Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3360 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. III, 12/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26424/2005 proposto da:

P.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELL’ELETTRODOTTO 35, presso lo studio dell’avvocato ING.

LOMBARDO ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato PEZZANGORA

Ferruccio, con studio in Padova, Via Scrovegni n. 29, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ARCHIANO 1, presso lo studio dell’avvocato VECCHIONI

VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato BERARDI Luigi giusta

delega a margine del controricorso;

D.P.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso lo studio dell’avvocato

SPAZIANI TESTA EZIO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VOCCOLA LUIGI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

S.N., S.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 625/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione Quarta Civile, emessa il 16/02/2005, depositata il

14/04/2005; R.G.N. 1040/2002.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato PEZZANGORA FERRUCCIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter processuale può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata.

Con atto dell'(OMISSIS) D.P.C., S. N. e S.R. intimavano sfratto per morosità a C.M.. Esponevano che questi, conduttore di un immobile di loro proprietà adibito a studio professionale, aveva, in data (OMISSIS), disdettato il contratto per la data del (OMISSIS), momento a partire dal quale aveva cessato di pagare il canone di locazione. Dedotto che l’immobile non era stato tuttavia ancora restituito, chiedevano che fosse pronunciata ordinanza non impugnabile di rilascio e quindi sentenza di sfratto.

Resisteva il C., il quale non contestava quanto dedotto dagli attori ma, precisato che il contratto prevedeva espressamente la possibilità di sublocare, anche in parte, il bene, con esonero dei proprietari da qualsiasi rapporto con eventuali subconduttori, esplicitava di avere subconcesso l’immobile a tale P.N., espressamente prevedendo che tale contratto dovesse avere durata pari a quella del contratto principale.

Anche il P. si costituiva, eccependo la simulazione, sotto il profilo che in realtà, sin dall’origine, l’immobile era stato locato a lui e al C., ciascuno per la metà.

Con sentenza del 5 dicembre 2001 il Tribunale di Padova, accertata la cessazione del contratto di locazione al 19 febbraio 1993 per recesso del conduttore C. e, conseguentemente, la cessazione del contratto di sublocazione stipulato dallo stesso con il P. in data (OMISSIS), ordinava a quest’ultimo di rilasciare l’immobile.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Venezia, in data 14 aprile 2005, innanzi alla quale aveva interposto gravame il P..

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione P. N..

Resistono con controricorso D.P.C. e C. M..

Quest’ultimo e il P. hanno altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2722, 2724, 2725 e 2729 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per non avere il decidente ammesso la prova per interpello e per testi, articolata nel giudizio di merito, e per non avere neppure preso in considerazione la prova per presunzioni semplici offerta dall’appellante.

Erroneamente la Corte territoriale avrebbe invero affermato che, in base all’art. 1417 cod. civ., se la domanda di simulazione è proposta dalle parti, la prova può essere fornita solo per iscritto.

Non aveva il giudice a quo considerato che, in caso di contratto di locazione intranovennale, per il quale la forma scritta non è richiesta nè ad substantiam, nè ad probationem, la prova orale (o per presunzioni) della simulazione può ammettersi, ex art. 2724 cod. civ., n. 1, sempre che vi sia un principio di prova per iscritto, nella specie costituito, tra l’altro, da vari assegni bancari tratti dal P. direttamente all’ordine dei proprietari in pagamento del canone di sua competenza, dalla ricevuta di versamento della metà della tassa di registro, dal contratto di sublocazione, non a caso decorrente dallo stesso giorno di quello principale.

1.2 Il motivo è inammissibile.

Con riferimento alle critiche in esso esposte, ricorda il collegio che si ha questione nuova, come tale preclusa nel giudizio di cassazione, ogni volta che la parte ricorrente ponga, a base della sua doglianza, la violazione di una norma di diritto non invocata davanti ai giudici di merito e richiami, per sostenerne l’applicabilità, elementi di fatto non dedotti nelle precedenti fasi (confr. Cass. civ., 1^, 30 marzo 2007, n. 7981; Cass. civ. 1^, 27 novembre 1999, n. 13256).

In particolare, secondo il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, qualora una determinata questione giudica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1^, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, di modo che, salvo che si prospettino profili rilevabili d’ufficio, è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (confr. Cass. civ., sez. 1^, 13 aprile 2004, n. 6989).

1.3 Venendo al caso di specie, la Corte territoriale, nel motivare la scelta di non dare ingresso alla prova orale o per presunzioni semplici, ha specificato che nella specie il principio di cui al comb. disp. degli artt. 1417 e 2725 cod. civ., non poteva essere ritenuto inoperante, in ragione di una pretesa contrarietà alla legge dell’atto dissimilato, essendo tale illiceità configurabile solo se la pattuizione persegua interessi che l’ordinamento reprime (confr. Cass. n. 1535 del 2000).

