Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3355 del 12/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3355 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: CORTESI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25100/2014 R.G. proposto da
DUAL s.r.I., in persona del legale rapp.te pro tempore,
rappresentata e difesa dagli Avv.ti Maurizio DALLA COSTANZA e
Claudia CARDENÀ, elettivamente domiciliata a Roma in via degli
Scipioni n. 268/A (studio avv. Gianluca Caporossi)
– ricorrente –

contro
RIDOLFI MAURIZIANO e FINI ALMA, rappresentati e difesi dagli
Avv.ti Luigi GIGLIONI e Benito PANARITI, presso il quale ultimo
sono elettivamente domiciliati a Roma in via Celimontana n. 38
– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 438/2013,
depositata in data 20.7.2013, non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14.12.2017 dal
Consigliere dott. Francesco CORTESI;

v231-111-

Data pubblicazione: 12/02/2018

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Sergio DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi l’Avv. CARDENÀ per la ricorrente e l’Avv. P. PANARITI per la
controricorrente.

FATTI DI CAUSA

Alma Fini convennero innanzi al Tribunale di Pesaro la Dual s.r.I., e
premesso che con contratto preliminare del 20.12.1995 detta
società aveva loro promesso in vendita un appartamento in corso di
costruzione, facente parte di un più ampio complesso edificatorio “a
schiera”, e quindi concluso l’atto pubblico di compravendita in data
30.4.1997, dedussero l’esistenza di vizi e difformità rispetto al
capitolato d’appalto- che interessavano l’intonacatura della parete
di testata dell’edificio di loro pertinenza e la capacità di isolamento
acustico delle pareti di separazione con l’appartamento confinantee chiesero che la società fosse condannata al risarcimento del
danno, in misura pari ai costi di eliminazione dei vizi ed al
deprezzamento dell’immobile.
La società convenuta, costituendosi, eccepì il difetto di
legittimazione degli attori quanto al danno inerente al muro di
testata, ritenendolo riferibile all’immobile condominiale e non al
solo appartamento; eccepì inoltre la decadenza degli attori dalla
garanzia invocata e l’intervenuta prescrizione dell’azione; contestò,
infine, il merito della pretesa risarcitoria.
Con sentenza del 22.2.2005 il Tribunale accolse la domanda
per quanto di ragione, condannando Dual s.r.l. al pagamento in
favore degli attori dell’importo di € 48.478,20 oltre accessori e
spese.
2. La sentenza fu appellata da Dual s.r.I.; Mauriziano Ridolfi
ed Alma Fini si costituirono chiedendone la conferma; la Corte
d’Appello di Ancona ritenne fondato il gravame solo in punto alla
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1. Con citazione notificata il 4.4.2000, Mauriziano Ridolfi ed

misura del danno, che rideterminò in C 46.213,00, confermando
per il resto la sentenza impugnata.
Secondo i giudici d’appello, sussisteva anzitutto la
legittimazione degli appellati a domandare il risarcimento dei danni
sulle pareti esterne dell’edificio, che non andavano annoverate fra
le parti comuni per gli effetti di cui all’art. 1117 n. 1 cod. civ.; non
erano poi fondate le eccezioni preliminari sollevate da Dual s.r.I.,

maturare della decadenza dalla garanzia, e sussistendo altresì una
pluralità di atti interruttivi del termine di prescrizione; quanto a
quest’ultimo, non era viziata da ultrapetizione la statuizione del
tribunale, che nell’interpretare i fatti allegati aveva ritenuto
applicabile la disciplina dei vizi dell’opera appaltata, e perciò il
termine biennale di cui all’art. 1667 cod. civ. anziché quello
annuale di cui all’art. 1490; i vizi, infine, erano stati dimostrati
all’esito dell’istruttoria espletata in primo grado, ed in particolare
dalla consulenza tecnica esperita, indicativa anche della congrua
misura del risarcimento.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Dual s.r.l. sulla base di undici motivi, illustrati da successiva
memoria; gli intimati hanno depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente, attenendo alla medesima questione; con gli
stessi, infatti, si deducono nullità della sentenza per ultrapetizione,
violazione degli artt. 1490 e 1667 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.
nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, in relazione alla sussunzione della responsabilità invocata
sotto l’ambito della garanzia prevista per difformità o vizi dell’opera
appaltata ex art. 1667 cod. civ. anziché di quella spettante al

