Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33541 del 28/12/2018

Cassazione civile sez. II, 28/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 28/12/2018), n.33541

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18327-2014 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GERMANO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONCETTA TROVATO;

– ricorrente –

contro

L.G., L.B., G.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA RENATO FUCINI 238, presso lo studio

dell’avvocato FABIO CUTULI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ADRIANA ZUCCONI GALLI FONSECA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1388/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Su ricorso dell’avv. M. il Presidente del Tribunale di Bologna emetteva, in data 15.1989 e 6.4.1989, nei confronti degli eredi di L.F. due decreti ingiuntivi, rispettivamente per Lire 15.054.860 e per Lire 9.011.485, oltre accessori, per prestazioni professionali eseguite in favore del de cuius.

Avverso detti decreti gli eredi del L. proponevano opposizione e davano atto di aver proposto, con separato giudizio, azione di accertamento negativo delle pretese vantate dal M..

Riunite le cause, il Tribunale di Bologna accoglieva l’opposizione degli eredi limitatamente ad una vertenza (relativa alla vendita dell’azienda alla ditta Officine F.L.) e condannava gli eredi del L. al pagamento della minor somma di Lire 15.384.245, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali. Il Tribunale compensava altresì le spese del giudizio.

La Corte d’Appello di Bologna, in accoglimento dell’appello del M., rigettava l’opposizione ai decreti ingiuntivi, riconoscendo l’intero credito vantato dal M..

La Corte di cassazione, con la sentenza n.11821/2007 accoglieva il quarto motivo di ricorso proposto dagli eredi L. e per l’effetto riteneva non dovuta la rivalutazione monetaria ex art. 1224 c.c.; in relazione alla decorrenza degli interessi, affermava che gli stessi erano dovuti dalla pronuncia giudiziale di accertamento del credito. Cassava pertanto la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigettava la domanda del M. di rivalutazione monetaria.

L.G., L.B. e G.V. agivano quindi, ai sensi dell’art. 389 c.p.c., chiedendo la condanna del M. alla restituzione della maggiore somma percepita in esecuzione delle sentenze di primo e secondo grado, determinata in 28.080,15 Euro.

Il M. resisteva, contestando decorrenza degli interessi ed ammontare delle somme richieste in restituzione, ed all’udienza di precisazione delle conclusioni, del 24 novembre 2009 versava a controparte l’importo di 14.133,33 Euro.

La Corte d’Appello di Bologna condannava l’avv. M. alla restituzione in favore degli eredi L. di 20.552,55 Euro, già detratto l’acconto versato dal M., oltre ad interessi legali dalla pronuncia al saldo.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il M. con sette motivi.

G. e L.B. e G.V. resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, con un motivo.

In prossimità dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Conviene premettere che il presente giudizio costituisce autonomo giudizio di restituzione ai sensi dell’art. 389 c.p.c., all’esito della sentenza della Corte di cassazione n. 11821/2007, che, accogliendo il quarto motivo di ricorso e decidendo la causa nel merito, ha affermato che non era dovuta la rivalutazione monetaria sulle somme riconosciute al professionista e che gli interessi dovevano farsi decorrere dalla pronuncia giudiziale di accertamento del credito.

Tali statuizioni sono dunque definitive ed il presente giudizio concerne unicamente i provvedimenti restitutori fondati su dette statuizioni.

Deve pertanto disporsi ai sensi del’art. 384 c.p.c. la correzione della sentenza della corte d’Appello di Bologna che ha erroneamente qualificato il giudizio svoltosi innanzi ad essa come “giudizio di rinvio”. Ciò posto, il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la sentenza impugnata per aver fatto decorrere gli interessi legali sul credito relativo delle prestazioni professionali del ricorrente dalla pronuncia giudiziale invece che dalla domanda, con conseguente errata determinazione dell’importo da restituire.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla medesima questione della decorrenza degli interessi, lamentando che su di essa la Corte territoriale non avrebbe preso posizione, a fronte delle contrapposte opzioni prospettate dalle parti.

I motivi, che, in quanto strettamente connessi, vanno unitariamente esaminati, sono infondati.

La corte di legittimità con la sentenza n.11821/2007 ha escluso l’applicabilità sul compenso del professionista della rivalutazione monetaria e, quanto agli interessi legali, ha affermato che “la decorrenza degli interessi coincideva con quella della pronuncia stessa, poichè solo in tale momento il termine per il loro pagamento può considerarsi scaduto e gli interessi medesimi possono considerarsi esigibili”.

A tale pronuncia della corte di legittimità ha dato attuazione la sentenza impugnata, individuando quale data di decorrenza degli interessi legali sul compenso riconosciuto al professionista la data della pronuncia di primo e secondo grado, in relazione agli importi rispettivamente riconosciuti.

In relazione alla decorrenza degli interessi, dunque, la Corte territoriale ha applicato la statuizione della sentenza della Corte di cassazione n. 11821/2007 che, decidendo la causa nel merito, ha definito il giudizio presupposto.

Tale modus operandi della Corte territoriale è conforme a diritto.

