Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33595 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 18/12/2019), n.33595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12308/2012 R.G. proposto da:

ITCC (International Trade Comunication and Cinematographic) s.r.l.,

in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Ferrara Fierro,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via Claudio

Monteverdi n. 16, giusta procura speciale in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 102/35/2011 depositata il 22 marzo 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 2019

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso

udito l’Avv. Antonio Ferrara Fierro, per la società ricorrente e

l’Avv. Lucrezia Fiandaca per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla ITCC (Inbternational Trade Comunication and Cinematographic) s.r.l., in liquidazione, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva respinto il ricorso introduttivo della contribuente, presentato avverso le cartelle di pagamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per gli anni di imposta 2000 e 2001, a titolo di Irap, Irpeg ed Iva, per ritardati versamenti in relazione all’adesione al condono clemenziale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, per il quale era stata pagata solo la prima rata. In particolare, il giudice di appello evidenziava che le cartelle, con i requisiti di cui al D.M. n. 321 del 1999, erano state notificate tempestivamente, senza il previo invio dell’avviso bonario in quanto non vi erano incertezze sull’ammontare del debito di imposta, che non era necessaria l’indicazione del responsabile del procedimento, trattandosi di cartelle emesse prima dell’1-6-2008, che il condono di cui all’art. 9 bis era volto solo alla tutela del contribuente in quanto le imposte erano incontrovertibimente dovute, ma se ne escludevano solo le sanzioni, sicchè in caso di omesso o ritardo pagamento delle somme dovute gli effetti clemenziali erano venuti meno, risorgendo il diritto dell’Ufficio all’integrale pagamento.

2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando anche memoria scritta.

3.Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in merito al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17. Illogicità, omissione, insufficienza e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla mancata pronuncia sulla tardività dell’iscrizione a ruolo delle cartelle oggetto di impugnazione. Omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto il giudice di appello non ha pronunciato su un punto decisivo della controversia, ossia sulla iscrizione tardiva del ruolo ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17. Il ruolo relativo alla cartella con cui si chiedeva il pagamento delle imposte per il 2000 (modello Unico del 2001) doveva essere reso esecutivo il 31-12-2003, mentre era stato reso esecutivo solo il 27-12-2005, come pure il ruolo relativa alla cartella con cui si chiedeva il pagamento delle imposte per il 2001 (modello Unico del 2002) doveva essere reso esecutivo il 31-12-2004, mentre era stato reso esecutivo solo il 28-12-2005.

1.1.Tale motivo è infondato.

1.2.Invero, la Commissione regionale ha rigettato integralmente l’appello proposto dalla società, sì che anche il motivo di ricorso fondato sulla asserita violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 è stato rigettato implicitamente.

Infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 20718/2018).

1.3.Peraltro, il motivo è anche infondato nel merito.

1.4.Infatti, il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, convertito in L. n. 156 del 2005 (la Corte Cost. sentenza 15 luglio 2005, n. 280 aveva dichiarato l’incostituzionalità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, nella parte in cui non prevedeva un termine, a pena di decadenza, per la notifica della cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis), prevede che “Al fine di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l’interesse pubblicò alla riscossione di crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di pagamento è effettuata, a pena di decadenzaò entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001”.

Pertanto, il termine finale per la notificazione della cartella relativa alla dichiarazione dei redditi del 2001 era il 31-12-2006, il 31 dicembre del quinto anno successivo, così come per la dichiarazione dei redditi del 2002 il termine il termine finale era il 31-12-2006, ai sensi del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 5 bis, lett. b, , convertito in L. 31 luglio 2005, n. 156, quale prevede che la notifica della cartella debba avvenire “entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003″(in tal senso anche Cass., 22 febbraio 2017, n. 4577; Cass., 4 luglio 2014, n. 15329).

