Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3352 del 10/02/2021

Cassazione civile sez. I, 10/02/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 10/02/2021), n.3352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12435-2019 proposto da:

K.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo

studio dell’Avvocato PASQUALE PORFIRIO, rappresentato e difeso

dall’Avvocato CHIARA COSTAGLIOLA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente-

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO n. 660/2019,

depositato in data 4.4.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17.12.2020 dal Consigliere Dott.ssa DELL’ORFANO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

K.P.M. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Campobasso aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie della protezione sussidiaria ed umanitaria;

il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, lamentando che, nell’escludere la sussistenza di motivi di carattere personale tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, il Tribunale non avrebbe tenuto conto della grave minaccia derivante dalle condizioni del sistema carcerario e giudiziario della S.L. e del pericolo, per il richiedente, di essere imprigionato e subire trattamenti inumani e degradanti;

1.2. dall’esame del decreto impugnato emerge che il Tribunale ha considerato sia la condizione personale di quest’ultimo, sia la situazione interna della S.L., dal quale egli proviene;

1.3. i Giudici di merito, in particolare, hanno ritenuto che la storia, narrata dal medesimo circa le minacce di morte ricevute da una setta religiosa, fosse lacunosa e incongruente, valorizzando i singoli aspetti del racconto generici e contraddittori (cfr. pag. 2 decreto), ed hanno inoltre dato atto che, dalle informazioni attinte tramite il più recente rapporto di Amnesty International (2017-2018), la situazione interna della S.L. non evidenziava livelli di violenza indiscriminata idonei a giustificare la concessione della tutela sussidiaria invocata dal richiedente, escludendo quindi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

1.4. il giudizio circa la credibilità del richiedente risulta, dunque, correttamente improntato ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e non è stato peraltro aggredito da alcuna censura da parte del ricorrente, il quale non è neppure stato in grado d’indicare circostanze di fatto trascurate dal decreto impugnato nè lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento dallo stesso seguito, limitandosi a ribadire della minaccia derivante dalla situazione di instabilità del sistema giudiziario in S.L., senza neppure considerare che dal racconto dello stesso ricorrente non emerge in ogni caso alcuna specifica minaccia in tal senso nei suoi confronti per incriminazioni o denunce ricevute nel Paese d’origine;

1.5. con specifico riguardo, dunque, alla richiesta di protezione umanitaria, come già ribadito da questa Corte (cfr. in particolare Cass. n. 9304/2019), la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere ancorata a una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

1.6. nel caso in esame, il Tribunale, come si è detto, ha escluso la sussistenza di fattori di vulnerabilità collegati alla situazione del ricorrente, con apprezzamento non adeguatamente aggredito;

2. vanno infine disattesi anche il secondo motivo ed il terzo motivo con cui il ricorrente censura, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 del medesimo decreto, con prospettazione di questioni di legittimità costituzionale relativamente alla disciplina della revoca del decreto, atteso che, in base al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028 e 11 dicembre 2018, n. 32028) indipendentemente dalla circostanza che sia pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta in ogni caso assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, e cioè l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, sicchè risultano irrilevanti le prospettate questioni di legittimità costituzionale;

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

4. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021

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