Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3356 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 05/02/2019), n.3356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22848-2018 proposto da:

M.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO FRATERNALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 09/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con decreto n. 8632/2018, ha respinto la richiesta di protezione internazionale avanzata da M.J., di nazionalità nigeriana, a seguito del provvedimento di diniego della protezione internazionale della competente Commissione Territoriale, rilevando che la vicenda personale narrata dal richiedente, anche ove ritenuta credibile, non integrava i presupposti per il riconoscimento sia dello status di rifugiato sia della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Avverso il suddetto decreto, M.J. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti del Ministero dell’interno (che resiste con controricorso).

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2, conv. in L. n. 46 del 2017, nonchè dell’art. 276 c.p.c., lamentando che era mutato l’organo giudicante, essendo stata trattata la “discussione” del procedimento, cui era presente il ricorrente personalmente, davanti ad un giudice, un GOT, non facente parte della Sezione specializzata istituita presso il Tribunale di Ancona, mentre la decisione era stata assunta da un collegio, i cui componenti erano tutti diversi dal giudice che aveva assistito alla discussione della causa.

2. La censura è infondata.

Il ricorrente pare dolersi anzitutto del fatto che vi sia stata un’udienza, nella quale egli è stato sentito personalmente, tenuta da un Giudice onorario del Tribunale, non facente parte delle Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini della UE, ai sensi del D.L. n. 13 del 2017, conv. con L. n. 46 del 2017.

Il legislatore, con l’inserimento dell’art. 3, comma 4 bis, operato in sede di conversione, ha attribuito infatti al Tribunale in composizione collegiale, per quanto qui interessa, la trattazione delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35.

Ora, in generale, questa Corte ha già chiarito (Cass. 19660/2016) che “quando un giudice onorario, appartenente all’ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari “ante causam”, espressamente esclusi dal R.D. n. 12 del 1941, art. 43 bis), in quanto la decisione assunta dal g.o.t. in violazione delle tabelle organizzative dell’ufficio non incide sulla composizione dell’ufficio giudiziario, nè alcuna norma di legge prevede una siffatta nullità, configurandosi, invece, una semplice irregolarità”. Inoltre, sempre questa Corte (Cass. 466/2016) ha precisato che “il vice pretore onorario è un giudice previsto e regolato dalle norme sull’ordinamento giudiziario che può legittimamente sostituire il magistrato ordinario in tutte le sue funzioni, e dunque anche nell’espletamento dell’attività propria del giudice istruttore, senza che da ciò discenda la nullità degli atti dallo stesso compiuti, tenuto conto che il vizio di costituzione del giudice è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, non investita della funzione esercitata, e che le circolari con le quali il C.S.M. disciplina gli incarichi affidabili ai giudici onorari, quali fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge”.

Invero, le circolari con le quali il Consiglio Superiore della Magistratura disciplina gli incarichi che possono essere affidati ai giudici onorari del Tribunale, in quanto fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge.

Pertanto, in materia di immigrazione, era stato affermato da questa Corte, che “il decreto del G.O.T. che dispone la proroga per un mese del trattenimento di uno straniero presso il locale centro di identificazione ed espulsione non violando il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 43-bis, (introdotto dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 10), che disciplina le attività delegabili ai giudici onorari, non è affetto da nullità” (Cass. 727/2013).

Peraltro, nella specie, non risultano neppure essere state violate le Circolari del CSM, in quanto il G.O.T. non ha deciso la controversia, emergendo dal ricorso e dagli atti, a seguito di verifica di questa Corte, soltanto che, davanti a lui, si sia svolta un’udienza di trattazione (e, dell’audizione personale del richiedente, il decreto impugnato nulla dice), evidentemente in quanto delegato al compimento di specifiche attività, secondo il modello del c.d. “affiancamento” del magistrato onorario al magistrato professionale: secondo tale modello organizzativo, al giudice onorario vengono indicati i compiti e le attività, anche di natura istruttoria, che gli sono delegati (sulla base di una indicazione centralizzata valida per tutta la sezione) ed il magistrato professionale vigila sul loro espletamento, mantenendo la responsabilità del procedimento.

