Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33513 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 29/11/2018, dep. 27/12/2018), n.33513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24987/12 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i

cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

COALGEL DI F.F., C. & L. S.N.C., in

persona del legale rappresentante, F.F.,

F.L., L.L., C.G., CH.MI.,

F.A., L.P., F.L., tutti rappresentati e

difesi, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.

Paolo Sperduti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma

via Cola di Rienzo, n. 149;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale

dell’Abruzzo n. 779/10/11 depositata in data 1 agosto 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.11.2018

dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale la società Coalgel s.n.c. di F.F., C. & L., ed i soci F.F., F.L., L.L., C.G., CH.Mi., F.A., L.P. e F.L. impugnavano gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate, in relazione all’anno d’imposta 2004, aveva recuperato a tassazione costi non inerenti e costi non documentati.

Nel corso della verifica era stato, in particolare, accertato che la società aveva distribuito ai soci somme di denaro e per coprire la successiva indisponibilità di fondi aveva fatto ricorso al credito bancario, per cui l’Ufficio aveva ritenuto che gli interessi passivi corrisposti alla banca e portati in deduzione dalla società non fossero detraibili perchè non inerenti all’attività d’impresa.

La Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, limitatamente all’anno 2004, accoglieva parzialmente il ricorso, affermando che la deducibilità degli interessi passivi non implicava alcun giudizio di inerenza.

Interposto appello dall’Agenzia delle Entrate ed appello incidentale dalla società e dai soci, la Commissione tributaria regionale li rigettava, ritenendo ammissibile la deducibilità degli interessi passivi scaturenti da debiti contratti con la Banca, senza che fosse necessario alcun giudizio di inerenza, e, quanto ai costi per penalità e multe, che la nozione di inerenza si riferiva “a costi riconducibili alla attività d’impresa in quanto tale e non agli effetti negativi derivanti dalla inosservanza di norme di legge…”.

Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo, cui resistono la società ed i soci mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di impugnazione, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, (già art. 75 T.U.I.R.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la Commissione regionale è incorsa nella violazione di legge laddove ha ritenuto deducibili i costi per interessi passivi senza fare alcun riferimento al requisito dell’inerenza all’attività d’impresa ed a sostegno della censura richiama la sentenza di questa Corte n. 24930 del 25 novembre 2011.

2. Il motivo è infondato.

3. Costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui ” ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi, a mente del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, e a differenza della precedente normativa contenuta nel D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, sono sempre deducibili, anche se nei limiti della disciplina dettata dal detto D.P.R. n. 917 del 1986, art. 63, che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza ” (Cass. n. 14702 del 21/11/2001; n. 22034 del 13/10/2006; Cass. 9380 del 21/4/2009, Cass. n. 12246 del 19/5/2010; Cass. n. 10501 del 14/5/2014).

Si è al riguardo chiarito come nella determinazione del reddito d’impresa “resta precluso tanto all’imprenditore quanto all’Amministrazione finanziaria dimostrare che gli interessi passivi afferiscano a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo” (Cass. n. 1465 del 21/1/2009).

4. La sentenza richiamata dalla difesa erariale (Cass. n. 24930/11) non è, d’altro canto, pertinente, considerato che essa non attiene alla deducibilità degli interessi passivi ai fini della determinazione del reddito d’impresa, ma piuttosto a quello della deducibilità di oneri sanzionatori comminati all’impresa, dovuti in conseguenza del ritardato pagamento di oneri di urbanizzazione, e quindi a costi che sono correlati ad un inadempimento dell’imprenditore.

Nella specifica ipotesi esaminata dalla sentenza richiamata dalla ricorrente, gli interessi moratori rivestono dunque natura sanzionatoria e, pertanto, non possono costituire – al pari di tutte le sanzioni irrogate all’impresa – costi funzionali al mantenimento dell’impresa sul mercato, come tali deducibili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 (già art. 75).

5. Questa Corte ha, al riguardo, precisato che, qualora si tratti di interessi di mora, restano validi i principi dettati in materia di penalità inerenti all’attività d’impresa (Cass. n. 19702 del 27/9/2011) ed è, di conseguenza, ammessa la deducibilità, assolvendo la penalità esclusivamente la funzione di determinare preventivamente il risarcimento dei danni in caso di ritardo o di inadempimento.

Non è, invece, possibile fruire di deduzioni in caso di pagamento di somme a titolo di sanzioni irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente, poichè in tal caso “la spesa non nasce più nell’impresa”, ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che spezza il legame con l’attività d’impresa, ponendosi su un piano autonomo ed esterno, sicchè ammettere la deducibilità significherebbe neutralizzare interamente la ratio punitiva e dissuasiva delle sanzioni stesse (Cass. n. 8135 del 11/4/2011).

6. La sentenza impugnata ha, dunque, fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte e, pertanto, il ricorso va rigettato.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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