Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3356 del 13/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3356 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

Cron.

sul ricorso 5309-2008 proposto da:
FARNOS

SRL,

rappresentante

in
pro

persona

Rep.

del

tempore,

Cav.

proprio
PAOLO

LC
G2

legale Ud. 13/12/2013
FARCI,

elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e
difesa dall’avvocato MACCIOTTA GIUSEPPE giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

CENTRO FACTORING SPA 03069140485, in persona del suo
Direttore Generale e legale rappresentante Dott. MARIO

1

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Data pubblicazione: 13/02/2014

MARINESI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
BRUNO BUOZZI 77, presso lo studio dell’avvocato
TORNABUONI FILIPPO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MALESCI PAOLO giusta delega in
atti;
in persona dei legali

rappresentanti Commissari Liquidatori prof. GIORGIO
MAZZANTI, dott. LUCIANO PANDIANI e dott. STEFANO
CAPASSO, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato IODICE DOMENICO
giusta delega in atti;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1490/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 01/10/2007 R.G.N. 2961/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/12/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato PAOLO MALESCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso.

GENCORD SRL 00142310929,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. Gencord in amministrazione straordinaria citava
in giudizio, davanti al Tribunale di Torino, la s.r.l. Farnos,
chiedendo che fosse dichiarata l’inefficacia nei suoi confronti,
ai sensi dell’art. 67 della legge fallimentare, di una serie di

Precisava, a sostegno, che il Tribunale di Cagliari, con
sentenza del 18 dicembre 1993, aveva dichiarato lo stato di
insolvenza della Gencord, la quale era stata ammessa alla
procedura di amministrazione straordinaria, e che sussistevano
le condizioni di legge per la revocatoria.
Si costituiva la società convenuta eccependo, tra l’altro, il
proprio difetto di legittimazione a causa del trasferimento dei
crediti, oggetto dell’azione revocatoria, in favore della s.p.a.
Centro factoring, trattandosi di cessioni

pro soluto

espressamente accettate dalla Gencord.
Veniva quindi autorizzata la chiamata in giudizio della
s.p.a. Centro factoring la quale, costituendosi, eccepiva che
l’azione revocatoria fallimentare era stata correttamente
esperita nei soli confronti della società Farnos, sicché nei
suoi confronti si sarebbe potuto esperire la sola azione di
rivalsa di cui all’art. 6 della legge 21 febbraio 1991, n. 52.
Il Tribunale, con sentenza del 17 maggio 2004, dichiarava
inefficaci, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge
fallimentare, i pagamenti ricevuti nell’anno dalla Farnos, per
la somma di euro 184.512,17, condannando detta società alla
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pagamenti per la somma complessiva di lire 357.265.381.

restituzione di tale somma; dichiarava poi ammissibile la
domanda di manleva da quest’ultima avanzata, riconoscendo che la
s.p.a. Centro factoring era obbligata a tenere indenne la s.r.l.
Farnos nei limiti di euro 25.882,85.
2. La pronuncia veniva appellata dalla s.p.a. Centro

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del l ° ottobre 2007,
dichiarava inammissibile per tardività l’appello proposto dalla
società Farnos e, in parziale riforma della pronuncia di primo
grado, dichiarava improponibile la domanda di rivalsa proposta
dalla medesima nei confronti della s.p.a. Centro factoring,
condannando altresì la società Farnos al pagamento delle spese

factoring e dalla s.r.l. Farnos, con distinti atti di citazione.

del doppio grado, sia nei confronti della Gencord che della 9j .,
s.p.a. Centro factoring.
Osservava la Corte territoriale che l’appello proposto dalla
Farnos era tardivo in quanto, essendo stato notificato una prima
volta, tempestivamente, presso il domicilio eletto della società
Gencord, la notifica non era andata a buon fine a causa del
trasferimento dei difensori domiciliatari; la seconda notifica,
andata a buon fine, era però tardiva, siccome avvenuta dopo il
trentesimo giorno dalla notifica della sentenza di primo grado.
Dovendosi ritenere la prima notifica come inesistente, da tanto
derivava l’inammissibilità del gravame.
Quanto all’appello proposto dalla s.p.a. Centro factoring, la
Corte riteneva che, mentre l’azione di garanzia trova la propria
giustificazione nella necessità di evitare l’esborso, da parte
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del garantito, per effetto della condanna, l’azione di rivalsa
di cui all’art. 6 della legge n. 52 del 1991, sul modello di
quella prevista dall’art. 754 cod. civ. a proposito del coerede,
presuppone il pagamento.
Nella specie, quindi, doveva essere operativa la previsione

