Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33590 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 18/12/2019), n.33590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14636/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Cirio Finanziaria s.p.a., in amministrazione straordinaria ex D.Lgs.

n. 270 del 1999, in persona dei commissari pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv.to Giuseppe Tinelli, domiciliata

presso lo studio, via delle Quattro Fontane 15, Roma;

-controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 125/6/13 18 marzo 2013, depositata 16 aprile 2013, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Novik Adet Toni.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEDICINI ETTORE, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

Uditi gli avvocati ALFONSO PELUSO per l’Avvocatura Generale dello

Stato e GIOVANNI CONTESTABILE (per delega) per la controricorrente.

Fatto

1. Cirio Finanziaria S.p.A., in amministrazione straordinaria, ha impugnato la cartella esattoriale n. (OMISSIS) con cui l’Agenzia delle entrate ha chiesto il pagamento di interessi e sanzioni relativi alla mancata corresponsione di rate a seguito del condono di cui alla L. n. 282 del 2002.

2. La Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso affermando che l’adempimento del credito poteva avvenire solo all’interno del piano di riparto dell’amministrazione straordinaria, tenendo conto delle prelazioni di legge.

3. La Commissione regionale del Lazio (CTR) ha rigettato l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate ribadendo che il suddetto credito poteva essere soddisfatto solo all’interno del piano di riparto, “escludendo quindi che il mancato pagamento, nella fattispecie, possa configurare quell’illecito presupposto per sanzioni e interessi”.

4. L’Agenzia delle entrate propone ricorso avverso la sentenza per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi. La società resiste con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso. Nel merito ne ribadisce l’infondatezza.

Diritto

1. Al fine della corretta impostazione della vicenda, mancando nella sentenza della CTR la indicazione di presupposti fattuali rilevanti, occorre premettere che dalle concordanti deduzioni delle parti risulta che:

– la società Orlo finanziaria aveva presentato due dichiarazioni integrative, ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9: la prima, in data 30/6/2003, quando la società era ancora in bonis, la seconda il 26/3/2004, in costanza di amministrazione straordinaria, cui essa era stata ammessa il 7 agosto 2013;

– in entrambi i casi, la società aveva pagato la prima rata di condono, mentre i pagamenti delle rate successive erano stati effettuati con ritardo, facendo sorgere, ad avviso dell’amministrazione, l’obbligo del pagamento di interessi e sanzioni;

– secondo la società, invece, l’ammissione della società al regime di amministrazione controllata produceva gli stessi effetti della dichiarazione di fallimento, per cui non erano più applicabili interessi e sanzioni.

2. Esaminando preliminarmente l’eccepito difetto di interesse ad agire, sollevato dalla resistente sul presupposto che l’Agenzia si sarebbe dovuta inserire nel passivo fallimentare anzichè azionare il credito mediante esecuzione esattoriale, esso è destituito di fondamento. Non v’è dubbio che l’Agenzia sia legittimata ad adire il giudice tributario per accertare la sussistenza di un tributo, rientrante specificamente nella giurisdizione tributaria, al fine della successiva insinuazione nello stato passivo dell’Amministrazione Straordinaria.

Sotto questo profilo non può essere negato l’interesse ad agire dell’Agenzia ex art. 100 c.p.c.. Va, inoltre, osservato che l’eccezione sulla

omessa insinuazione dell’Amministrazione finanziaria al passivo fallimentare non risulta essere stata proposta nel ricorso di primo grado, come si ricava dal testo riportato alle pagg. 3-6 del controricorso; comunque, sul punto, esiste un difetto di autosufficienza.

3. Con il primo motivo, in relazione agli interessi maturati anteriormente all’apertura della procedura concorsuale, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 54 e 55 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Si sostiene che il giudice di appello avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 55 L.Fall., non avendo considerato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 28 maggio 2001, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 3, della stessa legge, laddove non richiamava “ai fini dell’estensione del diritto di prelazione agli interessi, l’art. 2749 c.c.”. In conseguenza, la natura privilegiata del crediti d’imposta non sospendeva la decorrenza degli interessi dovuti per il ritardo del versamento dell’imposta. Nè, si aggiunge, poteva trovare applicazione il D.L. n. 328 del 1997, art. 6 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 410 del 1997, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 44 e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 92, in quanto l’esenzione dalle sanzioni opera a condizione che l’imposta dovuta venga versata in un’unica soluzione.

