Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33581 del 18/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/12/2019, (ud. 24/06/2019, dep. 18/12/2019), n.33581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14266/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Westim Spa;

– intimata –

contro

Equitalia Sud Spa;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 245/49/13, depositata il 5 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2019

dal Consigliere Dott. Fuochi Tinarelli Giuseppe.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Bruno Dettori per l’Agenzia delle entrate

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Westim Spa impugnava la cartella di pagamento notificata da Equitalia Gerit Spa, con la quale, previa iscrizione a ruolo reso esecutivo in data 27 maggio 2010, veniva richiesta la complessiva somma di Euro 193.943,33 in relazione a quattro avvisi di rettifica di dichiarazione doganale notificati in data 1 marzo 2010 e contro i quali era stata proposto ricorso.

La contribuente deduceva la nullità della notifica, l’illegittimità della cartella e l’eccessività dell’importo iscritto, non rispettoso dei limiti D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 15 e D.P.R. n. 546 del 1992, art. 68.

L’impugnazione era accolta dalla CTP di Napoli in relazione alla dedotta nullità della notifica. Il giudice d’appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, riteneva la legittimità della cartella ma riteneva solo parzialmente esigibili, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, le somme iscritte in relazione agli esiti del giudizio di primo grado avverso due degli avvisi di rettifica.

L’Agenzia delle dogane ricorre per cassazione con un motivo. Equitalia Sud Spa e Westim Spa, quest’ultima anche a seguito della rinnovazione della notifica regolarmente eseguita, sono rimaste intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, in contrasto con gli artt. 244 CDC e 17, paragrafi 2 e 3, Reg. n. 1150/2000/CE.

2. Il motivo è solo in parte fondato.

2.1. Occorre, invero, precisare l’ambito delle questioni in giudizio.

La CTR, sul presupposto dell’applicabilità in via generale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, ha rilevato che, rispetto ai quattro avvisi di rettifica posti a fondamento dell’unitaria cartella ed oggetto di autonoma impugnazione, solo in due era intervenuta una decisione di primo grado: in un caso (invito di pagamento n. 6402/10) di accoglimento del ricorso del contribuente, mentre nell’altro (invito di pagamento n. 6401/10) era di rigetto.

Da tale assetto – dopo aver escluso, rispetto agli altri due avvisi, l’applicabilità del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 ed ogni riflesso in punto di esigibilità dalla mera pendenza del giudizio in assenza di decisione – ha concluso per ritenere (ferma la legittimità della cartella) inesigibile per l’intero le somme di cui all’invito di pagamento n. 6402/10 e per un terzo rispetto al n. 6401/10.

L’Agenzia delle dogane, per contro, ha dedotto l’inapplicabilità alla materia doganale della disciplina del frazionamento della riscossione nelle fasi post decisum sia in relazione al dettato dell’art. 68, sia in relazione alla preminenza dei principi unionali.

3. Va, peraltro, distinta l’ipotesi di accoglimento (integrale) da quella di rigetto (in tutto o in parte) del ricorso del contribuente, che, pur accomunate dalla CTR, debbono, quanto agli effetti sulla esigibilità della pretesa fiscale, essere ricondotte a fondamenti normativi – ed esiti – differenti.

4. Con riguardo alla prima ipotesi, il dato normativo da cui appare opportuno prendere le mosse è il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 che, nel testo ratione temporis vigente, prevede:

“Art. 68 – Pagamento del tributo in pendenza del processo 1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato:

a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;

b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale.

Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere a), b) e c) gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto.

2. Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza.

3….”.

4.1. Il comma 1, invero, nel regolare le ipotesi in cui può essere operata la riscossione frazionata, si riferisce esclusivamente (anche a prescindere dall’ambito oggettivo di applicazione della disposizione) ai casi in cui il ricorso del contribuente sia stato, in tutto o in parte, rigettato.

Il presupposto, dunque, è costituito dalla circostanza che la pretesa erariale, fondata sull’atto impositivo, nella sede giudiziale è stata giudicata (in tutto o in parte) legittima, da cui la possibilità di procedere alla riscossione frazionata entro determinati limiti.

Ne deriva, corrispondentemente, che, nel caso di caducazione integrale dell’atto (per l’accoglimento del ricorso del contribuente), la vicenda è estranea all’ambito regolamentato del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1.

