Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33528 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5951-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ITAL TBS TELEMATIC & BIOMEDICAL SERVICES SPA, elettivamente

domiciliata in ROMA V. TEULADA 52, presso lo studio dell’avvocato

ANGELO SCARPA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PIERO GERIN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2013 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 21/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere Dott. TADDEI MARGHERITA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’agenzia delle Entrate ricorre sulla base di due motivi per la cassazione della sentenza n. 2.01.2013 della CTR Friuli-Venezia Giulia del 20.11.2012 che, pronunciando in riassunzione a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, ha accolto, limitatamente alla non debenza delle sanzioni, l’appello della ITAL TBS Telematic & Biomedical Services S.p.A. concernente l’indebito utilizzo del recupero di credito d’imposta per mancato invio nel termine decadenziale della comunicazione di cui alla L. n. 269 del 2002, art. 62, comma 1, lett. a).

In particolare la CTR ha rilevato che il legislatore, nel fissare il termine decadenziale al 28.02.2013, quindi superiore ai sessanta giorni previsti dalla L. n. 212 del 2000, art. 60, intervenendo su situazioni giuridiche già consolidate senza prevedere provvedimenti che mitigassero l’effetto delle modifiche introdotte, aveva in qualche modo influito sulla determinazione del contribuente, che, forte di una situazione di fatto già acquisita, aveva fatto affidamento incolpevole sulla ragionevolezza della norma.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. a), e del Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate 24 gennaio 2003, dell’art. 5 c.p., del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34, nonchè degli artt. 112 e 384 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare la ricorrente rileva che la Corte di Cassazione ha confermato il rango “ordinario” delle norme della Statuto del contribuente, ritenendole equi ordinate a quelle della L. n. 289 del 2002. Alla stregua del principio di diritto dettato dalla Cassazione, il carattere decadenziale dell’art. 62 cit. configura un limite al godimento del beneficio, ponendo a carico del contribuente dei precisi obblighi comportamentali di comunicazione a pena di decadenza. Nessuna incertezza può essere, pertanto, riconnessa alla norma.

Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. a), e del Provv. Direttore dell’Agenzia delle Entrate 24 gennaio 2003, dell’art. 5 c.p., del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 34, nonchè degli artt. 112 e 384 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4). La CTR avrebbe dovuto attenersi al principio di diritto fissato dalla Corte di legittimità secondo il quale andava confermata la natura decadenziale dell’art. 62 e la sua efficacia retroattiva.

La contribuente si è costituita con controricorso.

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la stretta connessione delle questioni giuridiche richiamate, devono essere accolti.

Come già chiarito nella decisione n. 13076 del 2015, “…. Questa Corte (cfr. ex multis, Corte Cass. 28.11.2007 n. 24670; id. 21 marzo 2008, n. 7765; id. 11.9.2009 n. 19638) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di applicazione delle norme richiamate enunciando i seguenti principi di diritto: per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione; l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione (cfr. Cass. Ord. n. 4394 del 24 febbraio 2014, Cass. Sent. n. 3113 del 12 febbraio 2014)….. “.

Nella fattispecie la normativa applicabile fornisce elementi adeguati e sufficientemente chiari per la determinazione dei casi di non utilizzabilità del credito di imposta, non rilevando l’incertezza che deriva da condizioni soggettive del contribuente, ma solo quello che ha rilevanza oggettiva, dovendosi escludere l’errore dovuto ad interpretazione errata della normativa o la diversa interpretazione dei fatti di causa.

Alla stregua del principio su menzionato i motivi vanno accolti e, decidendo nel merito, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il ricorso introduttivo deve essere rigettato. Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; le spese del giudizio di merito si compensano tra le parti per il consolidarsi del principio giurisprudenziale sul punto controverso dopo la proposizione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario. Compensa le spese relative ai giudizi di merito e condanna la contribuente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che liquida in Euro 5.600,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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