Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 336 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 10/01/2011), n.336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 46 PAL 4^ SC B, presso lo studio

dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentato, e difesa dagli avvocati

PECCHIOLI PAOLO, DE DONNO PECCHIGLI DONATELLA;

– ricorrente –

contro

M.F. c.f. (OMISSIS), L.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 38, presso lo

studio dell’avvocato BOGGIA MASSIMO, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARTELLI FABIO;

N.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI

PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato COEN STEFANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUGGERI IVO MARIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 153/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/01/2005;

Preliminarmente il Presidente ed il Relatore fanno presente che i

ricorrenti hanno presentato istanza di rinvio per impegni

improrogabili;

La Corte vista l’opposizione del P.G. e rilevato che gli impegni non

sono documentabili, e non rinviabili, procede nella trattazione della

causa e si riserva di decidere il ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Coen Stefano e Boggia Massimo con delega depositata

in udienza dell’Avv. Fabio Cartelli difensore dei resistenti che si

rimettono alla richiesta di rinvio depositata da parte ricorrente e

entrambi successivamente chiedono il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso e sull’istanza di rinvio si oppone.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22-3-1982 N.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze G.L. esponendo di essere proprietario di un terreno corrispondente alla porzione D della particeila catastale 112 del fl di mappa 27 del Comune di (OMISSIS); assumeva che al momento della voltura dell’atto di acquisto in suo favore, per un evidente errore materiale del tecnico che aveva dato corso al frazionamento, la situazione era stata catastalmente rappresentata in modo erroneo, ovvero come se la porzione di terreno attoreo (avente forma triangolare) posta a nord della linea tratteggiata di allineamento contenuta nel tipo di frazionamento allegato all’atto di acquisto stesso, facesse parte di un’altra particella catastale, contigua a quella di proprieta’ dell’attore, successivamente acquistata dalla G.L..

Il N., rilevato di essersi reso conto dell’anomalia soltanto allorche’ quest’ultima aveva elevato un muro seguendo piu’ o meno il confine della mappa catastale errata, chiedeva determinarsi il confine tra i fondi delle parti sulla base del frazionamento D’Onza n. 26/65 allegato al titolo d’acquisto, e condannarsi la convenuta alla restituzione della zona di terreno illegittimamente occupata di proprieta’ dell’istante, in particolare del triangolo di mq. 130 lungo la via (OMISSIS) come risultante dal suddetto frazionamento.

Costituendosi in giudizio la G.L., oltre a contrastare la domanda attrice, in via riconvenzionale sosteneva che il N., in riferimento alla linea di confine est-ovest comunque esistente tra i fondi, non aveva rispettato le distanze di legge nella costruzione del suo fabbricato.

All’udienza del 9-3-1994 le parti, richiamando l’accordo raggiunto in precedenza, convenivano la conciliazione della lite transattivamente;

in base a tale accordo il N. rinunciava a rivendicare il triangolo di mq. 130 circa di cui all’atto di citazione, entrambe le parti dichiaravano che il confine tra le due proprieta’ era quello determinato dai consulenti tecnici di parte, la G.L. si dichiarava acquiescente alla concessione edilizia rilasciata dal Comune di (OMISSIS) al N. “con le distanze di m. 3 dal confine, come risulta dalla planimetria allegata…”, ed infine il N. dichiarava che la parete del costruendo edificio prospiciente la proprieta’ G. “va considerata parete non finestrata, ai sensi delle normative edilizie attuali del Comune di (OMISSIS), ai sensi dell’art. 11 disp. att. del prg. 1985, comma 5”.

Con atto di citazione notificato l’11-6-1994 la G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze N.D. (figlio di N.S. ed erede di questi) sostenendo che il senso della suddetta transazione consisteva nel fatto che l’esponente aveva consentito alla controparte di mantenere, tra l’edificio ormai al grezzo ed il confine con la proprieta’ dell’attrice, una distanza tale da evitare che una porzione dell’edificio stesso dovesse essere demolita per ripristinare il distacco dal confine prescritto dal Comune di (OMISSIS); percio’ in correlazione a tale concessione il N. aveva rinunciato alla suddetta porzione di terreno, che quindi doveva rientrare nella piena ed esclusiva proprieta’ dell’esponente; era invece accaduto che il convenuto aveva costruito nel suo fondo delle autorimesse seminterrate occupando di fatto anche una parte del triangolo di 130 mq. circa assegnato all’attrice, e che inoltre il N. aveva costruito la parete orientale del suo fabbricato munendola di finestre, e cio’ in violazione dei patti sottoscritti dal suo dante causa in base ai quali tale parete sarebbe dovuta essere “non finestrata”.