4.2. Ciò non significa, peraltro, che l’attività di riscossione resti imperturbata dall’avvenuto annullamento dell’atto impositivo che ne costituisce il fondamento.

La fattispecie, infatti, trova la sua disciplina nel principio, ripetutamente affermato dalla Corte, secondo il quale “In tema di riscossione dei tributi, l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento divengono illegittime a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l’atto impositivo da esse presupposto, poichè tale pronuncia fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell’atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria” (Cass. n. 19078 del 10/07/2008; Cass. n. 13445 del 27/07/2012; Cass. n. 24092 del 12/11/2014).

Le stesse Sezioni Unite, sia pure con riferimento all’ipotesi, peculiare, dei ruoli straordinari (ma con affermazione, come risulta dalla motivazione, che è il portato di principi generali) ha ribadito che “L’iscrizione nei ruoli straordinari dell’intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall’avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 11 e 15 bis, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicchè, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata” (Sez. U, n. 758 del 13/01/2017).

Si è infatti evidenziato che tale conclusione discende “dal riconoscimento della efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi” che si fonda, oltre che sul generale rinvio alle norme del codice di procedura civile (e, dunque, all’art. 282 c.p.c.), proprio sull’art. 68 che postula “che le sentenze tributarie di merito abbiano un effetto immediato”.

Il citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, sebbene anch’esso non si occupi, in senso stretto, dell’ipotesi di accoglimento (integrale) del ricorso, alludendo la locuzione “il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale” all’evenienza di accoglimento parziale o, comunque, di rideterminazione del quantum della pretesa fiscale, presuppone un concetto più generale, ossia che la situazione patrimoniale del contribuente non deve essere pregiudicata “da un atto amministrativo che il giudice competente ha valutato illegittimo” (v. Cass. n. 19078 del 10/07/2008).

Una simile conclusione, del resto, appare, sul piano sistematico, coerente e necessitata con le caratteristiche del processo tributario “annoverabile non tra quelli di “impugnazione-annullamento” bensì tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto è diretto non alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma, estendendosi al rapporto d’imposta, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione” (Sez. U, n. 758 del 2017).

4.3. Neppure pertinente, in senso contrario, è il richiamo all’art. 244 CDC, nonchè all’art. 17, paragr. 2 e 3, Reg. n. 1150/2000/CE.

A prescindere da ulteriori considerazioni, infatti, la decisione di annullamento del giudice di primo grado, ancorchè non definitiva (ma comunque esecutiva), priva di consistenza l’obbligazione doganale, della quale, pertanto, non si pone alcuna questione di immediata applicazione del dazio o di immediato pagamento, neppure potendosi parlare, in tale evenienza, di un “dovuto”.

4.4. Altro e diverso discorso, che esula dal presente giudizio, è se, a fronte della decisione di annullamento favorevole da parte del giudice di primo grado, il contribuente abbia diritto di ottenere la restituzione delle somme eventualmente corrisposte.

Giova evidenziare, sul punto, che in senso negativo depone il documento TAXUD n. 256812 del 14.3.2012 che, nel valorizzare l’art. 199 CDC (per il quale la garanzia non può essere svincolata fino a che l’obbligazione doganale non sia estinta), ha escluso che, in tale evenienza, l’Autorità doganale debba restituire le somme versate in eccedenza (per dazi e Iva all’importazione), che continuano ad assolvere alla funzione di garanzia.

5. Con riguardo alla seconda ipotesi – che investe l’ambito oggettivo di applicabilità della disciplina della riscossione frazionata di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 – va premesso che la questione è stato oggetto di contrastanti pronunce di questa Corte.

5.1. Si tratta, invero, di divaricazione interpretativa che trae origine dalla non felice formulazione lessicale del primo periodo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 (“Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato”).

Secondo una prima pronuncia in materia di ICI (Cass. n. 7831 del 31/03/2010) il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 deve considerarsi norma di contenuto generale, estesa a qualsiasi tipo di tributo, dovendosi intendere la proposizione normativa iniziale del comma 1 come “previsione derogatoria di eventuali norme tributarie speciali che dettano – per il frazionamento della riscossione – una disciplina diversa”.