1.5.Peraltro, per la Corte costituzionale (Corte Cost. 25 gennaio 2008, n. 11) non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 1-bis, lett. c), comma aggiunto dalla L. conversione 31 luglio 2005 n. 156, art. 1, comma 1, censurato, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui, per le dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001, stabilisce che la notificazione delle cartelle di pagamento derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni è effettuata, a pena di decadenza, “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione”, laddove la disciplina a regime fissa, quale termine decadenziale per la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione, il terzo anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni. Premesso che il D.L. n. 106 del 2005 e la relativa legge di conversione rappresentano un complesso intervento legislativo, con il quale è stato introdotto un termine decadenziale per la notificazione delle cartelle di pagamento, in precedenza non previsto, la disciplina censurata, tenuto conto che, nella fase transitoria, un termine decadenziale eccessivamente ristretto avrebbe potuto precludere od ostacolare la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione, e che, per le dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001, un termine quadriennale, analogo a quello previsto per le dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003, non sarebbe stato adeguato, perchè eccessivamente breve, non appare irragionevole, trovando essa giustificazione nell’obiettivo di garantire non solo l’interesse del contribuente a non essere assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato, ma anche l’interesse dell’erario – parimenti meritevole di tutela – di evitare che, nella fase transitoria, un termine decadenziale eccessivamente ristretto possa precludere od ostacolare la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge di conversione n. 156 del 2005 e, quindi, pregiudicare la riscossione dei tributi, risultando altresì giustificata la diversa misura del termine decadenziale previsto in via transitoria per la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001 e per quelle presentate negli anni 2002 e 2003 (sent. nn. 217 del 1998, 413 del 2002 e 21 del 2005; 21 e 280 del 2005; ordd. nn. 131 del 1988, 66 del 1994).

1.6.Inoltre, per questa Corte (Cass., n. 19425/2018) il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, lett. a), n. 1, convertito in L. n. 156 del 2005, ha espressamente abrogato l’intero art. 17, in ordine alla esecutività della iscrizione a ruolo, sicchè non può ritenersi ancora vigente il D.L. n. 143 del 2003, art. 1, convertito in L. n. 212 del 2003, che ancora richiama l’art. 17, comma 2 octies in deroga alle disposizioni della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3, i termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 1, lett. a), sono prorogati al 31-12-2005 per le dichiarazioni presentate negli anni 2001 e 2002″).

Poichè il visto di esecutività è stato apposto in data 27-12-2005 ed in data 2812-2005, quindi successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 106 del 2005, era già abrogato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17.

Del resto, il D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 156, che ha fissato, al comma 5 bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni ed ha stabilito all’art. 5 ter, sostituendo il D.Lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, art. 36, comma 2, che, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001 deve essere notificata, a pena di decadenza, non oltre il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello della presentazione, ha un inequivoco valore transitorio e trova applicazione a tutte le situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, anche a quelle “sub iudice” (Cass., 4 luglio 2014, n. 15329).

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in merito alla L. n. 212 del 2000, art. 7 e dell’art. 24 Cost.. Illogicità, omissione, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla carenza di analisi e di motivazione delle cartelle di pagamento oggetto di impugnazione. Omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto il solo rispetto dei requisiti previsti dal D.M. n. 321 del 1999 non è sufficiente a motivare validamente la pretesa impositiva dell’Ufficio.

Inoltre, con il motivo 2.1. (sub pagina 9 del ricorso per cassazione) la ricorrente deduce anche “sulla violazione della citata L. n. 212 del 2000, art. 7 ed omissione di pronuncia sull’inesistenza dei presupposti impositivi”, in quanto nella cartella sono stati rettificati gli importi Irpef, Iva ed Irap, mentre tutti i versamenti sono stati effettuati “per cui si deve presumere che il recupero delle somme riscosse riguardasse dei presunti versamenti tardivi”.

Inoltre, la ricorrente censura la sentenza di appello anche “sulla omessa indicazione del calcolo degli interessi” (sub 2.2. a pagina 10 del ricorso per cassazione), non essendo stato indicato nelle cartelle nè il metodo di calcolo nè il valore dei tassi applicati nè la base di calcolo degli interessi richiesti, indicando la cartella solo la cifra globale degli interessi dovuti.