La G. pertanto chiedeva la determinazione dell’esatto confine tra le proprieta’ delle parti in modo tale che la porzione di mq. 130 fosse parte integrante della proprieta’ attrice e la conseguente condanna del convenuto alla restituzione di tale area all’esponente;

chiedeva inoltre la condanna del convenuto a porre in essere le opere e gli accorgimenti necessari perche’ la parete est del fabbricato del N. potesse essere qualificata come non finestrata ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

A seguito delle difese del N. – che aveva tra l’altro fatto presente di avere venduto il suo immobile in data (OMISSIS) a M.F. ed a L.P. – la G. estendeva le domande nei confronti di costoro.

Questi ultimi, costituitisi in giudizio, chiedevano il rigetto delle domande attrici e, in subordine, il rilievo in loro favore da parte del N..

Il Tribunale adito con sentenza n. 3406 del 2002 condannava tutti i convenuti a porre in essere le opere e gli accorgimenti necessari perche’ la parete est dell’edificio costruito sull’area di proprieta’ del N. potesse essere qualificata non finestrata, e rigettava tutte le altre domande proposte dalle parti.

Proposta impugnazione da parte della G. cui resistevano il N., il M. e la L. che introducevano anche degli appelli incidentali, la Corte di Appello di Firenze con sentenza del 24-5-2005 ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento degli appelli incidentali, ha rigettato anche la domanda della G. relativa alla parete finestrata.

Per la cassazione di tale sentenza la G. ha proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui il N. da una parte ed il M. e la L. dall’altra hanno resistito con separati controricorsi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 1967 c.c. e all’art. 185 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non essersi attenuta, quanto alla questione del triangolo di terreno definitivamente conferito all’esponente, all’atto di conciliazione suddetto, dove le parti avevano fatto riferimento piu’ volte alla porzione della particella 138 del foglio 27, ma a situazioni estranee, oltretutto ricavandole dalla citazione dell’anno 1982 con la quale N.S. aveva introdotto il giudizio poi definito con la conciliazione; in realta’ le parti avevano voluto che fosse definitivamente acquisito alla G. proprio quanto risultava dalla rappresentazione catastale, fosse pure erronea, cosicche’ ogni riferimento alla situazione di fatto era fuori luogo ed in contrasto con il contenuto della transazione.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, rileva che sulla base dell’inequivocabile dato testuale di cui alla clausola n. 1 dell’atto di conciliazione, il triangolo di mq. 130 circa, individuato catastalmente da porzione della particella 138 del foglio 27, era quello di cui alla citazione del 1982 del N., dove egli sosteneva che il terreno era “apparentemente intestato alla sig.ra G.L. per errore dell’UTE”; quindi non era legittimo il riferimento ad altri elementi per la determinazione della superficie in contestazione.

Con il terzo motivo la G., deducendo insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, assume che senza svolgere delle idonee argomentazioni il giudice di appello ha ritenuto che il confine nord del terreno di proprieta’ dei N. dovesse essere determinato in coincidenza con il “muro abusivamente costruito” dall’esponente; inoltre, se era vero che N.S. aveva chiesto con l’atto di citazione del 1982 che il suddetto muro fosse abbattuto, non era comprensibile come esso potesse segnare il confine tra le due proprieta’; il muro quindi doveva trovarsi all’interno della porzione rivendicata dal N. che, per effetto dell’atto di conciliazione, rimaneva definitivamente acquisita all’esponente.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello ha escluso alla luce dell’esame del testo dell’accorso transattivo intervenuto dalle parti che il N. intendesse cedere alla controparte tutta l’area falsamente ad essa attribuita sulla base della rappresentazione catastale di cui egli aveva denunciato l’erroneita’, avendo rinunciato a rivendicare “il triangolo di mq. 130 lungo la via (OMISSIS), come risulta dal frazionamento D’Onza”, zona di terreno quindi individuata non a misura ma, in riferimento al “muro abusivamente costruito”, a corpo;

