Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33602 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 18/12/2019), n.33602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12214/2018 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

contro

M. Uno Trading Consorzio Grandi Magazzini in liquidazione, in persona

del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

G. D’Arezzo n. 18, presso lo studio CBA Studio Legale e tributario,

rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Marco Iacobone e

Gianluca Antonio Francesco Ferri, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 637/05/17, depositata il 2 maggio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Nonno Giacomo Maria.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con la sentenza n. 637/05/17 del 02/05/2017, la Commissione tributaria regionale della Liguria (hinc CTR) respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza n. 140/01/12 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia (hinc CTP), che aveva accolto il ricorso proposto da M. Uno Trading Consorzio Grandi Magazzini (hinc M. Uno), nei confronti di un atto di contestazione sanzioni in relazione ad un’importazione di lampade a basso consumo energetico avvenuta negli anni 2005 e 2006;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, gli avvisi di contestazione sanzioni conseguivano alla violazione della normativa unionale anti dumping, essendo le lampade importate dalla Malesia di origine cinese, differentemente da quanto risultante dai certificati di origine preferenziale;

1.2. la CTR confermava la sentenza impugnata dall’Agenzia delle dogane evidenziando che: a) l’irrogazione della sanzione era “concepibile se connessa ad errore o inesattezza dichiarativa sulla quantità, qualità e valore della merce ma non per quanto attiene l’origine delle merci stesse nella dichiarazione doganale”, non potendo l’importatore controllare l’origine del prodotto dichiarato dall’esportatore e certificata dall’Autorità doganale del Paese di esportazione; b) M. Uno non aveva avuto alcun ruolo nella frode in ragione della mancanza di convenienza economica nell’acquisto del prodotto dalla Malesia, come accertato dal giudice penale; c) la società contribuente non era nemmeno operatore professionale del settore lampade, il che conferma la sua buona fede, con conseguente esclusione delle sanzioni;

2. l’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. M. Uno resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 3 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando la nullità della sentenza che non conterrebbe nè la concisa esposizione dello svolgimento del processo, nè le richieste delle parti;

2. il motivo è infondato;

2.1. è noto che “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione” (Cass. n. 920 del 20/01/2015; Cass. n. 22845 del 10/11/2010);

2.1.1. inoltre, “è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poichè, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame” (così Cass. n. 24452 del 05/10/2018; in senso sostanzialmente conf. Cass. n. 15884 del 26/06/2017; Cass. n. 13148 del 11/06/2014; Cass. n. 28113 del 16/12/2013);

2.2. nel caso di specie, la sentenza impugnata: a) è intellegibile perchè chiarisce, sia pure succintamente, l’oggetto del giudizio (impugnazione di atto di contestazione sanzioni comminate a seguito dell’importazione di lampade di origine diversa da quella dichiarata); b) motiva per relationem unicamente con riferimento ai fatti all’origine del contenzioso ma indica specificamente le ragioni della decisione; c) attraverso l’esame di dette ragioni può facilmente risalirsi alle contestazioni mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado;

2.3. in buona sostanza, alla luce dei principi di diritto enunciati dalla S.C., non sussistono i presupposti di legge per la dichiarazione di nullità della sentenza, che, peraltro, si rivela perfettamente intellegibile, avendo la parte ricorrente impugnato il provvedimento con riferimento ad ogni specifica statuizione del giudice di merito;

3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico sulla legge doganale – TULD), art. 303, comma 3, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la menzionata disposizione trova applicazione anche all’ipotesi in cui il dichiarante in dogana faccia riferimento ad una diversa origine della merce rispetto a quella effettiva;

4. il motivo, sufficientemente specifico a differenza di quanto dedotto da parte controricorrente, è altresì fondato;

4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di dazi doganali, la qualità di una merce rappresenta il coacervo degli elementi distintivi di essa e ricomprende tra i medesimi anche il dato di origine, che assume una connotazione del tutto pregnante sia in relazione alle caratteristiche del bene a fini civilistici, sia in relazione alla correttezza delle dichiarazioni doganali in funzione della circolazione delle merci e dell’efficienza dei controlli, tanto più in considerazione delle eventuali preferenze tariffarie a taluni prodotti originari di Paesi in via di sviluppo accordate dall’Unione Europea; ne consegue che la sanzione prevista dall’art. 303 del TULD riguarda ogni ipotesi di difformità o falsità della dichiarazione doganale in ordine ai suoi elementi essenziali, afferenti, cioè, oltre che a valore, quantità, qualità delle merci, anche, all’origine delle merci stesse, atteso che il comma 3 della norma in esame non pone distinzioni di fattispecie e che il comma 1 menziona le difformità di qualità da interpretarsi estensivamente (e non analogicamente) come comprensive, anche, delle diversità di origine” (Cass. n. 14042 del 03/08/2012; si vedano anche Cass. n. 3467 del 14/02/2014; Cass. n. 15872 del 29/07/2016; Cass. n. 2169 del 25/01/2019);

