Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 335 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 10/01/2011), n.335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 12489/05) proposto da:

D.C.F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Prof. Mantini Pierluigi

del foro di Milano e dall’Avvio Cavaliere Domenico del foro di Roma

ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Corvisien n. 46;

– ricorrente –

contro

M.R., rappresentata e difesa dall’Avv.to Muffati Antonio

dei foro di Sondrio e dall’Avvio Ciabattini Sgotto Lidia del foro di

Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultima in Roma, piazzale Clodio, n. 32;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3204

depositata il 14 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott.ssa FALASCHI Milena;

uditi gli Avv.ti Domenico Cavaliere, per parte ricorrente, e Lidia

Ciabattini Sgotto, per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto

del ricorso con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 12 novembre 1998 M.R. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sondrio, D.C. F.G. in relazione ad opere da quest’ultimo realizzate in Comune di Valdisotto su un fondo distinto a F. 15, mapp. 1024, attiguo al n. 1023 di proprietà della medesima per ottenerne la demolizione o l’arretramento dello stesso manufatto in quanto posto ad una distanza inferiore ai dieci metri rispetto al garage dell’attrice. Chiedeva, altresì, che venisse pronunciata la condanna alla rimozione dei materiali presenti sul terreno dei convenuto giacchè causavano insalubrità, perdita di luce e di aria, oltre a menomazione del prospetto godibile per il fabbricato dell’attrice, unitamente a condanna per risarcimento del danno per la somma di L. 30.000.000.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che peraltro proponeva domanda riconvenzionale volta all’accertamento della violazione delle distanze dal confine da parte del fabbricato dell’attrice, con conseguente demolizione dell’opera medesima e risarcimento del danno quantificato in L. 40.000.0000, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito respingeva le domande di parte attrice e quelle riconvenzionali.

In virtù di rituale appello interposto dalla M., con il quale lamentando l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui aveva affermato che i fabbricato del D. C. fosse totalmente interrato, in quanto il terrapieno era stato realizzato nel 1983 in esecuzione della sentenza n. 173/1983 del Tribunale di Sondrio (che non riguardava le parti in causa e atteneva ad una diversa questione), giudice che non aveva comunque disposto la realizzazione di un terrapieno artificiale, la Corte di appello di Milano, nella resistenza dell’appellato D.C., che spiegava appello incidentale, accoglieva parzialmente il gravame e in riforma della sentenza appellata dichiarava che la costruzione di proprietà di D.C.F.G. sita sulla particella n. 1024, foglio 15 del Comune di Valdisotto, di proprietà dello stesso appellato, era stata realizzata in violazione della distanza minima tra fabbricati prevista dalle N.T.A del P.R.G. del predetto Comune rispetto al fabbricato fronteggiante di proprietà della medesima appellante e condannava lo stesso D.C. alla demolizione ed arretramento della porzione di fabbricato in contrasto con le disposizioni comunali vigenti al 1995, nonchè al ripristino dello stato dei luoghi rispetto all’originario piano di campagna.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riconosceva la fondatezza della contestazione dell’appellante in ordine alla lamentata violazione della distanza dei fabbricati in quanto dalla C.T.U., non contestata dalle parti, risultava accertato che i fabbricati delle parti si fronteggiavano parallelamente fra loro e la distanza era di metri 6,60 rispetto a quella prevista nelle N.T.A. allegate al P.R.G. del Comune di Valdisotto e che le porzioni di fabbricato per cui era causa risultavano seminterrate rispetto all’originario piano di campagna per un’altezza che andava da 29 a 43 e l’estradosso del solaio di copertura del vano autorimessa della M. era a quota 39 rispetto al solaio del fabbricato dell’appellato. Dalla stessa relazione peritale risultava, altresì, che l’appellato aveva realizzato artificialmente un terrapieno con scarpata dalla sua proprietà verso l’autorimessa della M. ed aveva piantumato detto terrapieno con una fila di alberi, determinando una modifica dell’originario piano di campagna nel senso che era stato rialzato il piano di campagna della proprietà dell’appellato e, conseguentemente, il fabbricato dell’appellato, costruito nel 1995, risultava interrato lungo gran parte della porzione fronteggiante l’autorimessa della M.. Ai fini del rispetto delle distanze legali fra costruzioni interrate doveva tenersi conto dell’originario livello del piano di campagna (ossia del livello naturale del terreno non modificato dall’opera dell’uomo) che nella specie era stato trasformato dall’appellato e dunque la costruzione del D.G. non risultava completamente interrata e perciò trovava applicazione la disciplina delle distanze fra edifici fronteggianti.

Non era stata ritenuta fondata la deduzione dell’appellato che il terrapieno esisteva già al momento della costruzione del nuovo edificio in quanto la violazione delle distanze costituiva illecito a carattere permanente. Non provata risultava, di converso, la domanda di risarcimento dei danni svolta dalla stessa appellante.

Relativamente all’appello incidentale la corte territoriale osservava che era pacifico che il garage della M. era stato realizzato nel 1976, epoca in cui il Comune di Valdisotto era sprovvisto di P.R.G., sicchè nella specie doveva trovare applicazione l’art. 873 c.c. che prevedendo il meccanismo della prevenzione, e perciò riconosceva in capo alla M. l’esercizio di tale facoltà.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione il D.C., che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso la M., che ha anche depositato memoria

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre pregiudizialmente esaminare l’eccezione di nullità della procura e quindi di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, per carenza del requisito di specialità della procura.