2.1.Tale motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Invero, il motivo è infondato con riferimento alla contestazione del vizio di omessa pronuncia, in quanto il giudice di appello ha ritenuto correttamente motivata la cartella di pagamento (cfr. motivazione della sentenza “le suddette cartelle risultano pienamente rispondenti ai requisiti richiesti dal D.L. n. 321 del 1999 e, quindi, sono pienamente legittime”).

Il motivo è inammissibile laddove censura il vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, applicabile solo a decorrere dalla sentenze pubblicate dall’11-9-2012.

Invero, la ricorrente non riporta il contenuto, neppure nei sui stralci essenziali, delle cartelle di pagamento oggetto di impugnazione, non consentendo a questa Corte di conoscere il contenuto esatto delle stesse, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del giudice di appello.

Per questa Corte, infatti, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’atto impositivo, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2928).

Peraltro, per questa Corte, in tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto; sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perchè, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (Cass., n. 21804/17).

Inoltre, la cartella di pagamento del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36-bis è congruamente motivata, quanto al calcolo degli interessi, mediante il richiamo alla dichiarazione dalla quale deriva il debito di imposta ed al conseguente periodo di competenza, essendo il criterio di liquidazione degli stessi predeterminato “ex lege”, e risolvendosi, pertanto, la relativa applicazione in un’operazione matematica (Cass., 27 marzo 2019, n. 8508; Cass., 8 marzo 2019, n. 6812).

Va, poi, evidenziato che, trattandosi di versamenti relativi al condono “clemenziale” di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, non è sufficiente avere pagato per intero le rate per la definizione del condono, ma occorre anche il pagamento tempestivo, in quanto tale tipologia di condono è utilizzata proprio per i ritardi nei pagamenti, quindi non può tollerare ulteriori ritardo anche in sede di definizione agevolata, con cui vengono eliminate le sole sanzioni (Cass., 18353/07).

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in merito alla L. n. 212 del 2000, art. 6 ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis. Illogicità, omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla pronuncia di mera irregolarità della mancata comunicazione dell’avviso bonario di cui all’art. 36 citato”, in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare che non sussisteva incertezza sull’ammontare del debito di imposta. Era necessario, dunque, che alla contribuente fosse notificata prima della cartella di pagamento l’avviso bonario di irregolarità di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.

4.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in merito al D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2. Illogicità, omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la società, non avendo ricevuto l’avviso di irregolarità, non aveva potuto usufruire della riduzione delle sanzioni ad un terzo ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2.

4.1.1 motivi terzo e quarto, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Invero, correttamente il giudice di appello ha ritenuto che alla società non doveva essere previamente comunicato l’avviso di irregolarità di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, in quanto si trattava di un mero controllo automatico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, dal quale era emerso solo il ritardo nei versamenti relativi al condono di cui all’art. 9 bis della legge.

Invero, la comunicazione di irregolarità deve essere inviata dalla Agenzia delle entrate solo nel caso in cui vi siano “incertezze” su aspetti rilevanti (Cass.Civ., 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass.Civ., 112 aprile 2017, n. 9463).

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 prevede, infatti, che “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione…l’esito della dichiarazione è comunicato al contribuente…per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”.

La L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 dispone, poi, che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente…a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta…”.

Il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 (riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici) dispone, poi, che “L’iscrizione a ruolo non è eseguita…se il contribuente…provvede a pagare le somme dovute…entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, prevista dai commi 3 dei predetti artt. 36 bis e 54 bis…”.

Non deve essere inviata, però, la comunicazione di irregolarità quando vi è stata solo omissione del versamento dovuto in base alla autoliquidazione dell’imposta (Cass.Civ., 26 settembre 2017, n. 22383), nè in caso di mero ritardo nel versamento (Cass.Civ., 10 giugno 2015, n. 12023).

In caso di omesso o tardivo versamento non spetta, poi, la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 (Cass.Civ., 6 luglio 2016, n. 13759), in quanto l’interessato può, comunque, pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella, sempre che quella comunicazione sia dovuta.

Pertanto, la Commissione tributaria regionale, con la precisazione che si trattava solo di un ritardato versamento, ha spiegato la ragione per cui alla società non doveva essere comunicato l’avviso di irregolarità.

