Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3356 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. III, 12/02/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 12/02/2010), n.3356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16726/2005 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore Avv. S.G.P.,

elettivamente domiciliato in ROMA, INPS – VIA DELLA FREZZA 17, presso

lo studio dell’avvocato NARDI Manlio, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati TRIOLO VINCENZO, 77 MITTONI ENRICO;

– ricorrente –

contro

AXA ASSICURAZIONI SPA, (OMISSIS), in persona del procuratore

speciale, Dott. C.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MASSANO MARIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato VENTURINI Marcello giusta delega

in calce al controricorso;

M.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PICA ALFIERI

GABRIELE giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 391/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Prima Civile, emessa il 05/11/2004, depositata il 16/02/2005;

R.G.N. 979/A/2000.

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per accoglimento del 3^ motivo e

rigetto sul resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’INPS conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, la UAP Italiana spa e M.G. chiedendone la condanna in solido al pagamento in suo favore della somma di L. 122.427.000, oltre accessori, che asseriva di aver erogato per prestazioni pensionistiche ad B.U., rimasto infortunato in un incidente stradale avvenuto per esclusiva responsabilità del “conducente M.F.”.

Si costituiva in giudizio il convenuto M.G. contestando sia la procedibilità della domanda (essendo egli il conducente della vettura investitrice di proprietà di M.F., assicurato con la UAP); sia il fondamento della stessa.

Costituitasi in giudizio, la UAP chiedeva il rigetto della domanda perchè infondata ed affermava che, essendo il B. deceduto il (OMISSIS), l’INPS non aveva erogato alcuna somma o semmai una somma molto inferiore a quella richiesta. Si dichiarava comunque disposta a versare all’INPS quanto da quest’ultimo effettivamente erogato per prestazioni pensionistiche, nei limiti del massimale e detratto quanto già da essa corrisposto agli eredi B..

Con sentenza del 24 febbraio 2000 il Tribunale di Firenze respingeva la domanda attrice nei confronti di M.G. in quanto carente di legittimazione passiva e in parziale accoglimento della medesima domanda condannava la UAP Italiana al pagamento, in favore dell’INPS, della somma di L. 13.619.394, oltre accessori. Risultava infatti essere stata effettivamente versata dall’INPS, per la causale de qua, la somma di L. 30.218.394, dalla quale si doveva detrarre l’importo di L. 16.599.000, già versato al medesimo Istituto.

Contro tale sentenza proponeva appello l’INPS chiedendone la riforma ed in particolare:

1) che i convenuti fossero condannati in solido al pagamento della residua somma di L. 105.828.000 oltre accessori;

2) che fosse dichiarata la legittimazione passiva di M. G. con conseguente condanna dello stesso, in solido con la UAP, al rimborso della somma dovuta all’Istituto;

3) che venisse riformato il capo della sentenza che aveva compensato integralmente le spese processuali tra l’INPS e la UAP;

4) che la Corte d’Appello riconoscesse la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma erogata.

Gli appellati resistevano chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Dichiarata l’interruzione del processo per incorporazione della UAP spa nell’Axa Assicurazioni spa la causa era quindi riassunta nei confronti di quest’ultima.

La Corte d’Appello di Firenze dichiarava compensate in misura di un quarto le spese processuali di primo grado; dichiarava compensate nella medesima misura le spese del giudizio d’Appello fra l’INPS e M.G.; dichiarava interamente compensate le spese dei due gradi del giudizio fra l’INPS e la Axa Assicurazioni spa;

confermava interamente nel resto la sentenza impugnata.

Proponeva ricorso per cassazione l’INPS. Resistevano con controricorso M.G. e l’Axa Assicurazioni spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso l’INPS denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1916 c.c. e della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Sostiene parte ricorrente che non appare condivisibile la decisione del Giudice di Appello laddove ha escluso la possibilità di esperire contestualmente l’azione ex art. 1916 c.c., nei confronti del materiale responsabile del sinistro (ossia di M.G., conducente dell’autovettura investitrice) e l’azione della L. n. 990 del 1969, ex art. 28, nei confronti dell’assicuratore rea. Infatti l’azione surrogatoria esperita dall’Istituto per il recupero della prestazione assistenziale erogata all’assicurato e fondata sulla responsabilità solidale del terzo e della Compagnia Assicuratrice che manleva il veicolo investitore (L. n. 990 del 1969, art. 18), è unica, anche se il titolo su cui essa si fonda si atteggia diversamente a seconda che si abbia riguardo, rispettivamente, all’autore materiale dell’illecito (art. 1916 c.c.) o alla Compagnia Assicuratrice (L. n. 990 del 1969, art. 28).

Nè parte ricorrente condivide la tesi della Corte d’Appello secondo la quale il M. sarebbe privo di legittimazione passiva perchè l’espressione “responsabile del sinistro” di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 23 “va riferita al solo proprietario del veicolo, unico litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato direttamente contro l’assicuratore”. Il conducente, secondo l’INPS, comunque litisconsorte facoltativo è, in ogni caso, soggetto civilmente responsabile per i danni cagionati nel sinistro.

Il motivo è infondato.

