Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33515 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 17/12/2019), n.33515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8649/2014 R.G. proposto da:

Trendintex Srl, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Marco Turci e

Alessandro Fruscione, con domicilio eletto presso quest’ultimo in

Roma via Giambattista Vico n. 22, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 2/1/13, depositata l’8 febbraio 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2019

dal Consigliere Fuochi Tinarelli Giuseppe.

Fatto

RILEVATO

CHE:

A seguito di verifica fiscale nei confronti della Franco Vago Spa, titolare di un deposito Iva D.L. n. 331 del 1993 ex art. 50 bis, emergeva che la Trendintex Srl aveva omesso il versamento dell’Iva all’importazione – in relazione alle merci importate con le dichiarazioni doganali IM/4S n. (OMISSIS) del 4/1/2006, n. (OMISSIS) del 2/3/2006, n. (OMISSIS) del 9/8/2006 e n. (OMISSIS) del 20/9/2006 attesa l’immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, così avvalendosi indebitamente del trattamento agevolativo della sospensione del pagamento dell’Iva ivi prevista, ragion per cui l’Agenzia delle dogane notificava avvisi di rettifica per l’imposta non versata, avverso i quali la società proponeva ricorso.

L’impugnazione era respinta dalla CTP di La Spezia, decisione poi confermata dal giudice d’appello.

Trendintex Srl propone ricorso per cassazione con tre motivi, chiedendo altresì rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, conv. nella L. n. 427 del 1993, del D.M. n. 319 del 1997, artt. 2,3 e 4, del D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis, conv. nella L. n. 2 del 2009, dell’art. 16 direttiva 1977/388/CEE e dell’art. 157 direttiva 2006/112/CE, deducendo l’inesistenza di un obbligo di introduzione fisica nel deposito.

1.1. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 10 direttiva 77/388/CEE, 2 direttiva 2006/112/CE, 2 Reg. n. 1553/1989/CEE, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 17, 19, 23, 60, 67, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, per l’illegittima duplicazione d’imposta, già assolta in reverse charge.

1.2. Il terzo motivo denuncia omessa pronuncia sulla dedotta violazione delle norme sul giusto procedimento.

1.3. La contribuente chiede, infine, rinvio pregiudiziale avuto riguardo alla disciplina del deposito doganale e al relativo regime Iva.

2. Nella sostanza la contribuente, con le sopra esposte censure, lamenta, principalmente, la mancanza di un obbligo di introduzione fisica delle merci nel deposito fiscale, nonchè l’idoneità e l’efficacia dell’autofatturazione e del meccanismo dell’inversione contabile per il soddisfacimento dell’obbligazione doganale.

3. Il primo ed il secondo motivo, che possono essere esaminati unitariamente per connessione logica, sono fondati nei termini che seguono, restando assorbito il terzo.

3.1. Va preliminarmente rilevato che in tema di depositi fiscali ai fini Iva, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, l’esenzione dall’Iva all’importazione per l’ammissione in libera pratica di beni non comunitari presuppone l’effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica del termine e richiesta dalla corrispondente disciplina comunitaria (artt. 98-110 CDC, applicabile ratione temporis), con la conseguenza che, in mancanza di tale presupposto, l’Iva all’importazione è dovuta, in via solidale, da tutti i soggetti che abbiano concorso all’irregolare introduzione della merce.

Siffatta conclusione non è incisa dall’invocato D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, conv. dalla L. n. 2 del 2009, secondo cui “il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50-bis, comma 4, lett. h), convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositarlo, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito i.v.a.”, in quanto tale norma si riferisce al solo art. 50-bis, comma 4, lett. h), ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito Iva, e non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva, oggetto della lettera b) del medesimo comma.

E del resto la giurisprudenza unionale ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento effettivo della merce nel deposito Iva, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell’esenzione del pagamento dell’Iva ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE (vedi, Corte Giustizia, 17 luglio 2014, Equoland; Corte Giustizia, 18 dicembre 2008, Sopropè).

3.2. Diversa è, invece, la conclusione quanto alle modalità di assolvimento dell’Iva.

Secondo la ripetuta ed unanime giurisprudenza della Corte, sulla scorta della giurisprudenza unionale, in caso di deposito fiscale cd. “virtuale”, in assenza di frodi, qui non in discussione, l’Amministrazione non può pretendere l’Iva all’importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il “fisico” deposito in un semplice adempimento “formale” che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo ove il contribuente “abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’auto fatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite” (a partire Corte di Giustizia sentenza 17 luglio 2014 in C-272/13, Equoland, v., tra le tante, Cass. n. 15988 del 29/07/2015; Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 17815 del 08/09/2015; Cass. n. 10911 del 26/05/2016; Cass. n. 12231 del 17/05/2017; Cass. n. 18931 del 17/07/2018; Cass. n. 3101 del 01/02/2019; Cass. 14977 del 31/05/2019).

In tale evenienza (peraltro estranea al presente giudizio), infatti, come pure sottolineato dalla Corte di Giustizia, la violazione, di natura formale, può essere punita con una specifica sanzione in relazione allo scarto temporale tra dichiarazione e autofatturazione ma non anche rimettere in discussione il diritto di detrazione.

4. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va accolto l’originario ricorso della contribuente.

Le spese vanno integralmente compensate attesa l’intervenuta decisione, nelle more del giudizio, della Corte di Giustizia, risolutiva delle questioni in diritto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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