Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3348 del 08/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/02/2017, (ud. 18/11/2016, dep.08/02/2017),  n. 3348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28923/2012 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CASETTA MATTEI

239, presso lo studio dell’avvocato SERGIO TROPEA, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO TARANTO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CATANIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 427/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 24/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2016 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Commissione Tributaria Provinciale di Catania, in accoglimento del ricorso proposto da R.F., annullava, per intervenuta decadenza per iscrizione a ruolo e notifica, la cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle entrate di Catania, relativa all’omesso pagamento sul trasferimento immobiliare – per l’importo accertato definitivamente con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Catania n. 952/10 del 23 ottobre 2000 – dell’imposta di registro, Invim e sanzioni accessorie.

2. La Commissione Tributaria Regionale di Palermo, sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ritenendo l’inapplicabilità dei termini posti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, corrispondente all’attuale art. 25 del medesimo decreto, alle sentenze, come nella specie, passate in giudicato.

3. Ricorre per la cassazione R.F. per tre motivi:

1) violazione dell’art. 112 c.p.c., – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4 – violazione del giudicato. Secondo la ricorrente, l’appello era inammissibile per genericità; inoltre l’Agenzia delle Entrate, avendo eccepito che la cartella di pagamento era stata notificata tempestivamente a seguito di avviso di liquidazione, non aveva contestato la motivazione della CTP che aveva affermato che l’iscrizione a ruolo doveva essere notificata entro l’anno successivo a quello in cui l’accertamento, cioè la sentenza, era divenuto definitivo. Questo punto era quindi passato in giudicato. Rileva ancora la violazione da parte del giudice d’appello del giudicato formatosi nella sentenza di primo grado relativamente alla decorrenza del termine annuale di decadenza a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza n. 952/10.

2) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, del D.P.R. n. 181 del 1986, artt. 76 e 78, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Essendo la sentenza della CTP di Catania n. 252 del 2000 divenuta definitiva nell’anno 2000, la notifica della cartella di pagamento sarebbe dovuta avvenire entro e non oltre il 31 dicembre 2003. La CTR aveva ritenuto applicabile il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2953 c.c., violando l’art. 17 cit..

3) Insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sulle ragioni per cui non era stato applicato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17.

4. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati. Nessuna causa di inammissibilità è rinvenibile nell’atto di appello, avendo l’Agenzia delle entrate censurato l’erroneità della decisione di primo grado che aveva ritenuto decorso il termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, indicando le ragioni per cui la norma richiamata non si applicava alla fattispecie.

Nel merito, osserva il Collegio che costituisce principio consolidato della corte di legittimità quello secondo cui, nel caso in cui un atto impositivo venga impugnato in sede giurisdizionale, in tal modo instaurandosi una controversia sulla legittimità del pagamento di tributi, il credito erariale o il credito restitutorio del contribuente accertato nella sentenza che definisce l’impugnazione dell’atto impositivo soggiace al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c., anche nel caso in cui l’accertamento riguardi sanzioni per violazioni tributarie (Cass. S.U. n. 25790/2009; Sez. 6-5, n. 20153/14, Rv. 632343; Cass. n. 1967/2005.

Ciò in quanto il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto (che, essendo stato tempestivamente impugnato, non è mai divenuto definitivo) e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità. Ne deriva che la riscossione del credito erariale accertato dalla sentenza non soggiace al termine di decadenza di cui all’art. 17 (ora trasfuso nell’art. 25) del D.P.R. n. 602 del 1973, giacchè tale termine concerne la messa in esecuzione dell’atto amministrativo e presidia la esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l’interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all’iniziativa unilaterale dell’ufficio. La riscossione delle somme conseguenti al passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito il giudizio non è, dunque, soggetta a decadenza alcuna, ma unicamente alla prescrizione.

La sentenza gravata, alla luce di tali principi, è esente da vizi. La CTR ha fatto corretta applicazione delle norme sulla prescrizione rilevando d’ufficio l’operatività del termine di prescrizione decennale, atteso che “La questione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione (nella specie, quello indicato dell’art. 2947 c.c., comma 3) attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge, la cui rilevazione non è riservata al monopolio della parte ma può avvenire anche d’ufficio”. (Sez. 1, Sentenza n. 9993 del 16/05/2016, Rv. 639742).

2. La soccombenza della ricorrente ne comporta la condanna al pagamento delle spese in favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.500, oltre SPAD.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2017

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