L’applicabilità della disciplina della riscossione frazionata dei crediti tributari litigiosi derivava, in particolare, dal fatto che “la norma in oggetto è contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, capo 4, che regola il processo tributario, e che ha come titolo “l’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie”. La rubrica della disposizione in parola è “pagamento del tributo in pendenza di processo”. Tale collocazione e la intitolazione del disposto in oggetto rende già di per sè evidente che la norma si applica in tutti i casi in cui il tributo sia stato oggetto di impugnazione, e sia intervenuta una sentenza che abbia pronunciato su di esso (Cass. n. 7785 del 2008) attenendo alla esecuzione, totale o parziale, della sentenza stessa, non ancora definitiva. Per converso, la norma in questione non può che applicarsi a tutti i tributi in ordine ai quali le Commissioni tributarie siano competenti a pronunciare”, mentre, per contro, secondo la Corte, una diversa soluzione si configurava come irrazionale e contraria ai principi di parità di trattamento.

Per una seconda, quasi coeva, decisione, sempre in materia di ICI, (Cass. n. 15473 del 30/06/2010, poi seguita da Cass. n. 19015 del 24/09/2015), il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 è invece inapplicabile: la prima parte del comma 1 sarebbe intervenuta solo ad unificare derogando ove necessario – la disciplina delle molteplici norme tributarie che già prevedevano differenti modalità di riscossione frazionata, sicchè la norma troverebbe applicazione soltanto “nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio” ed in tal caso agendo anche “in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta”.

In altri termini, secondo questa diversa impostazione, la norma non innova a quelle leggi d’imposta per cui tale forma di riscossione non era prevista e “non trova riscontro ed applicazione riguardo a tributi, come l’ICI, cui non si applicava… il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2, essendo disciplinati da norme proprie in materia di riscossione coattiva”.

5.2. Sulla questione è poi intervenuta – e proprio in tema di obbligazioni doganali – Cass. n. 20669 dell’1/10/2014 (seguita da Cass. 21251 dell’8/10/2014) che ha fornito un utile approfondimento sull’esegesi della disposizione osservando l’improprietà dell’utilizzo della locuzione “in deroga” contenuta nella norma: al citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 “non può riconoscersi carattere derogatorio rispetto alle analoghe discipline dettate dalle singole leggi di imposta” poichè “queste ultime, proprio perchè regolanti la medesima materia, una volta derogate, rimangono private di qualsiasi efficacia, non potendo trovare ulteriore applicazione a nessun altra diversa fattispecie” sicchè il fenomeno andava ricondotto “non alla deroga” ma alla “abrogazione tacita per incompatibilità”.

Si tratta, invero, di esegesi condivisibile sull’evidente rilievo che le pregresse discipline previste dalle singole leggi d’imposta (sulla riscossione frazionata dopo la sentenza) non potrebbero avere un residuo spazio di operatività: la legge generale ha “derogato” alle singole leggi speciali, senza, tuttavia, conservare ad esse alcun ambito autonomo, per cui, in realtà, l’intervento ha avuto valenza abrogativa.

Si può anche osservare, sul punto, che una simile conclusione è coerente con i ripetuti arresti della Corte sul rapporto tra l’art. 68 cit. e il D.P.R. n. 602 del 1972, art. 15, di cui è stata affermata l’abrogazione per incompatibilità del comma 2 (per l’identità della fattispecie astratta) e non del comma 1 (relativo all’esecuzione gradata nella fase amministrativa) (Cass. n. 12791 del 10/06/2011; Cass. n. 27803 del 31/10/2018).

5.3. Ciò premesso, dunque, si tratta di verificare se con il citatp D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 – e l’abrogazione delle discipline speciali previgenti – il legislatore abbia inteso ridisciplinare l’intera materia per qualsiasi tributo comunque ricadente nella giurisdizione delle Commissioni tributarie ovvero se l’obbiettivo effettivamente perseguito sia stato quello, più mirato, di uniformare la disciplina previgente senza però innovare rispetto alle leggi d’imposta che non contemplano una modalità di riscossione frazionata, ambito che include la disciplina doganale.

