Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33598 del 28/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 28/12/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 28/12/2018), n.33598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 21490/2012 R.G. proposto da:

Zena Cave s.cons.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Casetta Mattei n.

239, presso lo studio dell’avv. Sergio Tropea, rappresentata e

difesa dall’Antonio Recca giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 124/34/12, depositata il 10

maggio 2012;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 settembre

2018 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 124/34/12 del 10/05/2012 la CTR della Sicilia, sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 337/14/09 della CTP di Catania, che aveva accolto il ricorso proposto dalla Zena Cave s.cons.r.l. avverso l’avviso di accertamento concernente l’IVA relativa all’anno d’imposta 2000;

1.1. come si evince dalla sentenza della CTR: a) l’avviso di accertamento riguardava l’omessa fatturazione ai propri soci dei costi sostenuti in ordine alla realizzazione di opere relative ad un appalto pubblico, nonchè l’indebita detrazione dell’IVA sui ricavi ribaltati alle società consorziate; b) la CTP accoglieva il ricorso proposto dalla società contribuente; c) l’Agenzia delle entrate proponeva impugnazione davanti alla CTR;

1.2. su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello osservando, per quanto ancora interessa in questa sede, che: a) la società consortile costituita ai sensi del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 96, non assumeva la posizione di appaltatore, sicchè le attività poste in essere per suo tramite erano riferibili alle singole imprese consorziate e i costi sostenuti andavano ribaltati a queste ultime, con fattura emessa all’atto dell’effettuazione della operazione e nell’anno in cui i costi sono sostenuti dalla società; b) con riferimento, poi, alla detrazione dell’IVA conseguente alle fatture emesse dal socio Condotte D’acqua s.p.a. in riferimento ai ricavi, la società consortile non era legittimata ad emettere fattura nei confronti della stazione appaltante: poichè l’operazione era imputabile direttamente ai soci, dovevano essere questi ultimi a emettere fattura nei confronti dell’ente pubblico, con conseguente illegittimità della detrazione;

2. la Zena Cave s.cons.r.l. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;

3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso la Zena Cave s.cons.r.l. contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sull’appello incidentale proposto e concernente la compensazione delle spese giudiziali da parte della CTP;

2. il motivo è infondato;

2.1. la CTR ha ritenuto di accogliere integralmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, sicchè può senz’altro ritenersi l’implicito rigetto dell’appello incidentale proposto dalla Zena Cave s.cons.r.l., che non aveva diritto alla modifica della statuizione sulle spese in primo grado in ragione della sua soccombenza;

2.2. invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia” (così, da ultimo, Cass. n. 24155 del 13/10/2017);

3. con il terzo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, evidenziandosi che la CTR non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di giudicato esterno relativa alle pronunce concernenti le annualità 1996 e 1997, nelle quali la CTR ha escluso la fondatezza dei rilievi dell’Ufficio;

4. il motivo, il cui esame assume carattere logicamente pregiudiziale rispetto agli altri, è infondato;

4.1. è vero che la CTR ha omesso di pronunciare sull’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla ricorrente nel corso del giudizio di secondo grado – giudicato, peraltro, rilevabile d’ufficio ex actis dalla CTR (da ultimo, ex multis, Cass. n. 16847 del 26/06/2018; Cass. n. 8607 del 03/04/2017; Cass. n. 15627 del 27/07/2016; si veda anche Cass. S.U. n. 13916 del 16/06/2006) – ma è altrettanto indubitabile che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (così Cass. n. 21968 del 28/10/2015; conf. Cass. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 21257 del 08/10/2014);

4.2.del resto, è la stessa parte ricorrente che chiede un accertamento della violazione del giudicato esterno, deducendo la questione anche sub art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

4.3. orbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte “nel processo tributario, il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto nei casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto, salvo che, in materia di IVA, ciò comporti l’estensione ad altri periodi di imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l’effettività” (così, da ultimo, Cass. n. 9710 del 19/04/2018; si veda, altresì, ex multis, con riferimento alle imposte dirette, Cass. n. 21395 del 15/09/2017 e, con riferimento all’IVA, Cass. n. 8855 del 04/05/2016, per la quale “le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto euro-unitario”);

4.4. nel caso di specie, l’avviso di accertamento impugnato riguarda esclusivamente l’IVA, sicchè deve senz’altro escludersi, con riferimento a tale tributo, l’efficacia vincolante del giudicato esterno riguardante diversi anni d’imposta;

5. con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evidenziando che la CTR non avrebbe spiegato perchè l’obbligo di fatturazione dei costi di riaddebito dovrebbe essere espletato dalla società consortile necessariamente entro l’anno, posto che trattasi di prestazione di servizi da fatturare secondo le modalità previste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 6, comma 3;

5.1. del resto, ove non si verta in materia di prestazione di servizi, come ritenuto dalla CTR, andrebbe escluso del tutto l’obbligo di fatturazione, trattandosi di prestazione fuori del campo IVA;

6. il motivo è inammissibile;

6.1. la ricorrente propone una censura motivazionale denunciando, in buona sostanza, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, censura che avrebbe dovuto proporre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come del resto fatto con il motivo che segue;

7. con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, e art. 21, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che l’insorgenza dell’obbligo di fatturazione della prestazione di servizi rese dai mandatari senza rappresentanza sorge al momento del pagamento, sicchè correttamente la società consortile avrebbe emesso fattura al momento in cui le consociate hanno effettuato i pagamenti e, in ogni caso, non sarebbe riscontrabile alcun danno erariale in conseguenza di una eventuale tardiva fatturazione;