4.2. ne consegue che ha errato la CTR ad escludere l’applicazione dell’art. 303 TULD in ipotesi di falsa dichiarazione di origine della marce;

5. con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane contesta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5 e dell’art. 201 del regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (Codice doganale comunitario – CDC), applicabile ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che il richiamo della CTR alla buona fede del dichiarante, fondata sulla estraneità alla frode ritenuta dal giudice penale e sulla mancanza di un vantaggio economico per M. Uno sarebbe inidoneo ad escludere l’applicabilità delle sanzioni;

6. il motivo è fondato;

6.1. è noto che l’obbligazione doganale sorge con la dichiarazione, quale effetto della indicazione di un determinato regime doganale in essa contenuto, e si lega soggettivamente all’autore della dichiarazione, indipendentemente dal rapporto che il dichiarante abbia con la merce (cfr. Cass. n. 5560 del 26/02/2019);

6.2. il dichiarante può esimersi dalla responsabilità doganale solo nei casi previsti dall’art. 220, p. 2, lett. b), CDC e, dunque, allorquando: a) i dazi non siano stati riscossi per un errore delle autorità competenti; b) detto errore sia tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede; c) il dichiarante abbia rispettato tutte le prescrizioni normative riguardanti la sua dichiarazione in dogana (Cass. n. 5560 del 2019, cit.; Cass. n. 7702 del 27/03/2013);

6.2.1. in particolare, “l’errore delle autorità doganali non è integrato dalla mera ricezione di dichiarazioni inesatte, in quanto l’Amministrazione non è tenuta a verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo delle autorità competenti, in quanto la comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze dei comportamenti scorretti dei fornitori ed il legittimo affidamento è protetto solo quando sono state tali autorità ad avere determinato i presupposti sui quali si basa la fiducia dell’importatore, che, per tutta la durata delle operazioni commerciali, ha agito con la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176, comma 2, c. c. per verificare la ricorrenza delle condizioni del trattamento preferenziale, mediante un esigibile controllo sull’esattezza delle informazioni rese dall’esportatore” (Cass. n. 4059 del 12/02/2019; si veda anche Cass. n. 3739 del 08/02/2019);

6.3. il dichiarante può, pertanto, andare esente da responsabilità solo alle condizioni sopra indicate, rispondendo altrimenti anche delle sanzioni comminate in applicazione dell’art. 303 TULD;

6.3.1. invero, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorchè non necessariamente doloso;

6.3.2. è, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (Cass. n. 22329 del 13/09/2018; si vedano, altresì, Cass. n. 14042 del 03/08/2012; Cass. n. 13068 del 15/06/2011; Cass. n. 22890 del 25/10/2006; sulla non necessità di un intento fraudolento si veda anche Cass. n. 4171 del 20/02/2009);

6.4. orbene, la CTR non ha fatto buon governo dei superiori principi di diritto, riconoscendo la buona fede di M. Uno in ragione di elementi irrilevanti, quali l’assenza di un intento fraudolento evincibile dalla mancata partecipazione alla frode e dall’insussistenza di un vantaggio economico – e la impossibilità di essere a conoscenza della diversa origine della merce rispetto a quanto dichiarato;

6.5. invero, sotto il primo profilo, l’insussistenza di un intento fraudolento non esclude – come detto – l’applicabilità della sanzione e, sotto il secondo profilo, la CTR non ha compiuto alcuna indagine in ordine alla violazione degli obblighi di diligenza professionale comunque gravanti sull’importatore che ha fatto la dichiarazione in dogana in ordine alla conoscibilità della falsità del certificato di origine preferenziale (cfr., da ultimo, Cass. n. 11631 del 03/05/2019: “in tema di dazi doganali, non può essere riconosciuto il legittimo affidamento del debitore, ai sensi dell’art. 220, par. 2, lett. b), del regolamento CEE del 12 ottobre 1992, n. 2913 (Codice doganale comunitario) e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1, ove la relazione dell’OLAF, suffragata dalle prove supplementari fornite dall’autorità doganale, accerti che il certificato prodotto allo scopo di fruire dell’aliquota daziaria ridotta è falso”), limitandosi ad affermare che M. Uno “non era operatore professionale nel settore lampade”.

7. in conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con conseguente rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 18 dicembre 2019

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