6. Ritiene il collegio di condividere la seconda delle due opzioni interpretative.

6.1. In via generale, occorre innanzitutto evidenziare che una locuzione sostanzialmente identica a quella contenuta nel primo periodo del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 si rinviene nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, comma 1, con riguardo alla disciplina della riscossione frazionata in materia sanzionatoria.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 3, nel testo originario, prevedeva che le sanzioni pecuniarie “debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione”.

Tale disposizione è stata eliminata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, comma 1, che ha originariamente previsto l’applicazione, tout court, dell’art. 68, commi 1 e 2, (“in caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario”), ma che, dopo pochi mesi (con il D.Lgs. 5 giugno 1998, n. 203, art. 2), è stata immediatamente modificata con una nuova, più specifica formulazione e precisamente:

“In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata, si applicano le disposizioni dettate dal del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario”

La previsione, in termini lineari, estende l’applicazione del regime della riscossione frazionata a tutte le sanzioni (pecuniarie) anche se la pregressa specifica normativa di settore non contenga una regolamentazione positiva: la regola generale per la riscossione delle sanzioni nel corso del giudizio tributario (e dopo la sentenza di primo grado) è, dunque, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 (non a caso è ricorrente, proprio in tema di sanzioni, l’affermazione che l’art. 68 “costituisce regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario” v. Cass. n. 26339 del 15/12/2014; Cass. n. 27867 del 31/10/2018).

Tale indicazione, peraltro, si riflette, indirettamente, anche su quella corrispondente dell’art. 68, comma 1, primo periodo.

Nell’art. 19, comma 1, essa è esplicitamente e chiaramente utilizzata per estendere l’ambito di applicazione di tale forma di riscossione anche in assenza di una precedente indicazione, ma ciò avvalora che la dizione contenuta nell’art. 68, che si differenzia dalla prima per la mancanza della parola “non” (ossia, “… nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni…”), assuma un valore delimitativo, ossia che il tributo debba essere pagato con lo strumento della riscossione frazionata solo quando tale modalità sia già prevista dalla disciplina delle singole leggi d’imposta, da intendersi sul punto – per quanto sopra rilevato al par. 5.2. abrogate per incompatibilità.

6.2. Sempre in via generale, soccorre, in secondo luogo, una prospettiva di razionalità di sistema.

La carenza di una specifica autonoma previsione di un meccanismo di riscossione frazionata si accompagna, infatti, alla possibilità di riscossione immediata per l’intero già nella fase amministrativa.

Così è, ad esempio, in tema di TARSU: il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, non include tra le disposizioni richiamate del D.P.R. n. 602 del 1973, quella contenuta nell’art. 15, relativa alla misura delle iscrizioni a ruolo in caso di accertamenti non definitivi, da cui l’immediata iscrizione integrale a ruolo (v. sul punto Cass. n. 753 del 19/01/2010; v. anche Cass. n. 440 del 11/01/2018 quanto alla collegata possibilità di rateizzazione del debito in cartella).

Analogo principio vale in materia di ICI e, in genere, per i tributi locali, per i quali, parimenti, non trova applicazione il citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, riferito alle sole imposte dirette (v. sul punto Cass. n. 2199 del 16/02/2012, Cass. n. 19015 del 24/09/2015 e, da ultimo, Cass. n. 30170 del 15/12/2017 in motivazione).

Il medesimo regime assiste la disciplina delle obbligazioni doganali, per le quali è incontroverso che “qualora il contribuente abbia impugnato l’avviso di rettifica e non sia ancora intervenuta la decisione di primo grado, non è precluso all’Amministrazione finanziaria iscrivere a ruolo gli interi importi dovuti, in quanto… non vi è, in materia doganale, una norma analoga al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15, comma 1, che, per la riscossione delle imposte dirette sui redditi, limita, a seguito dell’impugnativa, l’importo iscrivibile a ruolo a quello pertinente alla “fase amministrativa” del procedimento, ossia dalla notifica dell’atto impositivo sino alla decisione in primo grado, tanto più che una limitazione dell’iscrizione a ruolo dell’importo accertato anteriormente alla decisione giurisdizionale, si porrebbe in contrasto con l’art. 244 del codice doganale comunitario” (Cass. n. 20669 dell’1/10/2014).