A fronte di tale percorso argomentativo, la deduzione dell’esistenza di un principio di prova per iscritto, e cioè della ricorrenza di altra eccezione al divieto della prova testimoniale, ex art. 2724 cod. civ., integra una questione nuova, come tale inammissibile.

2.1 Col secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1595 cod. civ., comma 3, nonchè della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 27 e 79, per avere la Corte territoriale affermato che la sentenza emessa contro il conduttore esplica nei confronti del sub conduttore gli effetti non solo della cosa giudicata sostanziale, ma anche di titolo esecutivo e che nella causa per finita locazione tra il proprietario e il conduttore il subconduttore può spiegare solo intervento adesivo. Secondo il ricorrente tale assunto, ancorchè accolto dalla prevalente giurisprudenza, dovrebbe essere rivisto, quanto meno con riferimento all’ipotesi in cui, come nella fattispecie, il contratto di sublocazione oggetto della controversia, sia regolato dalla L. n. 392 del 1978. E invero, a opinare diversamente, a ritenere cioè che l’art. 1595 cod. civ., comma 3, operi anche in casi siffatti, si finirebbe per ammettere che, attraverso il meccanismo della sublocazione, possa essere aggirato il disposto dell’art. 27 della predetta legge, a norma del quale la durata della sublocazione (come della locazione) di un immobile adibito a studio professionale non può essere inferiore a sei anni.

2.2 Le critiche sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.

Il giudice di merito ha disatteso le doglianze del P. rilevando che la subconduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato, la cui sorte dipende da quella del rapporto principale e individuando la fonte di tale principio nel disposto dell’art. 1595 cod. civ., comma 3, a norma del quale la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui.

Ciò posto, non coglie nel segno il richiamo al disposto della L. n. 392 del 1978, art. 27. E invero, anche a prescindere dalla novità di tale prospettazione, rispetto al dialogo processuale svoltosi tra le parti, per come ricostruito nella sentenza impugnata, altro è evidentemente, la durata che per legge deve avere il contratto di locazione e di sublocazione, altro è la cessazione anticipata del rapporto, in dipendenza di qualsivoglia atto o fatto che comporti la dismissione anticipata del vincolo. La L. n. 392 del 1978, art. 27 e l’art. 1595 cod. civ., operano invero su piani distinti e ogni tentativo di confondere le relative aree normative è inutile e fuorviante.

3.1 Col terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, e art. 434 c.p.c., comma 1, per avere la Corte d’appello dichiarato inammissibile il motivo di gravame col quale era stato impugnato il mancato riconoscimento, da parte del primo giudice, dei diritti del subconduttore verso il sublocatore, fatti salvi dall’art. 1595 c.c., comma 3, sull’erroneo presupposto dell’inosservanza dell’onere di specificazione imposto dall’art. 342 cod. proc. civ.. Evidenzia segnatamente che nella fattispecie la mancata esposizione della parte argomentativa dell’appello, sanzionata dal giudice a quo, era stata necessariamente determinata dal fatto che il primo giudice aveva respinto la domanda di condanna del sublocatore al risarcimento dei danni subiti dal subconduttore senza alcuna motivazione, anzi tacitamente, non essendosi il Tribunale pronunziato affatto sulla richiesta del P..

3.2 Anche tali censure non hanno pregio.

La Corte territoriale ha motivato il suo convincimento rilevando che l’onere di specificazione dei motivi d’appello imposto dalla norma processuale innanzi richiamata, non può dirsi assolto con il mero, generico richiamo alle difese e alle argomentazioni svolte in prime cure, giacchè detta specificazione risponde alla funzione di delimitare l’ambito della cognizione del giudice di seconde cure e di consentire il puntuale esame delle critiche formulate alla sentenza impugnata.

Ciò posto – e considerato che, per quanto dedotto nello stesso ricorso, l’appellante si era limitato a richiamare, nell’atto di gravame, le considerazioni svolte al capo n. 5 della comparsa di costituzione e risposta del convenuto P.N. – ritiene il collegio che la sentenza impugnata resiste alle critiche formulate dal ricorrente: il giudice di merito ha invero fatto coerente e corretta applicazione del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, e condiviso dal collegio, secondo cui la specificazione dei motivi, imposta dall’art. 342 cod. proc. civ., deve risultare dallo stesso atto di appello, non essendo sufficiente, in relazione ad un autonomo capo della sentenza, il generico rinvio alle difese svolte in primo grado, ed essendo preclusa la precisazione, nel corso del giudizio, di censure che nell’atto di gravame siano siate esposte in maniera del tutto vaga e approssimativa (confr. Cass. civ., 1^, 24 settembre 1999, n. 10493; Cass. civ., 2^, 11 luglio 2003, n. 10937).

In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

La peculiarità della fattispecie consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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