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avendo costei riconosciuto i vizi con atto scritto, ciò che impediva il

compratore per l’ipotesi di mancanza delle qualità promesse in
capo alla res vendita.
Sostiene in particolare la ricorrente che la sentenza d’appello
avrebbe travalicato i limiti della necessaria corrispondenza fra
chiesto e pronunciato- incorrendo altresì negli ulteriori vizi
denunciati- laddove avrebbe omesso di considerare che fin dall’atto
introduttivo, ed in modo espresso, era stata dedotta una fattispecie

preliminare e definitivo di compravendita, e senza alcun accenno
alle garanzie spettanti al committente.
I motivi sono infondati.
Costituisce

infatti

principio

consolidato

in

seno

alla

giurisprudenza di questa corte quello secondo cui il giudice del
merito, nell’indagine diretta all’individuazione della portata delle
domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad
uniformarsi al tenore letterale degli atti, ma deve, per converso,
avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere,
come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate
dalla parte istante (così ad es. Cass. 31.7.2017, n. 19002; Cass.
19.10.2015, n. 21087; Cass. 12.12.2014, n. 26159).
A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata
nell’attribuire decisività al fatto che il contratto aveva ad oggetto
un immobile in corso di edificazione, e che le doglianze degli
acquirenti si incentravano unicamente sulla non conformità di
alcune parti dell’opera al capitolato speciale d’appalto allegato al
preliminare di compravendita.
Su tale aspetto, del resto, la ricorrente non svolge significative
considerazioni, se non per la parte in cui parrebbe assumere che il
predetto documento costituisse- più che un capitolato speciale
d’appalto vero e proprio- una mera elencazione delle qualità
promesse dell’immobile; ma in questa prospettiva i motivi difettano
di specificità, poiché la ricorrente non riporta il contenuto del
predetto documento, né quello del contratto.
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di responsabilità del venditore, con allegazione dei soli contratti

2. Restano assorbiti nella statuizione che precede il quarto,
quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo, tutti concernenti la
prescrizione dell’azione di garanzia, poiché tali doglianze
presuppongono l’applicazione del termine annuale previsto dalla
disciplina del contratto di vendita, anziché quello biennale proprio
del contratto di appalto.
Ed infatti, con il quarto ed il quinto motivo, deducendo

che erroneamente la corte d’appello avrebbe attribuito valore
interruttivo della prescrizione ad una missiva, trasmessale dalle
controparti il 3.11.1999, con la quale costoro la “invitavano a
definire la vertenza”.
Trattandosi, infatti, di sollecito ad una soluzione bonaria, tale
atto non conterrebbe una richiesta di adempimento e non avrebbe,
pertanto, il ravvisato valore interruttivo della prescrizione; né tale
valore poteva ritenersi “evidentemente” sussistente, così come
ritenuto dalla sentenza impugnata; conseguentemente, poiché alla
data della notifica dell’atto introduttivo (4.4.2000) era già decorso
più di un anno dall’ultimo valido atto interruttivo, trasmessole il
18.9.1998, la prescrizione non doveva essere dichiarata.
Con il sesto ed il settimo motivo di ricorso, poi, la ricorrente
denunzia violazione degli artt. 1490, 1495, 2934 e 2943 cod. civ.,
assumendo che l’ultimo atto interruttivo recherebbe in realtà la
data del 4.11.1998, e non del 4.11.1999 come erroneamente
ritenuto, e che tale atto era in realtà indirizzato non a lei, bensì al
proprio direttore dei lavori
Con l’ottavo motivo, infine, la ricorrente denunzia nullità della
sentenza per difetto assoluto di motivazione in relazione
all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui
“tutte le lettere e comunicazioni cui ha fatto riferimento il primo
giudice devono intendersi formalmente atte ad interrompere il
decorso dei termini stabiliti dalla legge”, deducendo che la stessa