La censura è infondata. Va ribadito che per il principio di conservazione degli atti giuridici (art. 159 c.p.c.), salva la presenza nella procura a margine del ricorso o controricorso di espressioni tali da escludere univocamente la volontà del conferimento per il giudizio di legittimità, le espressioni “delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio in ogni fase e grado, con contestuale elezione di domicilio in Roma, soddisfa il requisito della specialità richiesto dall’art. 365 c.p.c., poichè il richiamo al “presente giudizio” appare sufficiente per attribuire alla parte la volontà di promuovere il giudizio di legittimità, ancorchè non espressamente menzionato e contenente invece riferimenti ai gradi di merito (v, da ultimo Cass., 3^ Sez., n. 1954/2009).

Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 102 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza per il mancato esercizio dell’azione nei confronti di tutti i litisconsorti necessari.

E’ noto che il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere rilevato di ufficio per la prima volta anche nel giudizio di cassazione, sempre che gli elementi che rilevano la necessità del contraddittorio emergano dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito e che sulla questione non si sia formato il giudicato (v, fra le tante, Cass., 3^ Sez., n. 593/2001; Cass., 2^ Sez. n. 23628/2006:

Cass, 2^ Sez., n. 17581/2007).

Orbene, nella specie parte ricorrente ha prodotto atto pubblico del luglio 1992 da cui risulterebbe che egli è uno dei comproprietari del terreno di cui ai mappali in contestazione solo al momento della presentazione del ricorso per cassazione.

A norma dell’art. 372 c.p.c., non è ammessa nel giudizio di Cassazione la produzione di un nuovo documento per dimostrare la necessità di integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, poichè tale documento non riguarda l’ammissibilità del ricorso o del controricorso e neppure la nullità della sentenza impugnata (v. Cass., 1^ Sez. n. 20260/2006).

Nè, d’altra parte, l’esistenza di un ulteriore comproprietario emerge con ogni evidenza dagli atti ritualmente acquisiti nel giudizio di merito – cui questa Corte ha accesso, a fronte della deduzione di un error in procedendo.

Del resto questione affatto diversa è quella che atterrà alla eseguibilità della sentenza, che però rileverà solo in sede di attuazione del giudicato.

Il primo motivo è pertanto inammissibile.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’illogicità, la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione per violazione dell’art. 873 c.c. sotto il profilo della inapplicabilità del regime delle distanze ai corpi di fabbrica interrati.

Va subito richiamato il costante indirizzo di questa Corte secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove: di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il previsto vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando si ravvisi insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (cfr ex plurimis: Cass. 22 maggio 2001 n. 6975: Cass. 16 novembre 2000 n. 14858; Cass., Sez Un., 27 dicembre 1997 n. 13045).

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale, nel pervenire alla determinazione della natura seminterrata dei manufatti de quibus ha considerato l’originano piano di campagna, come accertato – con valutazioni tecniche condivisa – dal consulente tecnico di ufficio, che tenendo conto della successione delle opere ivi realizzate, ne ha verificato la modifica in quanto rialzato nella proprietà de ricorrente, con conseguente incidenza in ordine al fabbricato su di esso eretto. Tale giudizio non si è, dunque, concretizzato in un mero atto formale, avendo evidenziato anche come la ordinata piantumazione – di cui alla sentenza del Tribunale di Sondrio n 173/1983 – abbia costituito solo una delle opere che hanno portato ad una modificazione del livello di campagna. A tale riguardo non può sottacersi, inoltre, che la Corte di Trieste ha sottolineato che la decisione del 1983 “non prescriveva il rialzo della quota di terreno e la realizzazione del terrapieno con scarpata verso la proprietà (OMISSIS)”.

Elementi questi che hanno indotto la Corte territoriale a ritenere, con puntuale applicazione di ineccepibili principi giuridici, che nella fattispecie trovi applicazione la disciplina delle distanze fra edifici fronteggianti, conclusioni che risultano supportate da una motivazione adeguata, priva di salti logici e del tutto corretta sul piano giuridico, sicchè le sue statuizioni non sono suscettibili di alcuna censura in questa sede di legittimità. La doglianza è, pertanto, infondata.

Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge per contrasto con l’art. 2909 c.c. sotto il profilo del contrasto con il precedente giudicato interpartes. Il contrasto giurisprudenziale in ordine alla rilevabilità e deducibilità dei giudicato nel giudizio di legittimità trova il suo fondamentale precedente e punto di avvio nella sentenza delle Sezioni Unite n. 226/2001 che ha affermato il principio secondo cui poichè nel nostro ordinamento vige la regola della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando la necessità dell’istanza di parte solo dall’esistenza di una specifica previsione normativa, l’esistenza del giudicato – sia esterno sia interno – è rilevabile di ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto il giudicato – a norma dell’art. 2909 c.c. – ha l’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, in quanto l’autorità del giudicato viene riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico. In altri termini, il giudicato non deve essere incluso nel fatto, ma deve essere assimilato per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, agli elementi normativi in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto e perciò partecipa della natura dei comandi giuridici (v. Cass. S.U. n. 23242/2005 e n. 5105/2003).

Ciò precisato, dagli atti di causa emerge l’insussistenza nel caso di specie del dedotto giudicato, giacchè la decisione del Tribunale di Sondrio n. 173/83 è stata pienamente valutata dal giudice di merito, tanto da averne fatto oggetto di citazione in numerosi passaggi motivazionali della sentenza, come evidenziato da quanto suesposto. Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere respinto. Al rigetto consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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