La scelta a favore del modello di affiancamento per l’organizzazione della sezione che si occupa dei procedimenti relativi alla protezione internazionale è stata peraltro indicata anche dalla Delib. 15 giugno 2017, (è già era stata prevista nella Delib. 15 marzo 2017), del Consiglio Superiore della Magistratura, sul tema “Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione europea a seguito del D.L. 17 febbraio 2017”, nella quale si legge: “successivamente all’operatività delle sezioni specializzate, a far data dal 17 agosto, tenuto conto di quanto previsto dalla L. delega 28 aprile 2016, n. 57, art. 2, comma 5, lett. b), per quanto attiene ai procedimenti trattati collegialmente, i magistrati onorari possono essere inseriti nell’ambito di una struttura di supporto funzionale ad una pronta decisione dei procedimenti”; è possibile “prevedere che, nell’ambito della struttura dell’ufficio del processo, il giudice onorario possa coadiuvare il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata. In particolare, sotto la direzione e coordinamento del giudice professionale egli può compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale, provvedendo tra l’altro allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”; “al fine di assicurare la ragionevole durata del processo, il giudice professionale può, poi, delegare al giudice onorario inserito in tale struttura compiti e attività, anche a carattere istruttorio, ritenuta dal medesimo magistrato togato utile alla decisione dei procedimenti”.

Il ricorrente si duole, in ogni caso, anche in memoria, della violazione del disposto dell’art. 276 c.p.c., sull’immutabilità del giudice.

Anche tale profilo della censura è infondato.

Invero, per orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 4925/2015), l’art. 276 c.p.c., va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni o si è tenuta l’udienza di discussione.

Cosicchè si è ritenuto, ad es., che, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo. (Cass. 18268 del 2009), mentre si è chiarito (Cass. 21667/2013) che non sussiste, nel rito ordinario del giudizio di appello, un principio di immutabilità del collegio prima che abbia inizio la fase della discussione, anche nel caso in cui la trattazione della causa si svolga in diverse udienze, atteso che mutamenti nella composizione del collegio sono consentiti fino all’udienza di discussione, in quanto solo da questo momento opera il principio che vieta la deliberazione della sentenza da parte di un collegio diversamente composto rispetto a quello che ha assistito alla discussione (ex multis Cass. n. 26820 del 20/12/2007; n. 11295 del 15/05/2009). Nella sentenza n. 11581/2016, questa Corte ha ritenuto viziato, per violazione dell’art. 276 c.p.c., un procedimento, avente ad oggetto la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato, nel quale il giudice istruttore, all’udienza fissata ex art. 281 sexies c.p.c., si era riservato la decisione, e, a scioglimento della riserva, il Tribunale in composizione collegiale, aveva emesso l’ordinanza D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, ritenuta nulla perchè emessa da Collegio che non aveva come tale partecipato all’udienza ex art. 281 sexies c.p.c..

Nella specie, invece, il Tribunale – in composizione collegiale – davanti al quale si è svolta l’adunanza camerale, ex artt. 737 c.p.c. e ss., e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, è il medesimo che ha deliberato. Il G.O.T. aveva soltanto espletato un incombente istruttorio, rimettendo poi gli atti all’organo giudicante competente, che, all’esito di adunanza camerale, ha deciso il ricorso. Non vi è stata dunque una udienza di discussione, svoltasi davanti ad un giudice, scissa dalla fase deliberativa, svoltasi davanti ad altro giudice. Peraltro, risulta, dal verbale dell’udienza tenutasi davanti al G.O.T., che il difensore si era soltanto riportato agli atti difensivi ed il ricorrente, in questa sede, non spiega neppure quale pregiudizio al diritto di difesa sia derivato dall’asserito vizio processuale.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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