Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3359 del 12/02/2010
Cassazione civile sez. III, 12/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3359
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25814/2005 proposto da:
P.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DARDANELLI 21, presso lo studio dell’avvocato VAGLIO Mauro,
che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
PA.MA. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DUILIO 13, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA GABRIELE,
che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 888/2005 del GIUDICE DI PACE di ROMA, emessa
l’11/01/2005, depositata il 13/01/2005; R.G.N. 96854/2003.
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
14/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARESTIA Antonietta, che ha concluso per accoglimento 3^ motivo con
assorbimento del 4^ motivo e infondatezza degli altri motivi.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Pa.Ma. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma P.F. affermando di avere in uso un box cui “si accede tramite due rampe” del quale gli era stato impedito l’accesso a causa del parcheggio innanzi ad esso di una autovettura di proprietà dello stesso P.. Per tali ragioni l’attore chiedeva di condannare il convenuto “al risarcimento del danno diretto conseguente alle soste effettuate il 22/aprile 2002 ed il 15/settembre 2003 nella misura di Euro 500,00”.
Il P. si costituiva in giudizio contestando la domanda attrice e depositando ulteriori atti di citazione notificati a lui ed ai propri familiari da Pa.Ma., dalla sorella di quest’ultimo P.P. e da altri loro parenti, in seguito alla asserita sosta dinanzi ad uno dei passi carrabili. Il convenuto, in conclusione, chiedeva il rigetto della domanda del P. perchè infondata; in subordine, perchè generica ed indeterminata in violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 3; quindi la condanna per responsabilità aggravata dell’attore ex art. 96 c.p.c..
Nella fase istruttoria dinanzi al Giudice di Pace l’attore era “rappresentato” da Franco di Rollo tramite “delega” e poi a mezzo di una “procura speciale alle liti” notarile.
Il Giudice di Pace accoglieva la domanda attrice condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 500,00 e al pagamento delle spese di lite.
Proponeva ricorso per cassazione P.F..
Resisteva con controricorso Pa.Ma..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sostiene anzitutto parte ricorrente che il procedimento è viziato dalla presenza in giudizio di un soggetto ( D.R.F.) che ha anche svolto attività istruttoria depositando documenti senza esserne legittimato in quanto ai sensi dell’art. 82 c.p.c., le parti (per le cause di valore inferiore ad Euro 516,46) possono stare in giudizio personalmente, ma non farsi rappresentare da un’altra persona priva di titolo per patrocinare.
Per tale ragione, ad avviso del P., l’attore avrebbe dovuto essere dichiarato contumace e tutti gli atti compiuti dall’illegittimo rappresentante dovrebbero essere considerati nulli o comunque inefficaci.
Il motivo è infondato.
Come ha correttamente affermato l’impugnata sentenza la procura speciale notarile rilasciata dall’attore al D.R. è valida ai sensi dell’art. 217 c.p.c., perchè nelle cause di valore inferiore ad Euro 516,46 la parte può stare in giudizio personalmente o farsi rappresentare da altro soggetto (Cass. 6 aprile 2006, n. 8026).
Con il secondo motivo si denuncia “violazione dei principi informatori dell’ordinamento in materia di onere della prova ex artt. 2697 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Sostiene parte ricorrente che il Giudice di pace non ha rispettato i principi informatori dell’ordinamento perchè ha condannato il convenuto al risarcimento dei danni senza che l’attore abbia fornito prova della sua domanda ed ha fondato la propria decisione su regole arbitrarie che violano e superano i limiti dei principi informatori in materia di onere della prova, ovvero le norme di cui agli artt. 2697 e 115 c.p.c.. Contesta in particolare parte ricorrente che la prova del comportamento illegittimo del P. possa essere data dalle contravvenzioni elevate dai vigili urbani a suo carico per sosta innanzi al passo carrabile. E contesta ancora che il numero delle domande giudiziarie possa dimostrare il persistere del convenuto in un comportamento illegittimo. Afferma infine parte ricorrente che il Pa. non ha fornito la prova della propria legittimazione attiva perchè non ha dimostrato di avere in uso il box, nè che in esso venisse parcheggiata un’autovettura di sua proprietà tanto da causare un ritardo ad attendere alle proprie occupazioni o una spesa per sopperire alle proprie occupazioni, o per sopperire alla possibilità di collocare l’autovettura nel box.
Il motivo è infondato.
Premesso che la questione relativa alla proprietà od all’uso del box così come quella relativa alla proprietà od all’uso dell’autovettura è irrilevante ai fini del risarcimento del danno, deve rilevarsi che secondo l’impugnata sentenza parte attrice ha fornito la prova della sosta dell’auto del convenuto e del conseguente impedimento dell’uso del passo carrabile.
La valutazione del materiale probatorio è stata correttamente effettuata dall’impugnata sentenza e le conclusioni sul punto sono congruamente motivate, in assenza di vizi logici o giuridici. Ne consegue che le stesse non sono sindacabili in sede di legittimità.
Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia “inesistenza o mera apparenza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Si afferma che, pur sussistendo formalmente la motivazione, da essa è impossibile comprendere la ratio decidendi a causa della sua radicale ed insanabile contraddittorietà.
Anche questo motivo è infondato. La motivazione non è meramente apparente bensì congrua e da essa è possibile riscontrare un adeguato esame dei punti decisivi della controversia.
Con il quarto ed ultimo motivo si denuncia infine “violazione dei principi informatori dell’ordinamento in materia di spese di lite ex artt. 82, 86 e 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Sostiene il ricorrente che la parte che sta in giudizio personalmente non può richiedere il rimborso delle spese a meno che non rivesta la qualità di avvocato e la sua intenzione di operare come difensore di sè medesimo non risulti espressamente manifestata.
Il motivo è infondato dovendosi ritenersi che il Giudice abbia inteso liquidare il risarcimento del danno patrimoniale emergente.
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 600,00 di cui Euro 400,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010