5.Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e/o falsa applicazione della legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in merito alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis. Illogicità, omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto inefficace la domanda di condono proposta dalla società ai sensi del L. n. 289 del 2002, art. 9 bis sulla definizione dei ritardati ed omessi versamenti, sostenendo che laddove il contribuente non provveda all’integrale e tempestivo pagamento, gli effetti clemenziali vengono meno e risorge il diritto dell’Ufficio all’integrale pagamento del dovuto. Non è sufficiente, dunque, il versamento della prima rata. Per la ricorrente, l’Ufficio avrebbe potuto procedere esclusivamente alla riscossione coattiva delle rate del condono non versate, ma non procedere alla liquidazione delle dichiarazioni presentate, essendo gli importi richiesti coperti da condono. Occorre effettuare una interpretazione analogica delle altre forme di condono, che prevedono, in caso di omesso o ritardato pagamento delle rate successive alla prima solo il recupero coattivo di quanto non versato, a quella oggetto di esame.

5.1.Tale motivo è infondato.

La L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comma 1, dispone che “le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, non si applicano ai contribuenti e ai sostituti di imposta che alla data del 16 aprile 2003 provvedono ai pagamenti delle imposte o diete ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002, per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data”.

Il comma 3, poi, prevede che “per avvalersi delle disposizioni dei commi 1 e 2 i soggetti interessati sono tenuti a presentare una dichiarazione integrativa…indicando in apposito prospetto le imposte o le ritenute dovute per ciascun periodo di imposta e i dati del versamento effettuato, nonchè gli estremi della cartella di pagamento di cui al comma 2”.

Ai sensi del comma 4, poi, “sulla base delle dichiarazioni di cui al comma 3, gli uffici provvedono allo sgravio delle delle sanzioni di cui al comma 1 iscritte a ruolo…”.

Invero, per questa Corte (Cass., 29 dicembre 2017, n. 31133), in tema di condono fiscale, la definizione agevolata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, comportante la non applicazione delle sanzioni relative al mancato versamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 dicembre 2002, e per le quali il termine di versamento è scaduto anteriormente a tale data, si perfeziona solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione, attesa l’assenza di previsioni quali quelle contenute nella medesima legge, artt. 8, 9, 15 e 16 che considerano efficaci le ipotesi di condono ivi regolate anche senza adempimento integrale, e che sono insuscettibili di applicazione analogica, in quanto, come tutte le disposizioni di condono, di carattere eccezionale (in termini anche Cass., 33280/2018, in tema di condono clemenziale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 12; per la natura di condono clemenziale e non premiale di quello di cui all’art. 9 bis vedi Cass., 6 ottobre 2010, n. 20745; Cass., 23 settembre 2011, n. 19546; Cass., 21 maggio 2012, n. 8027; Cass., 8 novembre 2013, n. 25238; Cass., 8 luglio 2015, nn. 14209 e 14210; Cass., 13 gennaio 2016, n. 379; Cass., 22 dicembre 2016, n. 26683; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31133).

Si è ritenuto che il condono clemenziale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, a differenza di altre tipologie di condoni, che riconoscono al contribuente di chiedere che il suo rapporto giuridico tributario sia sottoposto ad un accertamento straordinario, da effettuarsi cioè con regole diverse da quelle ordinarie, elimina o riduce le sanzioni e, a determinate condizioni, concede modalità di favore per il loro pagamento, ma senza prevedere, come è logico, alcuna forma di accertamento tributario straordinario (Cass., 18353/2007; Cass., 5077/2004).