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violazione di legge e nullità della sentenza, la ricorrente lamenta

sarebbe priva di motivazione ove dovesse intendersi riferita a
documenti diversi da quelli depositati in giudizio.
2.1. Solo per completezza può altresì osservarsi che il quarto
motivo di ricorso è inammissibile, essendo volto a censurare il
contenuto di un apprezzamento esclusivamente rimesso al giudice
del merito- quale appunto la sussistenza di un valido atto
interruttivo della prescrizione, accertata verificando se, per le

implichi o meno la volontà di riconoscere la persistenza del debitoe perciò non sindacabile in questa sede (v. fra le altre Cass.
6.3.2015, n. 4605).
3. Con il nono motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza
per difetto assoluto di motivazione nella parte in cui essa si
richiama al contenuto della consulenza tecnica esperita in primo
grado per affermare che la soluzione da lei adottata per ovviare ai
problemi di insonorizzazione non sarebbe stata risolutiva
dell’inconveniente.
La censura, nei termini proposti, è inammissibile.
È noto, infatti, che in sede di ricorso per cassazione, per
infirmare- sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa- la
motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una
relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di
condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere
rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo, e
ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti, onde
consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza;
diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato
peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella
prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di
legittimità (cfr., fra le altre, Cass. 3.8.2017, n. 19427).
A tali precisi canoni di contestazione non si è attenuta la
ricorrente; consegue il rilievo di inammissibilità del motivo.

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modalità ed i termini coi quali giunge al destinatario, lo stesso

4. Con il decimo e l’undicesimo motivo, infine, la ricorrente
denunzia violazione degli artt. 1117 e 1118 cod. civ. e nullità della
sentenza; assume al riguardo che la corte d’appello avrebbe errato
nel ritenere la facciata dell’immobile estranea al novero delle parti
comuni, liquidando così agli acquirenti un importo pari all’intero
costo di rifacimento anziché una frazione dello stesso
corrispondente alla quota millesimale, e comunque omesso di

Anche tali motivi, per come formulati, sono inammissibili.
Nella parte in cui, infatti, deduce una violazione di legge, la
ricorrente contesta in realtà l’accertamento compiuto dalla corte
d’appello sul fatto che la componente danneggiata dell’edificio, per
la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinata,
deve intendersi di proprietà esclusiva dei singoli condomini
interessati; tate accertamento, tuttavia, costituisce valutazione in
fatto, sottratta al giudizio di legittimità ove adeguatamente
motivata (cfr. Cass. 7.5.2010, n. 11195).
Lo stesso dicasi con riferimento alla dedotta nullità per
mancanza di motivazione.
Ed infatti, fermo restando che il rilievo della natura non
condominiale della porzione di parete di cui trattasi appare
sufficientemente e congruamente motivato in sentenza, la censura
appare in realtà volta a far risaltare un contrasto fra detto rilievo e
le considerazioni svolte dal consulente tecnico nominato in primo
grado, così giungendo, ancora una volta, ad invocare un sindacato
non consentito in questa sede.
5. In definitiva, il ricorso è meritevole di rigetto; le spese
vanno conseguentemente poste a carico della ricorrente nella
misura liquidata in dispositivo; sussistono i presupposti di cui
all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

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motivare tale asserzione.

La Corte rigetta il ricorso e pone a carico della ricorrente le spese,
che liquida in C 3.500,00 per compensi ed C 200,00 per esborsi,
oltre spese generali nella misura del 15°/0 sui compensi ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II Sezione Civile
della Corte di Cassazione in data 14.12.2017.

Il Co sigliere Est nsore

Il Presidente

DEPOSITATO IN cANCELLERIA

Roma,

12 FEB. 2018

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della

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