In caso di incidente stradale, per il recupero delle spese assistenziali erogate, all’ente gestore di assicurazione sociale spetta la scelta fra l’azione nei confronti del terzo responsabile del danno ex art. 1916 c.c., e quella nei confronti del suo assicuratore, L. n. 990 del 1969, ex art. 28, non risultando incompatibili i due rimedi che attribuiscono il diritto di successione nel credito nei confronti di soggetti obbligati diversi (Cass., 20.11.1987, n. 8544).

La normativa di cui all’art. 1916 cod. civ. e quella di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 28, regolano infatti distinti rapporti intersoggettivi talchè secondo il sistema vigente l’assicuratore sociale può agire nei confronti del responsabile del danno ma non del suo assicuratore ai sensi del 1916 c.c., per il rimborso delle prestazioni erogate; in alternativa può agire nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno ai sensi della L. L. n. 990 del 1969, art. 28, comma 2, per il rimborso suindicato.

In conclusione il legislatore ha previsto due diversi titoli normativi per le azioni in esame poichè le stesse hanno una diversa natura: l’azione contro il terzo responsabile rientra nel novero delle azioni surrogatorie, mentre l’azione ex art. 28, contro l’assicuratore rea, fa parte delle c.d. azioni dirette.

Correttamente la Corte d’Appello, con riferimento all’azione diretta L. n. 990 del 1969, ex art. 28, ha affermato la carenza di legittimazione passiva del conducente dell’ autoveicolo.

Quest’ultimo, così come gli altri soggetti indicati dall’art. 2054 c.c., non può infatti essere soggetto passivo dell’azione di surrogazione ex art. 1916 c.c., esercitata dall’assicuratore perchè egli è uno dei soggetti la cui responsabilità deve essere per legge coperta dall’assicurazione, rientrando nelle previsioni della L. n. 990 del 1969.

In altri termini, come sostiene l’impugnata sentenza, quando si agisce ai sensi del combinato disposto degli artt. 18 e 23 della suddetta legge, si configura un litisconsorzio necessario tra il responsabile civile (proprietario del veicolo assicurato) e l’assicuratore che copre la responsabilità civile del medesimo proprietario, mentre ogni altro soggetto, anche se materialmente responsabile del danno (conducente), risulta estraneo alla relazione necessaria imposta dall’azione diretta e si pone soltanto come soggetto passivo della responsabilità per danni.

Con il secondo motivo l’INPS denuncia “Violazione ed erronea applicazione dell’art. 1916 cod. civ. e della L. n. 222 del 1984, art. 14 e del D.M. 30 marzo 1987 ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Ad avviso di parte ricorrente il criterio adottato dalla Corte fiorentina si pone in contrasto con quello introdotto dal legislatore con la L. n. 222 del 1984, ossia quello di reintegrare l’Istituto del danno subito per essere stato costretto ad erogare una prestazione previdenziale.

Ritiene pertanto l’INPS che il proprio diritto di surrogazione vada rapportato non agli importi concretamente sborsati (e già restituiti), bensì alla capitalizzazione della prestazione erogate.

Tale tesi si fonda sulla L. n. 222 del 1984, art. 14, comma 2, e su asserite esigenze pubblicistiche. Tali esigenze, imporrebbero di trascurare un mero “dato di fatto (la premorienza) che come tale resta completamente separato dal problema giuridico”.

Il motivo deve essere rigettato.

Poichè l’I.N.P.S. si surroga ex art. 1916 c.c., nelle ragioni del danneggiato, non può essere riconosciuto a tale istituto più di quanto sarebbe stato riconosciuto al danneggiato stesso: la premorienza del B. comporta quindi che l’Istituto abbia diritto soltanto alle somme effettivamente erogate.

Poichè l’INPS ha provato di aver effettivamente erogato soltanto la somma di L. 30.218.394 per il titolo dedotto in giudizio, ne deriva che, dedotto quanto già versato ad esso dall’assicuratore della r.c. del responsabile dell’incidente, appare corretta la condanna alla minor somma di L. 13.619.394.

Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1916 c.c. e della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 28 e art. 1219 c.c., comma 2, e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Parte ricorrente critica la Corte d’Appello di Firenze per aver disatteso anche la sua istanza volta ad ottenere il rimborso della rivalutazione monetaria sulle somme richieste. Sostiene l’INPS che la relativa decisione non è condivisibile alla stregua del principio generale che disciplina la decorrenza degli accessori in materia di risarcimento di danni derivanti da fatto illecito commesso da un terzo. Infatti l’assistito che subisce l’illegittima invasione alla propria sfera giuridica è titolare di un credito di valore che va incrementato con interessi e rivalutazione ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2.

La domanda è in parte generica e il motivo è infondato Ai sensi dell’art. 1224 c.c., il risarcimento del maggior danno spetta infatti all’assicuratore ove tale danno sia configurabile. Nel caso in esame invece il maggior danno è da escludersi perchè, come ha rilevato l’impugnata sentenza, nel periodo che va dal gennaio 1994, data della richiesta, alla data della sentenza il tasso di svalutazione della moneta è stato inferiore all’importo degli interessi legali che assolvono pertanto la funzione risarcitoria del maggior danno.

In conclusione, per tutte le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare a ciascuno dei resistenti le spese del ricorso di cassazione che si liquidano in Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso forfettario di spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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