la Corte territoriale ha aggiunto che la conferma del fatto che le parti intendessero determinare il confine nord de fondo del N. in coincidenza con il muricciolo gia’ costruito dalla G. era data indirettamente anche dalla circostanza che, mentre per il confine est-ovest i tecnici di fiducia delle parti stesse avevano provveduto a definire con precisione in pianta il confine, per l’altra linea di confine essi si erano astenuti da una simile incombenza, ritenuta evidentemente inutile, considerato che il confine veniva pattiziamente stabilito in conformita’ a quanto gia’ risultava dal terreno.

All’esito di tali elementi si ritiene che la sentenza impugnata ha proceduto alla interpretazione del suddetto verbale di conciliazione all’esito di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

E’ invero rilevante osservare che, contrariamente all’assunto della ricorrente, il giudice di appello ha valorizzato il dato testuale dell’accordo conciliativo, laddove il richiamo all’area triangolare di mq. 130 oggetto della precedente domanda di rivendica del N. del 1982 e’ stato integrato, quanto alla sua precisa individuazione, dal riferimento al “muro abusivamente costruito” dalla G. del quale pure era stato chiesto in precedenza l’abbattimento; tale ultima circostanza, del resto, non costituisce un elemento ostativo al convincimento espresso dalla sentenza impugnata, essendo ben comprensibile che in sede di composizione della lite vi siano rinunce reciproche delle parti, e che quindi nella specie il N. avesse voluto rinunciare alla rivendica della suddetta area soltanto nei limiti sopra evidenziati.

Inoltre l’ulteriore elemento sopra richiamato, addotto dalla Corte territoriale a fondamento della interpretazione resa dell’accordo delle parti riguardo alla delimitazione del confine a nord della proprieta’ del N., e costituito dalla mancata definizione in pianta di tale parte del confine (contrariamente a quanto invece previsto per il confine est-ovest), si risolve in una logica e corretta valorizzazione dei comportamento delle parti non oggetto comunque di censure specifiche da parte del ricorrente.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 – artt. 1363 e 1367 c.c. censura la sentenza impugnata per aver affermato, in riferimento agli appelli incidentali ritenuti fondati, che la pattuizione transattiva secondo cui il N. dichiarava, quanto alla parete del costruendo edificio prospiciente la proprieta’ della G., che doveva essere “considerata parete non finestrata”, doveva essere interpretata come assunzione di un obbligo da parte del N. a non far valere, nei confronti della vicina, l’eventuale effettiva natura finestrata della parete in questione.

La G. rileva che tale interpretazione anzitutto contrasta con il tenore letterale della transazione, avendo l’esponente prestato acquiescenza alla concessione edilizia rilasciata al N. in quanto la suddetta parete fosse conforme al progetto approvato o, come si legge nell’atto, “nello stato in cui appare ne progetto approvato dal Comune”.

Inoltre secondo la ricorrente non era stato tenuto conto del riferimento costante nella transazione al progetto approvato con la concessione edilizia e che, in conseguenza, la finalita’ della conciliazione consisteva nel cancellare la rilevanza delle censure espresse dall’esponente alla concessione stessa.

Infine la ricorrente sostiene che l’interpretazione della clausola in esame resa dalla Corte territoriale condurrebbe alla conseguenza della nullita’ della clausola stessa in quanto in contrasto con le norme inderogabili in materia di distanze tra pareti finestrate di cui al D.M. n. 1944 del 1968, art. 9 ed all’art. 11 comma 5 disp. att. del PRG del Comune di (OMISSIS) allora vigente; pertanto il giudice di appello avrebbe dato alla clausola in esame il solo senso che ne determinava l’incapacita’ di produrre effetti, precludendo cosi’ la sua conservazione.

Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, rileva che l’interpretazione della predetta clausola da parte della sentenza impugnata ha trascurato di considerare che le parti, nel pattuire che la parete est del costruendo edificio “va considerata parete non finestrata”, avevano aggiunto che si trattava di parete non finestrata “ai sensi delle normative edilizie attuali del Comune di (OMISSIS), ai sensi dell’art. 11 disp. att. PRG 1985, comma 5”; pertanto le parti avevano espressamente richiamato le norme edilizie comunali per quanto riguardava la qualita’ della parete come “non finestrata”.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.