Ne deriva che, in questi casi, ove fosse applicabile l’art. 68 cit. alla fase post decisum (in caso di sentenza di rigetto del ricorso), la pur legittima iscrizione per l’intero già operata sulla base del solo atto impositivo dovrebbe necessariamente – e irragionevolmente venire meno (nella misura di un terzo) nonostante la positiva

valutazione operata dal giudice digrado.

6.3. Tale ultima considerazione, poi, assume specifica incidenza in ordine alla razionalità, anche sotto il profilo della disparità di trattamento, di un regime processuale differenziato tra diversi tributi.

Con riguardo all’immediata, e per l’intero importo, iscrizione a ruolo in base al solo atto impositivo, la questione è stata oggetto di uno specifico intervento da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 464 del 1999) con riguardo al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72 in tema di TARSU, che ha dichiarato non fondata la questione, sottolineando, oltre al fatto che la tutela cautelare è comunque assicurata D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 47, che, profilo qui rilevante, il trattamento differenziato rispetto al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 1, trovava giustificazione in considerazione dei diversi presupposti impositivi, rientrando nella discrezionalità del legislatore che “non è tenuto sul piano costituzionale ad una identità di scelte in ordine ai tempi e modalità di esazione e iscrizione a ruolo provvisoria”.

In tema di tributi locali, del resto, le preminenti esigenze di interesse pubblico sono identificabili nella necessità di assicurare agli enti locali le risorse per il funzionamento dei servizi pubblici che non possono subire interruzioni.

Analoghe considerazioni, mutatis mutandis, valgono in materia di tributi doganali: l’interesse proprio all’immediata riscossione è costituito dalla necessità della tempestiva ed integrale acquisizione delle risorse finanziarie proprie dell’Unione Europea.

Le considerazioni appena esposte si riflettono anche con riguardo all’applicabilità del regime ex art. 68 cit.: è l’indistinto assoggettamento alla disciplina della riscossione frazionata di tutti i tributi per il solo fatto di essere litigiosi ed a prescindere dalla valutazione dei rispettivi presupposti impositivi che determina una frizione sul piano della razionalità e della parità di trattamento, determinando una equiparazione tra situazioni che, dal legislatore, sono definite in termini differenziati per il soddisfacimento di un preminente interesse pubblico.

6.4. Occorre infine, sottolineare, con riguardo allo specifico ambito delle obbligazioni doganali, che la disciplina positiva di origine unionale, in ispecie il Reg. n. 2913/1992/CE, nonchè il Reg. n. 450/2008/CE che lo ha sostituito (senza, peraltro, significative innovazioni), è univocamente convergente per la realizzazione della riscossione immediata dei diritti doganali: l’art. 199 CDC, in primo luogo, prevede che la garanzia non può essere svincolata finchè l’obbligazione doganale per la quale è stata costituita non si è estinta o non può più sorgere; l’art. 218, paragrafo 1, e art. 220, paragrafo 1, (poi art. 70, che assegna un termine di quattordici giorni) dispongono che la contabilizzazione dei dazi deve avvenire non appena si verificano i presupposti di insorgenza della obbligazione doganale; l’art. 232, paragrafo 1, lett. a), (poi 78) impone agli Stati membri, in caso di inadempimento dell’obbligato nel termine prescritto, di assicurare immediatamente il pagamento del dovuto avvalendosi anche della esecuzione coatta; l’art. 244, paragrafi 1 e 2, (poi 24) dispone che il ricorso amministrativo o giurisdizionale non sospende la esecuzione del provvedimento impositivo, salvo la facoltà di sospensione disposta nella fase amministrativa dall’autorità doganale, previa puntuale valutazione del fumus boni iuris e del periculum in mora.

La stessa Corte di Giustizia (sentenza 11 gennaio 2011, in C266/99, Siples Srl) con riguardo all’art. 244 CDC ha avuto modo di precisare, del resto, che la norma “va interpretato nel senso che attribuisce la facoltà di disporre la sospensione dell’esecuzione di una decisione impugnata solo alle autorità doganali. Tuttavia, tale disposizione non limita il potere di cui dispongono le autorità giudiziarie adite con un ricorso ai sensi dell’art. 243 del medesimo codice di disporre una siffatta sospensione per conformarsi al loro obbligo di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario”.

