Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33517 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 30/11/2018, dep. 27/12/2018), n.33517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25356/12 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con eletto in Roma, via

dei Portoghesi, n. 12;tempore, domicilio

– ricorrente –

contro

D.A., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Genovese,

giusta procura in calce al controricorso con ricorso incidentale,

con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandra Neri, in

Roma, via Fracassini, n. 4;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia n. 31/07/12 depositata in data 12 aprile 2012

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.11.2018

dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello

Fatto

RILEVATO

che:

D.A. proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa per il recupero di Irpef per gli anni 2001, 2002 e 2003, nonchè un secondo ricorso avverso le cartelle di pagamento n. (OMISSIS) e (OMISSIS), concernenti, la prima, il recupero Irpef per gli anni 2004 e 2005 e, la seconda, il recupero I.V.A. per l’anno 2006.

Le cartelle emesse ai fini del recupero di Irpef traevano origine da cinque avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della contribuente quale socia della società Michel Pub s.n.c, di cui deteneva una quota di partecipazione pari al 99%, mentre la cartella relativa all’I.V.A. derivava da due distinti avvisi di accertamento notificati alla contribuente nella predetta qualità.

Con i due ricorsi la contribuente eccepiva la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21, e la nullità della cartella per violazione dell’art. 21 septies della stessa legge e depositava sentenza della C.T.P. di Udine n. 92/5/2009 che aveva annullato gli avvisi di accertamenti emessi nei confronti della società.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva i ricorsi riuniti con sentenza avverso la quale proponeva appello l’Agenzia delle Entrate.

I giudici di secondo grado, rilevato preliminarmente che la sentenza n. 92/5/2009 era stata confermata in appello con sentenza n. 124/01/2011, con conseguente accertamento della nullità degli avvisi di accertamento emessi a carico della società per gli anni dal 2002 al 2005, rigettava l’appello, annullando le cartelle relative agli anni d’imposta dal 2002 al 2005.

Relativamente, invece, alla cartella di pagamento riguardante l’I.V.A. per l’anno 2006, accoglieva l’appello dell’Ufficio, ritenendo infondate le doglianze ribadite dalla contribuente e osservando che, in difetto di impugnazione, gli avvisi di accertamento relativi al 2006 erano divenuti definitivi.

Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con due motivi.

La contribuente resiste mediante deposito di controricorso e propone ricorso incidentale, con un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la Agenzia delle Entrate deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Nell’evidenziare che è incontestato che l’accertamento a carico della contribuente trae origine dall’accertamento effettuato a carico della società, sottolinea che la contribuente non ha impugnato gli avvisi di accertamento del maggior reddito di partecipazione alla stessa notificati, con la conseguenza che la pretesa tributaria è divenuta definitiva.

Lamenta che, pur avendo sottoposto tale questione all’attenzione della Commissione regionale con l’atto di appello, i giudici di secondo grado hanno omesso di esaminarla, ritenendo che l’annullamento dell’accertamento a carico della società, disposto cn la sentenza n. 124/1/2011, travolgesse anche l’accertamento a carico della contribuente.

2. La censura è infondata, in quanto la Commissione regionale, motivando che l’annullamento degli atti impositivi notificati alla società impone di escludere la debenza delle imposte richieste ai soci, ha implicitamente ritenuto infondato il motivo di gravame formulato dall’Ufficio, sicchè non è ravvisabile la omessa pronuncia sul motivo d’appello.

2.1. Va, al riguardo, ribadito che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 29191 del 6/12/2017).

3. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa erariale denuncia “falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in particolare del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5”, ribadendo che la sentenza impugnata è errata in quanto la contribuente non ha impugnato gli avvisi di accertamento del maggior reddito di partecipazione che le sono stati notificati, con conseguente definitività della pretesa fatta valere dal Fisco.

4. Il motivo è fondato.

5. Essendo pacifico tra le parti che la contribuente, socia della Michel Pub di D.A.e.C. s.n.c., non ha impugnato gli avvisi di accertamento di maggior reddito di partecipazione emessi ai fini Irpef, non può che ritenersi la definitività ed intangibilità di detti atti impositivi, non essendo consentito al socio, in sede di impugnazione della cartella di pagamento – che è un atto puramente esecutivo ed avente funzione liquidatoria dell’imposta dovuta – invocare vicende a cui è rimasto soggetto l’avviso riferibile alla società, nella specie l’intervenuto annullamento degli avvisi di accertamento notificati alla società (Cass. n. 21762 del 26/10/2015; n. 9419 del 30/4/2014).

La C.T.R., nella gravata sentenza, ha fatto erronea applicazione di detti principi e la pronuncia va, pertanto, cassata.

6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la contribuente, censura il capo della sentenza con il quale la C.T.R. ha confermato la cartella di pagamento con la quale è stato richiesto il pagamento di maggiore I.V.A. per l’anno 2006, denunciando violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, ed erronea e contraddittoria motivazione.

Sostiene che il D.Lgs. n. 216 del 1997, art. 6, comma 3, prevede la sospensione del termine per impugnare quando il contribuente abbia presentato un’istanza di accertamento con adesione e che, nel caso di specie, gli avvisi di accertamento le sono stati notificati quando era già in corso il contraddittorio tra la società e l’Ufficio, tanto che nel verbale del 9/2/2009, riguardante gli accertamenti nei confronti della società, viene espressamente menzionata la controversia relativa ai redditi di partecipazione del socio; lamenta, pertanto, che l’Ufficio ha emesso il ruolo in data 11/2/2009, ossia quando erano ancora pendenti i termini per proporre ricorso avverso gli avvisi di accertamento e quando l’esame della posizione del socio era ancora in corso.

7. La doglianza è infondata sotto entrambi i profili denunciati.

7.1. Va, in primo luogo, esclusa la dedotta violazione di legge, considerato che il richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 6,comma 5, è del tutto inconferente, riguardando tale disposizione la diversa fattispecie in cui sussistano incertezze nella liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione e non essendo tale disposizione, per il suo carattere eccezionale, suscettibile di applicazione analogica.

7.2. Neppure è ravvisabile vizio di motivazione, atteso che la C.T.R. ha esaustivamente spiegato che nel caso in esame non è invocabile la sospensione del termine per impugnare, prevista dal D.Lgs. n. 216 del 1997, art. 6, comma 3, in quanto manca una istanza di accertamento per adesione e non può attribuirsi alcun valore a quanto emerge dai verbali di contraddittorio.

8. In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale ed accolto il secondo motivo e va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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