La censura è fondata. Com’è noto, l’originario L. Fall., art. 55, comma 1, nel prevedere che la dichiarazione di fallimento sospendeva il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non fossero stati garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, faceva salvo quanto disposto della L. Fall., art. 54, comma 3, il quale richiamava, per quanto concerne l’estensione del diritto di prelazione agli interessi, soltanto gli artt. 2788 e 2855 c.c., dettati in tema di pegno ed ipoteca, equiparando la dichiarazione di fallimento all’atto di pignoramento, senza fare alcun cenno all’art. 2749 c.c.. La Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2001 ha dichiarato l’illegittimità della L. Fall., art. 54, comma 3, nella parte in cui non richiama, ai fini dell’estensione del diritto di prelazione agli interessi, l’art. 2749 c.c., con la conseguenza che i crediti d’imposta (in tema di IVA, v. D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 62, comma 3; per le II.DD. art. 2759 c.c.), continuano a maturare e ad essere assistiti da privilegio anche dopo la dichiarazione di fallimento o l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, come nella specie in esame. Come ha osservato Cass. n. 9147 del 03/05/2005 “A seguito della detta pronuncia, non rimane alcuno spazio interpretativo e devesi affermare il principio che gli interessi sui crediti di imposta continuano a maturare e ad essere assistiti da privilegio anche dopo la dichiarazione di fallimento e l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria” (V. pure Cass. Sentenza n. 22881 del 11/11/2005). Osserva Cass. n. 9106/2009 “L’interpretazione che qui si condivide, d’altra parte, è imposta anche dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze 1 dicembre 1998, C – 200/97, Ecotrade; 17 giugno 1999, C – 295/99, Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio s.p.a. in a.s.) il regime dell’amministrazione straordinaria delle imprese in crisi è in principio contrario alle disposizioni del Trattato CE in materia di aiuti di Stato (art. 87), là dove prevede una sospensione dei debiti di natura pubblica, quali quelli di carattere tributario o previdenziale, consentendo, al contempo, un esercizio dell’impresa per un tempo indeterminato, al di fuori di serie prospettive di riacquisto della redditività. Secondo le richiamate sentenze ciò comporta una perdita di risorse per il bilancio pubblico traducentesi in un vantaggio selettivo per determinate imprese, regime che viene deciso all’infuori di una logica di risanamento e mediante atti discrezionali dell’autorità amministrativa”.

4. Con il secondo motivo di ricorso, in ordine alle sanzioni e agli interessi di ritardato pagamento delle somme dovute per effetto della dichiarazione di condono successiva all’apertura della procedura concorsuale, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 111 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Si sostiene che, essendo stata la seconda dichiarazione integrativa presentata dall’amministrazione straordinaria, gli obblighi conseguenti dovevano essere dichiarati debiti “della massa”, come tali esclusi dalla regola della par condicio. L’Agenzia richiama la giurisprudenza di legittimità che ha affermato che i crediti verso la massa si sottraggono alla regola del concorso e trovano riconoscimento all’interno dell’art. 111 L.Fall., che impone di soddisfare i debiti mano a mano che diventano esigibili. In subordine, ritiene che, anche ad ammettere che l’amministrazione straordinaria dovesse soddisfare i debiti della massa secondo le medesime regole del fallimento, non ricorrendo una condizione di incapienza dell’attivo, non dedotta nel corso della causa, le somme dovute per interessi e sanzioni avrebbero dovuto essere pagate tempestivamente. Avrebbe quindi errato la CTR affermando che il pagamento di interessi e sanzioni era impedito dalla mancata ammissione del credito nel passivo della procedura e nel piano di riparto, in quanto questo requisito è richiesto solo “se l’attivo è presumibilmente (in)sufficiente a soddisfare i titolari di tali crediti”.

Anche questa censura è fondata. Scopo della procedura è quello di tutelare i rilevanti interessi, privati e pubblici, connessi alla conservazione e al risanamento dell’impresa, contrariamente alle procedure concorsuali tradizionali la cui funzione essenziale era invece quella di tutelare l’interesse privato dei creditori a soddisfarsi sul patrimonio dell’imprenditore fallito. In questa cornice normativa, la giurisprudenza ha condivisibilmente riconosciuto la prededuzione dei crediti funzionali alla continuazione dell’esercizio di impresa, con l’inevitabile conseguenza che ogni credito che trova origine e causa in detto rapporto ne ripete quello stesso vincolo di funzionalità -alla continuazione dell’esercizio dell’impresa- che giustifica la sua prededucibilità ed è coerente con le finalità perseguite dal legislatore con la creazione di quella speciale procedura concorsuale per le grandi imprese in crisi.

La procedura di amministrazione straordinaria risponde, quindi, direttamente delle obbligazioni ad essa inerenti, contratte (come i debiti di massa), per lo svolgimento della procedura e per le esigenze dell’impresa, proprio in vista di quel risanamento economico che costituisce il fine primario della disposta continuazione, e le cui risorse vanno reperite soprattutto all’esterno della impresa stessa. Come si legge in Cass. 10639/1997, richiamata anche nel ricorso, “E’, infatti, evidente che la continuazione della gestione presuppone negli operatori economici, che assumono obbligazioni nei confronti della procedura, fiducia e credito tali da consentire il soddisfacimento delle aspettative riposte dai contraenti; le quali sarebbero certamente frustrate ove i rapporti creditori subissero il trattamento previsto per i debiti dell’impresa sorti anteriormente all’apertura della procedura”. Nella specie, è indubbio che il credito, successivo all’ammissione dalla società all’amministrazione straordinaria, è certamente afferente alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa.

5. Ne discende che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, poichè non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, e la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo.

6. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate, tenuto conto della particolarità della questione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso di primo grado; compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019

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