L’esercizio del potere di sospensione, dunque, si articola in funzione dell’obbligo “di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario”, ossia, in particolare, “dell’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario”, che male si coordina con forme di automatismo correlate al mero fattore dell’esecuzione.

Va sottolineato che, in questa stessa prospettiva, in forza del D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 3-bis, conv. nella L. n. 44 del 2012, a partire dal marzo 2013 per i tributi doganali non si procede più alla riscossione mediante ruolo ma è stata prevista l’immediata esecutività dei provvedimenti dell’Amministrazione doganale decorsi dieci giorni, che decorrono, però, non dalla scadenza dei termini per la proposizione del ricorso ma dalla notifica del provvedimento accertativo.

Coerente con tale soluzione, infine, è l’intervento operato con la L. 30 ottobre 2014, b. 161, art. 10, con cui è stato introdotto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 3-bis per il quale “il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali… e dell’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell’Unione Europea in materia”.

7. Le considerazioni sopra esposte conducono pertanto a delineare l’ambito della riscossione frazionata in sede processuale e la portata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68.

In materia di sanzioni, in particolare, la riscossione frazionata costituisce regola generale nel corso del processo.

Con riguardo agli atti impositivi e alle singole imposte, invece, l’applicabilità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 è condizionata alla possibilità o meno di procedere già nella fase amministrativa alla riscossione integrale sulla base del solo atto impositivo: ove la disciplina sostanziale, in funzione del soddisfacimento di un interesse pubblico, consenta l’immediata riscossione dell’imposta per l’intero resta preclusa l’applicabilità, nella fase processuale, del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, sicchè legittimamente la riscossione può essere avviata e proseguita per l’intero importo, con l’unico limite derivante dalla rideterminazione del quantum da parte del giudice tributario a seguito di accoglimento del ricorso del contribuente.

In altri termini, dunque, con riguardo agli atti impositivi, la regola processuale della riscossione frazionata ha quale presupposto fondante la frazionabilità della riscossione già nella fase amministrativa, sicchè non si applica solo ove sia prevista o consentita, espressamente o in via implicita alla luce dello specifico contesto normativo di riferimento, l’esazione per l’intero sulla base del solo atto di accertamento non definitivo.

Rientrano in questa particolare ipotesi le obbligazioni doganali e, più in generale, i tributi afferenti le risorse proprie dell’Unione Europea.

8. In conclusione vanno affermati i seguenti principi di diritto:

“in tema di riscossione frazionata in pendenza del processo, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 costituisce regola generale in materia di sanzioni, mentre, con riguardo agli atti impositivi, presuppone la frazionabilità della riscossione già nella fase amministrativa, sicchè non si applica ove sia consentita l’esazione per l’intero sulla base del solo atto di accertamento non definitivo”

“in tema di riscossione di dazi e diritti doganali, qualora il contribuente abbia impugnato l’avviso di rettifica e sia intervenuta decisione di primo grado a lui integralmente sfavorevole, l’Amministrazione finanziaria può porre in riscossione la totalità degli importi dovuti ovvero, se abbia già avviato la riscossione nella fase amministrativa anteriormente alla decisione, può validamente proseguire all’esazione per l’intero importo, non trovando applicazione alla materia doganale, anche anteriormente alla modifica operata con la L. n. 161 del 2014, art. 10, la procedura di riscossione frazionata di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, commi 1 e 2; qualora, invece, il giudice di primo grado abbia accolto, in tutto o in parte, il ricorso, escludendo o riducendo l’ammontare delle somme dovute, le eventuali maggiori somme già iscritte a ruolo non sono esigibili”

9. In accoglimento del ricorso, nei termini di cui in motivazione, la sentenza va quindi cassata, senza rinvio, limitatamente alla dichiarata non esigibilità di un terzo delle somme di cui all’invito di pagamento n. 6401/10 e confermata nel resto.

Le spese delle fasi di merito sono parimenti da confermare, mentre quelle del giudizio di legittimità, attesa la novità della questione, vanno integralmente compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla dichiarata non esigibilità di un terzo delle somme di cui all’invito di pagamento n. 6401/10. Conferma la statuizione del giudice d’appello in ordine alla liquidazione delle spese dei gradi di merito e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 18 dicembre 2019

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