Il giudizio ex art. 389 c.p.c. non può in alcun modo incidere sul rapporto sostanziale definito con la pronuncia della corte di cassazione da cui esso trae origine; e ciò sia che il suddetto rapporto sia ancora sub judice, per effetto della cassazione con rinvio, sia che lo stesso sia stato definito dalla corte di legittimità con decisione della causa nel merito.

Nel caso di specie la corte d’appello non ha potuto che applicare il decisum della sentenza della Corte di cassazione, apparendo in questa sede inammissibile la questione di merito circa la violazione dell’art. 1224, comma 1 in ordine alla decorrenza degli interessi ed il richiamo dei relativi orientamenti di questa Corte, il cui esame è precluso dal giudicato sostanziale formatosi con la citata pronuncia n. 11821/2007.

E’ al riguardo irrilevante il passo contenuto nell’ordinanza di correzione di errore materiale n. 29705/2008, citata dal ricorrente, in cui, richiamando il contenuto della sentenza n.11821/2007 in relazione alla decorrenza degli interessi, esso è stato riportato in modo errato.

Come già evidenziato, infatti, la sentenza n. 11821/2007 afferma in modo non equivoco che gli interessi relativi alle prestazioni professionali del M. devono farsi decorrere dalla pronuncia e non dalla domanda.

Premesso che la contraria affermazione dell’ordinanza di correzione ha natura incidentale ed è estranea all’ oggetto del procedimento (sostituzione dell’espressione “senza rinvio” nella motivazione della sentenza e del cognome di una delle parti nel dispositivo), in ogni caso l’ordinanza di correzione di errore materiale non può modificare il contenuto sostanziale del provvedimento che ne costituisce l’oggetto.

La regolazione del rapporto sostanziale, come già rilevato, deriva dalla sentenza n. 11821/2007 che ha definito il giudizio presupposto, onde la Corte territoriale non ha tenuto conto della affermazione, di carattere incidentale, contenuta nell’ordinanza di correzione.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla questione della restituzione delle spese liquidate nei due decreti ingiuntivi opposti.

Pure tale motivo è infondato.

La Corte territoriale, anche in questo caso si è limitata ad applicare la sentenza n. 11821/2007 che, decidendo la causa nel merito, aveva accolto parzialmente l’opposizione, in relazione a rivalutazione monetaria e decorrenza degli interessi ed aveva regolato le spese disponendo la compensazione delle spese del giudizio di appello (oltre che di quello di legittimità).

Le spese del giudizio di primo grado non erano state toccate e restavano quindi compensate come disposto dal Tribunale che aveva in parte accolto l’opposizione.

Da ciò discende la implicita revoca dei decreti opposti e delle relative statuizioni.

Il procedimento, che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione, non costituisce infatti un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione. Di conseguenza, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sè, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite (Cass. 2217/2007). La fase monitoria e quella di opposizione, infatti, fanno parte di un unico processo, nel quale l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento (19126/2004).

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 389 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo l’errata applicazione dei principi in materia di onere probatorio.

Il motivo è inammissibile.

La violazione dell’art. 2697 c.c., posta a fondamento del motivo in esame, infatti, è configurabile se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre esula da tale ambito la violazione del paradigma degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove (Cass. Ss.Uu. 16598/2016) e la deduzione di un’errata determinazione da parte del giudice di merito dell’importo da restituire.

Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice liquidato un importo maggiore di quello richiesto dagli odierni resistenti.

Pure tale motivo è infondato.

La maggior somma liquidata si riferisce infatti all’ammontare degli interessi sull’importo da restituire, interessi che erano stati specificamente richiesti nell’atto introduttivo del giudizio ex art. 389 c.p.c.. Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della normativa iva e dell’art. 2697 c.c. per avere la corte d’appello disposto la restituzione anche dell’importo corrisposto a titolo di Iva sulle somme portate nelle fatture intestate alla società Officine Meccaniche F.L., non essendovi prova in atti che la società avesse recuperato l’iva versata, tenuto anche conto dell’avvenuta cessazione dell’attività.

La censura è fondata.

A fronte dell’ordinaria detraibilità, in forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, dell’iva pagata da parte della società commerciale Officine Meccaniche, costituiva onere di parte resistente provare il mancato recupero dell’imposta, risultando irrilevante la cessazione dell’attività avvenuta a distanza di diversi anni dal pagamento effettuato.

Il settimo motivo del ricorso principale e l’unico motivo di quello incidentale denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione alla disposta compensazione delle spese del giudizio.

Entrambi i motivi risultano peraltro assorbiti dalla cassazione della sentenza impugnata in relazione all’unico motivo del ricorso principale accolto.

In conclusione, va accolto il sesto motivo del ricorso principale, respinti i primi cinque ed assorbito il settimo, nonchè l’unico motivo del ricorso incidentale e la sentenza impugnata va cassata in relazione all’unico motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il sesto motivo del ricorso principale, respinti i primi cinque motivi; assorbito il settimo motivo del ricorso principale e l’unico motivo di quello incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2018

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