Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33492 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 11/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24054-2018 proposto da:

K.O., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Flavio Grande del foro di Torino che lo rappresenta e difende

– Ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO (91383700373), in persona del Ministro

pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta

e difende ope legis

– Resistente –

avverso il decreto n. 1669/2018 del Tribunale di Bologna (c.c.

23/5/2018, dep. 14/6/2018)

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2019 dal consigliere relatore Dott. Giovanni

Ariolli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.O., cittadino della Nigeria, ha proposto opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Bologna, che ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale e di protezione umanitaria.

2. Con decreto depositato il 14/6/2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione.

3. K.O. ricorre per cassazione avverso il suddetto provvedimento; svolgendo due motivi ne chiede l’annullamento.

4. Con controricorso ritualmente notificato, si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo la declaratoria di inammissibilità (anche per difetto di autosufficienza) o il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo il ricorrente deduce: “violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

La doglianza, che attiene alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente a sostegno della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione internazionale, è inammissibile poichè aspecifica, in quanto il ricorrente – al di là dell’assenza della necessaria autosufficienza con riguardo ai fatti ed alle risultanze processuali dedotte – non ha specificamente precisato quale dei criteri valutativi posti dalla disposizione normativa censurata sarebbe stato violato dal giudice del merito, essendosi limitato ad evidenziare quali circostanze del narrato non sarebbero a suo avviso inattendibili, finendo così per articolare una censura di fatto vietata in questa sede, essendo precluso alla Corte di legittimità di procedere ad una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. Inoltre, il motivo è anche generico poichè si appunta soltanto su alcune delle circostanze di fatto riferite dal ricorrente nel corso del suo racconto, estrapolate dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, a fronte, invece, di plurimi riferimenti argomentativi relativi ad elementi essenziali del narrato sulla scorta dei quali il giudice del merito ha puntualmente fondato il giudizio di inverosimiglianza ed esclusa anche la ricorrenza della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda. Si è al riguardo, infatti, evidenziato come sia risultata del tutto generica ed indimostrata l’affermata partecipazione del ricorrente all’attività politica del partito (APC) che fonderebbe il timore di ritorsioni ad opera dell’avversa parte politica (il partito di opposizione PDP); parimenti generica ed indimostrata è la denunzia di avere subito, in conseguenza di tale attività politica, l’incendio del suo negozio, come illogica anche la narrazione dei successivi eventi che lo avrebbero costretto ancora a nascondersi, sebbene poi il suo partito avesse vinto le elezioni e l’episodio non fosse stato neppure denunziato alle Autorità.

La censura finisce, quindi, per risolversi in una generica critica U’I ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, richiede una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (S.U., sentenza n. 8053 del 7/4/2014, Rv. 629831).

Con la conseguenza che il giudizio di non attendibilità del dichiarante non consente di ritenere concreto il rischio, in caso di rientro nel Paese di origine, di persecuzione per uno dei motivi contemplati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, o di subire una delle forme di danno grave alla persona individuate dal decreto legislativo cit., art. 14, lett. a) e b).

6. Con il secondo motivo il ricorrente deduce: “violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”.

Il motivo è inammissibile poichè si fonda su un errato presupposto, ossia che il giudice del merito abbia escluso il diritto alla protezione sussidiaria in virtù della ragionevole possibilità dei richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi (atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8, della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva). Invero, dalla lettura della motivazione del provvedimento impugnato, risulta che il giudizio relativo all’esclusione del pericolo è stato condotto con riguardo alla specifica regione di provenienza del ricorrente (Edo State), in conformità anche agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità e convenzionale sul punto (vedi: Sez. 1, n. 26554 dei 25/9/2019; Sez. 6-1, ord. n. 26647 del 9/7/2019; Corte di Giustizia – sentenza Elgafaji v. Staatsasecretaris van Justice – 17.2.2009; Corte di Giustizia, IV Sez., sentenza Diakitè del 30 gennaio 2014).

7. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, condannandosi il ricorrente, stante la soccombenza, a rifondere le spese all’Amministrazione controricorrente, liquidate come in dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U., 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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