Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33480 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20706-2018 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato IBRAHIM KH MAL DURRA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585;

– intimato –

avverso la sentenza n. 40/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 3 gennaio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da K.S. nei confronti della decisione assunta, in primo grado, dal Tribunale del capoluogo piemontese. Con quest’ultima pronuncia era stato negato che all’interessato potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato; era stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, artt. 2, 3,5,6,7,8 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.. L’istante lamenta che la Corte di merito sia incorsa in plurime violazioni di legge in relazione all’acquisizione e valutazione delle prove. Rileva, in particolare: che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice dell’impugnazione, in Mali era presente l’etnia maraka; che il giudice del gravame non aveva tenuto conto dello stato di soggezione psicologica cui era stato sottoposto il ricorrente insieme alla propria famiglia; che non si era fatto luogo ad alcun accertamento circa l’obbligo di leva nel Mali e circa la destinazione dei giovani arruolati con la forza nell’esercito. Deduce che in tema di protezione internazionale il giudice ha l’obbligo di avvalersi dei poteri officiosi di indagine, non potendo fondare la propria indagine, in via prevalente, su un giudizio di non credibilità soggettiva del richiedente.

Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e “vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5”. La censura investe la ritenuta inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato o internazionale in Mali ed è incentrato sul richiamo di elementi informativi (circa le condizioni generali del paese) che contraddirebbero le conclusioni cui era pervenuto il giudice di appello.

Il terzo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, il vizio motivazionale e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Rileva il ricorrente di aver dedotto in giudizio una situazione di vulnerabilità derivante dal rischio di essere sottoposto all’obbligo di leva e di subire soprusi e discriminazioni.

2. – I motivi esposti sono privi di fondamento.

Occorre premettere che la Corte distrettuale ha respinto la domanda di accertamento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), rilevando come il racconto del richiedente non fosse, in sintesi, credibile, e ciò avendo riguardo a plurimi rilievi: il fatto che solamente in occasione dell’audizione avanti al Tribunale il ricorrente avesse ricondotto la presunta discriminazione di cui era stato vittima ad un conflitto tra etnie; la circostanza per cui, sulla base delle informazioni acquisite, l’etnia maraka, che K. assumeva essere maggioritaria nella propria regione di provenienza, non risultava neppure più esistente in Mali; che non rispondeva al vero che l’etnia bambara, cui apparteneva l’odierno istante, fosse invece monoritaria. Con particolare riferimento alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), si trova poi precisato, nella sentenza impugnata, che la regione da cui proveniva il ricorrente, ubicata nella parte meridionale del paese, non risultava essere oggetto di fenomeni di violenza indiscriminata, tali da giustificare timori in caso di rimpatrio. La stessa Corte di appello ha poi osservato come non fosse affatto chiaro il motivo per il quale l’appellante, a suo dire esposto all’obbligo di leva obbligatorio, dovesse essere inviato dalle truppe governative nel Nord del paese, ove erano presenti atti di violenza generalizzata, dal momento che il Mali era impegnato sotto l’egida dell’Onu in una missione militare internazionale volta alla stabilizzazione dello Stato. Quanto alla protezione umanitaria, il giudice distrettuale ha infine osservato come nessuna considerazione puntuale fosse stata svolta in sede di appello in merito a specifiche forme di vulnerabilità.

Ciò posto, questa Corte ha precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 29 gennaio 2019, n. 2458; Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni). Nel caso in esame, il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi plausibili e coerenti con le informazioni da essa acquisite, come invece è richiesto dall’art. 3 cit., comma 5, lett. c). Ne discende che, sotto il profilo che qui interessa, rettamente la Corte distrettuale ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per l’accoglimento della domanda proposta.

Nè l’istante può dolersi del giudizio formulato, in proposito, dalla Corte di merito, giacchè la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

Va del resto disattesa la censura fondata sul mancato utilizzo, da pare del giudice del merito, dei poteri officiosi. Vero è, al contrario, che la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal richiedente rispetto alle informazioni generali relative alla situazione del Mali, con particolare riferimento al divisato conflitto di etnie, è stato desunto da una indagine svolta dalla Corte di appello (di cui è dato atto a pag. 5 della sentenza impugnata, ove si citano le risultanze tratte da siti internet).

E’ escluso, quindi, che trovi fondamento la censura di cui al primo motivo.

Quella articolata nel secondo si basa sull’asserita non rispondenza al vero dell’insussistenza della situazione di violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato: ma va osservato, in proposito, che la decisione della Corte di merito si basa su una articolata e diffusa ricognizione della situazione reale dell’area meridionale del Mali, da cui proviene il ricorrente; ebbene, la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, che va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento) costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064); nè risulta dedotto un vizio motivazionale concretamente suscettibile di essere fatto valere in questa sede.

Da ultimo, il ricorrente fonda la censura attinente al denegato riconoscimento della protezione umanitaria sulle stesse ragioni poste alla base delle altre domande, richiamandosi, in particolare, ai timori altrove espressi con riguardo alla soggezione all’obbligo di leva e alla sottoposizione ad atti discriminatori. La condizione di vulnerabilità atta a giustificare l’invocata forma di protezione dunque non sussiste: per un verso, l’esistenza dei suddetti atti disciminatori è stata ritenuta non credibile; per altro verso – e a prescindere da ogni altra riflessione sul punto – non risulta efficacemente censurata l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa l’incomprensibilità dei motivi per cui il ricorrente dovrebbe essere arruolato e inviato al nord del paese, per essere così esposto ai rischi che egli paventa.

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6′ Sezione Civile, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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