quale soltanto in caso di pagamento compiuto al fallimento «il
cedente può agire in rivalsa verso il cessionario, così
subentrando nei diritti del fallimento, per effetto di
surrogazione legale». Difettando tale presupposto, la domanda di
rivalsa della società Farnos nei confronti della s.p.a. Centro
factoring era da ritenere improponibile.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino
propone ricorso la s.r.l. Farnos, con atto affidato a tre
motivi.
Resistono con separati controricorsi la s.p.a. Centro
factoring e la s.r.l. Gencord in amministrazione straordinaria.
La s.p.a. Centro factoring ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione degli artt. 325, 326, 327 e 330 del codice di
procedura civile.
Rileva la ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe dato
un’interpretazione errata del sistema; ed infatti i principi
richiamati a proposito dell’inesistenza della notifica e della
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dell’art. 6 della citata legge n. 52 del 1991, in base alla

tardività dell’impugnazione possono valere in presenza di
un’impugnazione proposta entro il termine lungo, quando la parte
ha avuto comunque a disposizione l’intero lasso di tempo
successivo al deposito della sentenza. Simile ricostruzione non
può adattarsi al caso del termine breve per proporre il gravame.

considerazione il fatto che la società Farnos aveva
correttamente notificato l’appello presso il domicilio eletto
dei procuratori costituiti, in quanto pochi giorni prima la
sentenza di primo grado era stata notificata, a cura della
società Gencord, indicando come domicilio proprio quello studio
legale.
2.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in

riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc.
contraddittorietà della motivazione.
Rileva la società ricorrente che la sentenza impugnata
sarebbe caduta in contraddizione in quanto, dopo aver indicato
le norme da applicare nel caso di specie, ha poi dichiarato
l’inammissibilità dell’appello senza considerare che alla
società Farnos non poteva imputarsi alcuna negligenza; la
sentenza stessa, infatti, dà conto che la società Gencord
risultava domiciliata

come in atti, ossia proprio nel domicilio

dove era stata tentata la prima notifica dell’atto di appello.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati.
3.1. La Corte torinese ha richiamato, a sostegno della
propria decisione di inammissibilità dell’appello proposto dalla
6

La Corte territoriale non avrebbe tenuto nella giusta

s.r.l. Farnos, alcune pronunce di questa Corte, fra le quali la
sentenza 15 settembre 2003, n. 13524, secondo cui, in caso di
trasferimento di domicilio da parte del destinatario
dell’impugnazione, la notifica nel luogo originario non andata a
buon fine è da considerare

inesistente

e, come tale, non

notifica, conclusasi con esito positivo, era da ritenere tardiva
siccome avvenuta dopo il decorso del termine perentorio di
trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado da
parte della società Gencord.
3.2. Tale conclusione non può essere condivisa.
Successivamente al deposito della sentenza oggi impugnata,
infatti, questa Corte ha avuto modo di tornare in più occasioni
sull’argomento, in particolare con le due sentenze delle Sezioni
Unite 18 febbraio 2009, n. 3818, e 24 luglio 2009, n. 17352.
Dalla lettura congiunta e coordinata di queste due pronunce
emerge con chiarezza che l’obbligo del procuratore di eleggere
un domicilio e di comunicarne i successivi mutamenti è previsto
dalla legge professionale soltanto nel caso di svolgimento
dell’attività difensiva al di fuori della circoscrizione di
assegnazione; mentre in ambito locale le annotazioni previste
nell’albo professionale sono sufficienti a soddisfare le
esigenze processuali di conoscenza del domicilio del
procuratore. Ciò in quanto sussiste a carico delle parti un
onere di diligenza circa l’effettività del domicilio del
difensore al quale viene indirizzato l’atto di impugnazione,
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suscettibile di alcuna sanatoria. Ciò comportava che la seconda

onere al quale «corrisponde l’assunzione da parte del
notificante del rischio dell’esito negativo della notifica
richiesta in un domicilio diverso da quello effettivo» (così la
sentenza n. 3818 del 2009 cit.).
In altre parole, l’adempimento dell’onere di diligenza

sufficiente a garantire la corretta individuazione del
domicilio, anche in caso di mutamenti, in relazione ai difensori
iscritti all’albo del tribunale davanti al quale si svolge la
causa, mentre può non essere sufficiente in caso di parte che è
assistita da difensore esterno al circondario di quel tribunale,
il quale ha la facoltà di scelta nell’elezione di domicilio e,
di conseguenza, l’obbligo di comunicarne i relativi mutamenti
che la controparte non potrebbe conoscere tramite l’albo
professionale.
Nella fattispecie odierna, come risulta dalla stessa sentenza
della Corte torinese, la società Gencord – rappresentata e
domiciliata

