Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3350 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 12/02/2020), n.3350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12939-2018 proposto da:

OFFICINE SAN GIORGIO SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V. DI TORRE GAIA 14,

presso lo studio dell’avvocato VANESSA SCACCHI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI NUCIFERO;

– ricorrente –

contro

V.T.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3255/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’11/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3255 del 2017, ha rigettato l’appello proposto da Officine San Giorgio srl avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda di V.T., aveva condannato la società al pagamento di Euro 16.506,12 a titolo di differenze di retribuzione mentre aveva respinto la domanda riconvenzionale di condanna al pagamento, in favore della società, di Euro 9.271,86 per anticipo di TFR e per indennità di mancato preavviso;

in estrema sintesi e per quanto qui solo rileva, la Corte territoriale ha ritenuto, alla stregua delle risultanze delle prove testimoniali, di poter affermare che il lavoratore avesse fornito ” in maniera piena e rigorosa la prova positiva dell’esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti previsti, avendo dimostrato lo svolgimento del lavoro straordinario ed anche la sua effettiva consistenza”; con riferimento al rigetto della domanda riconvenzionale, la Corte d’Appello ha giudicato prive di efficacia probatoria sia le ricevute prodotte (e disconosciute), in quanto frutto di una ricostruzione mediante sovrapposizione di documenti diversi, sia la deposizione al riguardo assunta, non solo perchè non congruente con le difese della stessa parte, ma soprattutto perchè generica, priva di ogni riferimento alle modalità ed ai tempi di consegna della somma (ingente) e, come tale, inidonea a consentire l’espletamento di una prova contraria ed il vaglio di attendibilità;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione Officine San Giorgio srl articolato in due motivi;

è rimasto intimato V.T..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 132 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

si imputa alla sentenza della Corte di appello di Napoli un’omissione motivazionale in relazione alla statuizione di riconoscimento del lavoro straordinario;

il motivo è inammissibile;

come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass., sez. un., n. 8053 del 2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., sez. un., n. 14477 del 2015; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. n. 31543 del 2018);

è stato, peraltro, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016);

si tratta, all’evidenza, di evenienze non prospettate nel caso di specie ove – vale aggiungere – la motivazione relativa al riconoscimento del compenso per lavoro straordinario, fondata sulla prova dello svolgimento, da parte del lavoratore, di una prestazione eccedente l’orario ordinario, esiste ed è chiaramente comprensibile; può discutersi solo della sua plausibilità e condivisibilità ma non della sua esistenza nei termini in cui si è detto;

con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2719 e 2697 c.c.;

il motivo investe la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale per essere i documenti prodotti dalla società privi di efficacia probatoria;

anche il secondo motivo è inammissibile;

la denuncia del vizio di violazione di legge non è conferente e scherma, in realtà, vizio di motivazione;

la censura è prospettata con riferimento ad una situazione di fatto (pagamento degli emolumenti “ai mezzo assegni”) non accertata affatto, anzi esclusa, dalla sentenza impugnata;

come costantemente affermato da questa Corte, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, viene in rilievo esclusivamente in relazione al fatto nei termini in cui è accertato in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente; diversamente, si trasmoda nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. n. 18715 del 2016);

sotto diverso profilo, le censure non si confrontano con il decisum, non considerando che la Corte territoriale ha, da un lato, ritenuto che la documentazione offerta a dimostrazione del pagamento fosse frutto di alterazione e, dall’altro, valutato generica – e quindi inidonea a sorreggere una diversa decisione – la dichiarazione della teste L.E. (che riferiva di anticipi di TFR “a volte con assegni “);

in definitiva, in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, senza adozione di provvedimento alcuno sulle spese, in mancanza di attività difensiva ad opera della parte intimata;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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