zonizzazione contenuta nello strumento urbanistico generale o in quelli particolareggiati, ove dai primi previsto; nè la certificazione urbanistica può sostituirsi a dette previsioni, trattandosi comunque di atto che il Giudice ha il potere di interpretare e di verificare anche nella sua corrispondenza alle reali previsioni urbanistiche vigenti; mentre gli stessi ricorrenti, nell’illustrare il motivo, evidenziano (pag.15) come l’attribuzione della destinazione urbanistica, da parte dell’Agenzia prima e dei Giudici di merito poi, si sia fondata su una “comunicazione rilasciata dal Comune di Tarquinia che fa solo riferimento a ville unifamiliari isolate”, che comunque contiene un concreto riferimento al concetto di villa, a prescindere dal non previsto concorso di ulteriori delimitanti caratteristiche.

Nel caso oggetto dell’odierno giudizio la CTP ha accertato e statuito che “Il terreno sul quale è stato edificato il fabbricato in esame è…destinato alla costruzione di ville unifamiliari, come tutta la lottizzazione…”; e la CTR, nel confermare tale accertamento, ha aggiunto che tale circostanza “è stato riconosciuto…anche dagli stessi ricorrenti in primo grado”.

Orbene, con il secondo motivo di ricorso il T. e la D.G. contestano la sussistenza o la sufficienza di motivazione circa la fonte della destinazione urbanistica a “ville unifamiliari”, asseritamente contestata in entrambi i gradi. Va premesso che il motivo, così come formulato, è inammissibile a seguito della entrata in vigore (11 settembre 2012) della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta con il di. n. 83/2012, che ammette esclusivamente la proposizione di censure contro l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, espungendone le ipotesi di contraddittoria o illogica motivazione, con la conseguente improponibilità delle censure di omessa o insufficiente motivazione avverso le sentenze pubblicate dopo detta data; infatti “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. sez. II ord. 29.10.2018 n. 27415), così come l’omesso esame di allegazioni difensive (Cass. sez. I ord. 18.10.2018 n. 23605); laddove la censura proposta dai ricorrenti si fonda appunto sull’omessa motivazione circa le allegazioni in fatto ed i documenti prodotti in causa.

E’ ben vero che questa Corte ha affermato che l’omessa motivazione della sentenza oggetto di ricorso potrebbe assumere rilievo quale motivo di ricorso ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c., qualora tuttavia l’esame “si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” (Cass. sez. II ord. 13.08.2018 n. 20721), così violando radicalmente l’obbligo motivazionale sancito nell’art. 111 Cost.; e tuttavia nella fondamentale pronuncia di Cass. SU 7.04.2014 n. 8053, è stato puntualizzato che il vizio deve risultare dal testo stesso della sentenza o degli atti processuali, che, ove esaminato, avrebbe determinato indefettibilmente un diverso esito della controversia, e che “il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente”.

Orbene, per quanto sopra enunciato in riferimento al precedente motivo, nessuno dei documenti o atti indicati dai ricorrenti si trova prova o dato ex se decisivo nel senso postulato dai ricorrenti, essendo tutti documenti che postulavano il prudente apprezzamento del Giudice di merito, anche con riferimento alla contraria fonte probatoria sulla quale si fondava l’accertamento dell’Agenzia ed implicitamente ritenuto sufficiente dai Giudici di merito; quanto al testo del certificato di destinazione urbanistica, pur obliterando i limiti della sua efficacia probatoria, esso è stato riportato, nel corpo del ricorso, parzialmente ed in modo incompleto, risultando carente proprio nella parte essenziale relativa alla precisa destinazione urbanistica che dovrebbe attestare; sicchè in nessun caso potrebbe postularsi la decisività del fatto storico nel senso richiesto dalla Corte nella menzionata sentenza.

Il ricorso pertanto deve essere respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali di fase, nella misura liquidata in dispositivo; sussistono altresì i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma l quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese della presente fase, che liquida in complessivi Euro 4.100,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ai sensi dello stesso art. 13, ex comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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