Il giudice di appello, premesso che sempre sulla base dell’accordo conciliativo raggiunto dalle parti il N. aveva dichiarato “che lo parete del costruendo edificio, prospiciente la proprieta’ G. – nello stato in cui appare nel progetto approvato in Comune – va considerata parete non finestrata, ai sensi delle normative edilizie del Comune di (OMISSIS), ai sensi dell’art. 11 disp. att. PRG 1985, comma 5”, ha affermato che l’obbligazione assunta dal N. riguardava non le caratteristiche reali del suo fabbricato, bensi’ l’impegno a non far valere in nessun modo, nei confronti della vicina, l’effettiva natura finestrata della parete in questione; infatti, secondo la Corte territoriale, soltanto in questa chiave interpretativa potevano essere spiegate la scelta delle espressioni usate dalle parti (“…il Sigr N.S. dichiara che la parete del costruendo edificio…va considerata parete non finestrata…), posto che, altrimenti, considerato altresi’ che la suddetta parete, in quel momento, ancora non esisteva, non vi sarebbe stata alcuna ragione del fatto che esse non avessero previsto direttamente l’impegno del N. a non realizzare una parete considerata finestrata dalla normativa comunale, invece che l’impegno a non considerarla tale.

Tale convincimento non puo’ essere condiviso perche’ frutto di una non corretta applicazione delle denunciate regole codicistiche di interpretazione dei contratti, in particolare di quelle stabilite dall’art. 1362 c.c., comma 1 e dall’art. 1363 c.c., ed anche di un percorso argomentativo non privo di vizi logici.

Anzitutto si rileva che la Corte territoriale nell’indagine ermeneutica effettuata non ha tenuto nel debito conto il pur menzionato dato letterale costituito dal fatto che la parete in questione riguardava il “costruendo edificio, prospiciente la proprieta’ G. – nello stato in cui appare nel progetto approvato dal Comune…”e che quindi, nella comune volonta’ delle parti, tale costruzione (allora non ancora esistente, secondo quanto accertato dalla stesso giudice di appello) avrebbe dovuto essere realizzata in conformita’ di tale progetto; in questa ottica, e dunque in particolare anche con riferimento all’art. 1363 c.c. relativo alla interpretazione complessiva delle clausole, sarebbe stato necessario valutare la pattuizione relativa alla suddetta parete, da considerare non finestrata, in relazione al fatto che la parete stessa avrebbe dovuto essere conforme allo stato in cui appariva nel progetto approvato, considerata la necessita’ di attribuire comunque un senso logico a tale riferimento espressamente contenuto nell’atto.

Tale convincimento e’ confermato dal richiamo delle parti nell’atto di conciliazione – quanto al fatto che la parete doveva essere considerata non finestrata – alla normativa urbanistica del Comune di (OMISSIS), la quale in effetti, come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, all’art. 11 prevedeva che “non sono considerate pareti finestrate quelle che…”, con un esplicito riferimento quindi al fatto che la parete in questione dovesse essere considerata non finestrata utilizzando come parametro di valutazione i requisiti previsti nel menzionato strumento urbanistico.

Infine anche sotto il profilo motivazionale si osserva che l’interpretazione della clausola in esame resa dalla Corte territoriale, laddove ha evidenziato l’impegno che avrebbe assunto il N. a non far valere nei confronti della G. l’effettiva natura finestrata della parete suddetta, si rivela illogica, atteso che il contenzioso sorto tra le parti riguardo a tale questione era riconducibile al proposito del N. di realizzare una costruzione in ordine alla quale aveva ottenuto una concessione edilizia dal Comune di (OMISSIS), concessione edilizia alla quale la G. in sede di conciliazione aveva prestato acquiescenza, e che invece era del tutto estranea a tale accordo l’eventualita’ che fosse la G. a voler costruire sul suo fondo; pertanto nel caso di parete finestrata sarebbe stato interesse di quest’ultima e non del N. a pretendere che fosse rispettata la distanza legale stabilita nello strumento urbanistico locale per le pareti finestrate.

Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze che procedera’ ad un nuovo esame di tale aspetto della controversia nonche’ alla pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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