7. con il quinto motivo di ricorso la società ricorrente contesta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando il diritto della società consortile, titolare dell’obbligo di fatturazione nei confronti della stazione appaltante, di procedere alla detrazione della relativa IVA, il cui costo è stato dalla stessa sostenuto;

8. i due motivi possono essere unitariamente esaminati, involgendo l’esame dei rapporti tra società consortile e società consorziate;

8.1. occorre prendere necessariamente le mosse dall’orientamento espresso da Cass. S.U. n. 12190 del 14/06/2016, secondo la quale “la società consortile può svolgere una distinta attività commerciale con scopo di lucro ed è questione di merito accertare i rapporti tra la società stessa e i consorziati nell’assegnazione dei lavori o servizi per stabilire la necessità del “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”;

8.2. nel caso di specie, è pacifico che la Zena Cave s.cons.r.l. non svolge alcuna autonoma attività commerciale ma persegue unicamente uno scopo mutualistico, quale strumento operativo a disposizione dei consociati, tenuto conto che i ricavi realizzati e i costi sostenuti sono ribaltati integralmente e pro quota sulle società partecipanti;

8.3. è altresì pacifico che, nei rapporti interni, sia configurabile un mandato senza rappresentanza (la sentenza della CTR, pag. 4, induce a questa conclusione, sostenuta dallo stesso ricorrente), in quanto la società consortile agisce in nome proprio per conto dei consorziati e l’attività dalla stessa effettuata è imputabile direttamente ai consorziati;

8.4. orbene, “il mandato senza rappresentanza riceve ai fini iva una particolare disciplina, in virtù della quale i rapporti tra mandatario e mandante perdono la loro neutralità, assurgendo ad autonomi presupposti per l’applicazione del tributo. Lo si evince dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, secondo cui le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario, nonchè dal medesimo decreto Iva, art. 13, comma 2, lett. b), che fissa la base imponibile per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza ragguagliandola al prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e al prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione” (così, in motivazione, Cass. n. 21860 del 28/10/2016);

8.5. trattasi di conclusioni coerenti con quanto sostenuto dalla giurisprudenza eurounitaria, per la quale “34. (…) la sesta direttiva, art. 6, n. 4, dispone che, qualora un soggetto passivo che agisce in nome proprio ma per conto altrui partecipi ad una prestazione di servizi, si riterrà che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo proprio. 35. Così, tale disposizione crea la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente. In forza di tale finzione, l’operatore che partecipa alla prestazione di servizi, cioè il commissionario, si ritiene avere, in un primo tempo, ricevuto i servizi in questione dall’operatore per conto del quale agisce, cioè il committente, prima di fornire, in un secondo tempo, personalmente tali servizi ad un cliente. Ne consegue che, per quanto riguarda il rapporto giuridico tra il committente e il commissionario, il loro ruolo rispettivo di prestatore di servizi e di pagatore è artificialmente invertito ai fini dell’IVA” (CGUE 14 luglio 2011, causa C-464/10, Etat Belge c/o Tiercè Franco-Belge SA);

8.6. nel caso di specie, si configurano fittiziamente due prestazioni di servizi: quella del socio alla società consortile e quella di quest’ultima in favore della stazione appaltante; si tratta, peraltro, della medesima prestazione, che viene così imputata direttamente ai soci attraverso il meccanismo del ribaltamento dei ricavi;

analogamente, la società consortile riceve le fatture per i costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione, ma si tratta degli stessi costi sostenuti (pro quota) dal socio per l’esecuzione della medesima prestazione;

infine, il meccanismo dell’integrale ribaltamento dei ricavi e dei costi implica che, nel caso di specie, nulla viene riconosciuto alla società consortile a titolo di provvigione per l’esecuzione del mandato in favore delle società consorziate;

8.7. in buona sostanza (e secondo la ricostruzione più sopra effettuata), un consorzio non operante come società commerciale autonoma non presta alcun servizio ai consociati, come sostenuto dalla parte ricorrente – e, dunque, non percepisce alcun compenso a tale titolo – ma si limita a ricevere dalle società consorziate i servizi che rende alla stazione appaltante e a sostenere i relativi costi;

8.8. orbene, con riferimento al quarto motivo, può concludersi che se i costi ribaltati sostenuti dal consorzio sono esattamente gli stessi costi sostenuti dai consorziati e imputati direttamente a questi ultimi e se non è configurabile una prestazione di servizi della società consortile in favore dei soci separatamente remunerata, la fatturazione dei costi ai fini del ribaltamento deve essere eseguita dalla società consortile nello stesso esercizio in cui detti costi sono stati sostenuti (cfr., da ultimo, Cass. n. 18401 del 12/07/2018: “in tema di reddito d’impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, (numerazione anteriore a quella introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003), nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, nè permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza”) e non può essere differita al momento del pagamento da parte dei consorziati;

8.9. nè può ragionevolmente sostenersi che l’imputazione dei costi ad un esercizio piuttosto che ad un altro sia neutra ai fini impositivi, atteso che il contribuente non può “essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi” (così, ancora, Cass. n. 18401 del 2018, cit.);

8.10. con riferimento, invece, al ribaltamento dei ricavi, il quinto motivo è fondato, in quanto, in virtù dei principi enunciati ai p.p. 8.4 e 8.5, la società consortile ha diritto a fatturare nei confronti dell’ente appaltante la stessa prestazione di servizi fatturata nei confronti del socio consorziato, con conseguente diritto alla detrazione dell’IVA;

8.11. il menzionato diritto è stato erroneamente escluso dalla CTR sul presupposto che la fatturazione avrebbe dovuto essere eseguita direttamente dai consorziati in favore dell’ente appaltante;

9. in conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso e vanno rigettati gli altri motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, per nuova valutazione e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, anche per le spese dei presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018

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