come in atti

(ossia a Torino, Via Montecuccoli 6,

presso lo studio degli avv. Loredana Boi e Maurizio Onnis) – ha
notificato alla società Farnos la sentenza di primo grado in
data 24 novembre 2004, allo scopo di far decorrere il termine
breve per l’appello (art. 326 cod. proc. civ.);
dall’intestazione della sentenza oggi impugnata si apprende,
poi, che i suddetti avv. Boi e Onnis erano del foro di Cagliari,
e perciò esercenti l’attività al di fuori del loro circondario
di assegnazione. A seguito della notifica della sentenza, la
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suddetto fa sì che il controllo dell’albo professionale sia

società Farnos ha notificato l’atto di appello in data 23
dicembre 2004, ossia nei termini, presso il domicilio eletto di
cui sopra, notifica non andata a buon fine in quanto i citati
difensori avevano trasferito il proprio domicilio a Torino, Via
Palmieri 36, presso lo studio dell’avv. Iodice, dove poi la

dicembre 2004.
Nella specie, pertanto, trattandosi di due procuratori
esercenti in un circondario diverso da quello di assegnazione,
non c’era alcun dubbio – come bene chiarisce la sentenza delle
Sezioni Unite n. 17352 del 2009 cit. – che essi avessero
l’obbligo di comunicare la variazione di domicilio; obbligo
ancora più stringente – se così si può dire – in considerazione
del fatto che pochi giorni prima gli avv. Boi e Onnis avevano
notificato la sentenza di primo grado dichiarandosi domiciliati
come in atti.

Nessun addebito di negligenza, pertanto, può

essere mosso alla società Farnos per aver tentato la prima
notifica in quello che, oltre tutto, era il domicilio indicato
ai sensi dell’art. 330 cod. proc. civ., valido ai fini della
notifica dell’impugnazione; l’appellante, infatti, poteva del
tutto ragionevolmente fare affidamento sul fatto che quello
indicato nella notifica della sentenza fosse (ancora) il
domicilio eletto.
3.3. Deve dunque trovare applicazione il principio di
diritto, formalmente enunciato dalla menzionata sentenza n.
17352 del 2009, secondo cui in tema di notificazioni degli atti
9

notifica è stata validamente effettuata il successivo 30

processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi
entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per
circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà
e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole
durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento

– di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del
procedimento notificatorio e, ai fini del rispetto del termine,
la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di
attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo
sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto,
tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza
per conoscere l’esito negativo della notificazione e per
assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie
(principio ribadito, tra le altre, dalle recenti sentenze 19
ottobre 2012, n. 18074, e 11 settembre 2013, n. 20830; v. pure,
in relazione ad una fattispecie in tutto simile a quella
odierna, la sentenza 26 marzo 2012, n. 4842).
L’appello della società Farnos, quindi, notificato la seconda
volta, come si è detto, in data 30 dicembre 2004, ossia appena
sette giorni dopo la prima notifica, doveva essere considerato
tempestivo, trattandosi di un procedimento notificatorio
intrapreso nei termini di legge, inizialmente non andato a buon
fine per circostanze non imputabili al richiedente e concluso
positivamente, entro un termine ragionevole, senza soluzione di
continuità processuale.
10

giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio

4. L’accoglimento del primo e del secondo motivo di appello
determina l’assorbimento del terzo, relativo ai limiti della
proponibilità della domanda di rivalsa ai sensi dell’art. 6
della legge n. 52 del 1991, in quanto ragioni di coerenza
interna del processo consigliano di rimettere al giudice di

derivanti dalla decisione assunta sul punto dalla sentenza
d’appello oggi esaminata.
5.

In conclusione, la sentenza impugnata è cassata e il

giudizio rinviato alla Corte d’appello di Torino, in diversa
composizione personale, la quale procederà, in applicazione del
principio di diritto sopra enunciato, all’esame dell’appello
della società Farnos erroneamente dichiarato inammissibile.
Al giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle
spese del presente giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso,

assorbito il terzo,

cassa

la sentenza impugnata e

rinvia

alla

Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale,
anche per la liquidazione delle spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 13 dicembre 2013.

rinvio l’esame dell’intera controversia, senza i condizionamenti

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