Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33505 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. I, 17/12/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29477/2018 proposto da:

K.K.S., elettivamente domiciliato in Roma, piazza

Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Massimo Gilardoni giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

(OMISSIS), e Procura Generale Corte Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA depositato il 22/8/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/10/2019 dal Cons. PAZZI Alberto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. con decreto depositato in data 22 agosto 2018 il Tribunale di Brescia respingeva il ricorso proposto da K.K.S., cittadino del Togo, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e ss. o alla protezione umanitaria previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, dopo aver ritenuto inattendibile il racconto offerto dal richiedente asilo (il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese di origine dopo la morte dei genitori a causa delle minacce ricevute dallo zio e dello percosse subite dai cugini per motivi religiosi), reputava che non sussistessero le condizioni nè per il riconoscimento dello status di rifugiato, nè per accogliere la richiesta di protezione sussidiaria formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sia in ragione del giudizio di non credibilità espresso, sia perchè le condotte descritte comunque non integravano i presupposti necessari per ravvisare queste forme di protezione;

il collegio di merito, in relazione alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), aggiungeva poi che le fonti di informazione consultate non evidenziavano la sussistenza nel Togo di una situazione di violenza generalizzata;

infine, rispetto alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale rilevava che, quand’anche si fosse voluto prescindere dall’inattendibilità del racconto del richiedente asilo, non era possibile sostenere che un eventuale rimpatrio avrebbe privato quest’ultimo della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani fondamentali al di sotto di un nucleo minimo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia K.K.S. al fine di far valere quattro motivi di impugnazione;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

3.1 il primo motivo è rubricato: “in via preliminare: richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, così come convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso Decreto Legge, per quanto concerne il differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale”;

3.2 la questione è manifestamente infondata: in vero è evidentemente privo di fondamento logico l’assunto del ricorrente secondo cui la previsione di un termine di centottanta giorni per l’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale denoterebbe l’insussistenza del requisito di urgenza per l’adozione dello strumento del decreto-legge, dal momento che l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza (Cass. 17717/2018);

risulta poi evidente come l’intero impianto normativo – attraverso l’istituzione di sezioni specializzate in materia (capo I), l’introduzione di misure per la semplificazione e l’efficienza dei procedimenti avanti alle commissione territoriali e dei procedimenti giudiziari (capo II) e la previsione di strumenti per l’accelerazione della procedure di identificazione e definizione della posizione giuridica di cittadini extracomunitari e per il contrasto all’immigrazione illegale (capo III) si colleghi nella sua interezza all’ipotesi straordinaria di necessità e urgenza che ha indotto il governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento e si proponga di realizzare, con misure omogenee e complementari fra loro, gli obiettivi di ordinato controllo dell’immigrazione sul territorio nazionale e regolazione della libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea;

4.1 il secondo motivo è rubricato: “sempre in via preliminare: richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado”;

4.2 la questione è manifestamente infondata: la previsione del termine di trenta giorni per il ricorso per cassazione, a far data dalla comunicazione del decreto, rientra senza dubbio nell’ambito della discrezionalità del legislatore e trova giustificazione in esigenze di urgenza, analoghe a quelle che lo stesso legislatore ha reputato sussistenti in diverse fattispecie, come ad esempio alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 17, comma 2 e L.Fall., art. 99, u.c., (Cass. 17717/2018);

5.1 il terzo motivo è rubricato: “sempre in via preliminare richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito, con decreto non reclamabile, entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso”;

5.2 la questione è manifestamente infondata, in quanto una simile forma di definizione è necessaria a soddisfare esigenze di celerità; peraltro non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado e il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700/2018);

6.1 il quarto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2: il Tribunale, nel ritenere che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in quanto il ricorrente non avrebbe allegato fattori di oggettiva vulnerabilità, avrebbe trascurato di considerare che la condizione di vulnerabilità presuppone un giudizio di bilanciamento tra il grado di inserimento sociale raggiunto e la condizione di provenienza e non avrebbe svolto alcuna indagine in tal senso;

6.2 il motivo è inammissibile, a prescindere da ogni questione pertinente l’applicazione al caso di specie della disciplina normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018;

ciò non solo per la mancanza di qualsivoglia critica alla prima ratio decidendi, autonoma e idonea a definire la questione, che fa conseguire dall’inattendibilità del racconto un ostacolo preclusivo all’accoglimento della richiesta di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

nessun omesso bilanciamento tra integrazione sociale raggiunta e condizione di provenienza può inoltre essere predicato: il Tribunale infatti ha ritenuto che un eventuale rimpatrio non avrebbe posto il migrante in una situazione deteriore, sotto il profilo del godimento dei diritti umani fondamentali, da quella goduta nel paese di accoglienza, posto che questi nel paese di origine aveva un lavoro, una figlia e vari parenti e il supporto della sua comunità religiosa, mentre in Italia non aveva alcun legame o aiuto materiale, al di là del centro di accoglienza; a fronte di questo giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, il mezzo si fonda su argomentazioni del tutto generiche e intende nella sostanza sollecitare una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto rigettato;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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