6.Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Illogicità, omissione, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’inesistenza dei presupposti impositivi ed all’illegittima inversione dell’onere della prova. Omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, in quanto il giudice di appello ha affermato che l’appellante non ha eccepito nulla in ordine alla “debenza” dell’imposta, ma ha solo presentato ricorso avverso il provvedimento di diniego di efficacia del condono adottato dalla Agenzia delle entrate per omesso o ritardato pagamento. In realtà per la ricorrente è stata dimostrata nel corso del giudizio l’inesistenza dei presupposti impositivi delle cartelle, sia per avere la stessa utilizzato il ravvedimento operoso ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, sia per errori commessi dall’Ufficio nella determinazione dei tributi. Con riferimento alla cartella (OMISSIS), infatti, ai fini Iva, l’Ufficio ha recuperato l’omesso versamento di imposta per Euro 7.989,07, oltre sanzioni ed interessi per un totale di Euro 11.833,94. L’Ufficio, quindi, ha rettificato l’importo dell’Iva a credito da lire 95.309.000 a lire 79.840.000, senza esporne le ragioni in cartella. Tra l’altro vi era un credito Iva nella dichiarazione del 2001 di lire 37.669.000, riferito alla dichiarazione del 1999, corrispondente al credito Iva della dichiarazione Unico 2000, sempre riferita al 1999.

In relazione alla cartella di pagamento n. (OMISSIS), quanto all’Irepf, emerge che tutti i versamenti sono stati effettuati, sicchè la società ha elaborato “alcune congetture”. Se si trattasse di omessi versamenti di lire 135.000, lire 43.000, lire 218.000 e lire 1.840.000, in realtà le somme sono state versate, come emerge da altri pagamenti di importi superiori che ricomprenderebbero anche tali somme (il secondo -lire 43.000 – ricompreso nella somma di lire 178.000 del 17-9-2001; il secondo di lire 218.000, ricompreso nella somma di lire 232.000 del 17-9-2001; il terzo di lire 1.840.000, ricompreso, per una parte, nella somma di lire 338.000 e per un’altra nella somma di lire 1.502.000). L’importo di lire 2.230.000 è stato effettuato il 14-12-2001 usufruendo del ravvedimento operoso di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, che consiste nella riduzione delle sanzioni da un ottavo del minimo se il pagamento viene effettuato entro trenta giorni dal giorno di scadenza.

In relazione alla cartella (OMISSIS), a titolo di Irap per Euro 9.209,07, laddove l’Ufficio recupera quale omesso versamento Iva l’importo di Euro 7.989,07, l’Ufficio ha elevato l’imposta dichiarata da lire 1.612.000 a lire 17.988.000.

6.Tale motivo è infondato.

Anzitutto, si rileva che la ricorrente, per il principio di autosufficienza, avrebbe dovuto riportare integralmente il contenuto della cartella, onde consentire a questa Corte di comprendere appieno le doglianze in ordine ai pretesi errori di calcolo palesate in questa sede.

Inoltre, la ricorrente pretende una completa rivalutazione degli elementi istruttori, già compiuti dal giudice di merito, non consentita in questa sede.

Nè la contribuente ha riportato il contenuto dei pretesi pagamenti effettuati nel corso degli anni, in modo da consentire la riferibilità degli stessi a somme dovute, anche se di importo inferiore. Molti pagamenti che la società ritiene aver effettuato sono di importi diversi rispetto alle somme dovute.

Peraltro, l’Agenzia delle entrate ha contestato anche il ritardo nei pagamenti e, trattandosi di condono clemenziale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, una volta verificatosi il ritardo, l’Ufficio procede alla liquidazione delle imposte, non limitandosi a recuperare solo l’importo delle rate di condono non pagate.

Si evidenzia, peraltro, che il credito di imposta può essere disconosciuto a seguito di controllo automatizzato qualora abbia carattere cartolare e non implichi valutazione, come è avvenuto nella specie (Cass., 16 novembre 2018, n. 29582).

Quanto all’Iva, poi, per questa Corte la L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, nella parte in cui consente di definire una controversia con l’Amministrazione finanziaria evitando ìl pagamento delle sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA, deve essere disapplicato a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali (quale, nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di cassazione), essendo in contrasto con gli obblighi previsti dagli artt. 2 e 22 della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’IVA, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, che ascrive a dette norme comunitarie portata generale, poichè anche tale forma di condono cd. clemenziale, come le ipotesi di condono premiale previste dalla stessa L. n. 289 del 2002, artt. 7 ed 8 è idonea a pregiudicare in modo significativo il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto (Cass., 24 luglio 2018, n. 19661).

7.Le spese del giudizio di legittimità, in base al principio della soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 18 dicembre 2019

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