Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33519 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 30/11/2018, dep. 27/12/2018), n.33519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10703/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– ricorrente –

contro

S.I.T.A.T. Srl, rappresentata e difesa dall’avv. Gualtiero Cannavò,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Messina, via

Camiciotti n. 13.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione n. 26, n. 21/26/11, pronunciata il 26/01/2010,

depositata il 7/04/2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 novembre

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La controversia riguarda l’opposizione, da parte della SITAT Srl, avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di due processi verbali di constatazione (del 1998 e del 2000) della Guardia di Finanza, contestava alla società, ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, per l’annualità 1998, costi non deducibili e non detraibili derivanti dalla contabilizzazione di fatture (per un importo complessivo di lire 2.643.670.000), emesse dalla Saratoga Srl per operazioni inesistenti, ossia per lavori di costruzioni edili apparentemente eseguiti, a titolo d’appalto, per conto della contribuente;

2. la Commissione tributaria provinciale di Messina, con sentenza n. 72/08/2007, accolse il ricorso della contribuente; tale pronuncia è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia (in seguito: CTR), con la decisione in epigrafe;

in particolare, il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento sul contenuto, testualmente, della “sentenza di archiviazione del GIP”, che aveva prosciolto il legale rappresentante della Saratoga Srl dall’accusa di false fatturazioni, valorizzando una perizia contabile d’ufficio, acquisita nel giudizio tributario, che, a parere della CTR, aveva offerto una ricostruzione analitica della contabilità della società verificata ed aveva consentito di ritenere dimostrato che i lavori in contestazione erano stati eseguiti e registrati regolarmente, senza che l’Ufficio avesse poi fornito elementi probatori di segno contrario;

3. per la cassazione ricorre l’Agenzia delle entrate, sulla base di quattro motivi; la società resiste con controricorso, illustrato da una memoria ex art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 408,414 e 654 c.p.p., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la CTR per avere recepito le risultanze del procedimento penale, per false fatturazioni, nei confronti dell’amministratore della Saratoga Srl, conclusosi con un decreto d’archiviazione, muovendo dall’erroneo assunto che il decreto d’archiviazione (ex art. 408 c.p.p.), abbia efficacia di giudicato nel processo tributario, laddove, invece, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. (menzionato dalla sentenza gravata), una simile efficacia è riconosciuta alla sentenza di assoluzione;

1.1. il motivo è inammissibile;

va premesso che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 408 c.p.p. non rientra tra i provvedimento dotati di autorità di cosa giudicata nel processo tributario, giusta disposto dell’art. 654 c.p.p., e della L. n. 516 del 1982, art. 12, (Cass. 8/03/2001, n. 3423; in senso conforme: Cass. 18/04/2014, n. 8999; 9/04/2018, n. 8614);

fatta questa precisazione, tuttavia, la censura dell’Ufficio non è pertinente rispetto alla decisione impugnata che, nonostante l’erroneo richiamo all’art. 654 c.p.p., che disciplina l’efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi, non ha sostenuto d’essere vincolata dal tenore del detto decreto d’archiviazione; al contrario, il giudice di merito, senza incorrere nel prospettato errore di diritto, ha liberamente apprezzato il materiale probatorio su cui si fondava il decreto d’archiviazione e ha, quindi, maturato il convincimento che i lavori fatturati dalla Saratoga Srl fossero stati eseguiti e contabilizzati regolarmente;

2. con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si critica la CTR per avere attribuito rilevanza decisiva alla circostanza, accertata nel detto giudizio penale, tramite la menzionata perizia contabile, che le fatture in contestazione erano relative ad opere effettivamente eseguite, omettendo, però, di motivare sul fatto, controverso e decisivo, rappresentato da ciò, che, ai fini dell’IVA e delle imposte dirette, sono indebite, rispettivamente, la detrazione d’imposta (quanto all’IVA) e la deduzione di costi (quanto alle imposte dirette), per operazioni soggettivamente inesistenti, perchè effettuate da soggetto diverso da colui che ha emesso la fattura;

3. con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si fa valere la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, dell’art. 2697 c.c., e si imputa alla CTR (che ha condiviso il convincimento del giudice di primo grado) di avere affermato l’illegittimità dell’atto impositivo in mancanza della prova, da parte dell’Ufficio, della pretesa tributaria, con ciò disattendendo il fermo indirizzo della giurisprudenza di legittimità, per il quale, se l’Amministrazione finanziaria contesta al contribuente l’indebita detrazione di fatture per operazioni inesistenti, quest’ultimo è tenuto a fornire la propria contraria;

4. con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, infine, si deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 75 T.U.I.R., e dell’art. 2697 c.c., in quanto anche per la deducibilità dei costi, funzionale alla determinazione del reddito d’impresa tassabile, incombeva sulla contribuente l’onere (nella specie non assolto) di dimostrarne la “certezza”, l’inerenza” e l’esatto ammontare, documentando che i lavori fatturati erano stati effettivamente eseguiti dalla Saratoga Srl;

4.1. questi tre motivi, da esaminare congiuntamente perchè commessi, sono fondati;

per un verso, con riferimento alla detrazione dell’IVA, è radicato l’orientamento della Corte per il quale: “In ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sè, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poichè l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata” (Cass. 13/03/2013, n. 6229; in senso conforme: 18/06/2014, n. 13803; 9/09/2016, n. 17818; 14/09/2016, n. 18118; 15/05/2018, n. 11873; 21/06/2018, n. 16469; 24/08/2018, n. 21104; 30/10/2018, n. 27566);

per altro verso, con riferimento alla deduzione, ai fini delle imposte dirette, dei costi di cui alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, secondo il fermo indirizzo della Corte: “In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. (Nella specie la S.C. ha stabilito che, in relazione ai costi sostenuti per l’acquisto di molluschi, utilizzati non per commettere reati, bensì per essere commercializzati, doveva accertarsi in sede di merito se fossero stati effettivi e correttamente imputati al conto economico dell’esercizio di competenza, ai fini della loro deducibilità, a prescindere dall’eventuale falsità ideologica delle relative fatture)” (Cass. 17/12/2014, n. 26461);

nel caso di specie, la CTR, nel disconoscere la legittimità della ripresa a tassazione, ai fini dell’IVA e delle imposte dirette, per il solo fatto che: “i lavori erano stati effettivamente eseguiti e contabilizzati regolarmente” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), non si è attenuta ai principi appena richiamati e, perciò, è incorsa nell’errore di diritto e nel connesso vizio di motivazione prospettati dall’Agenzia delle entrate;

infatti, posto che l’Ufficio aveva dedotto (senza essere smentito) che i lavori fatturati non erano stati eseguiti dalla Saratoga Srl, che era priva di adeguati mezzi e maestranze, incombeva sulla contribuente l’onere di dimostrare la propria buona fede, ai fini della detraibilità dell’IVA versata, nonchè l’effettività, l’inerenza, la certezza, la competenza, determinatezza o la determinabilità dei costi, ai fini della loro deducibilità;

5. alla stregua di queste considerazioni, accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo e dichiarato inammissibile il primo motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui è demandato anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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