Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3347 del 13/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3347 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: LANZILLO RAFFAELLA

Data pubblicazione: 13/02/2014

SENTENZA

sul ricorso 3657-2008 proposto da:
FORNACA

GINO

FRNGNI52P16A479Z,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63,
presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
WLOMPARO prNzn qi,,t.deleja n atti;
– Lico.r.renté –

i2013

contro

2279

PAVESE

BRUNO

PVSBRN54A24A479U,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA RODI 32, presso lo studio
dell’avvocato LAURITA LONGO LUCIO, rappresentato e

1

‘Q,

difeso dall’avvocato NELA PIERLUCA;
FERROGLIO GIUSEPPE, considerato domiciliato ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso unitamente dagli
avvocati CERSOSIMO SERGIO (deceduto) e GORIA CAMILLO

– controricorrenti nonchè contro

AMERIO TERESITA, BOANO SILVIO ANGELO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1542/2007 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/10/2007, R.G.N.
1138/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott.
RAFFAELLA LANZILLO;
udito l’Avvocato ALESSIA CIPROTTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso in subordine per il
rigetto;

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giusta delega in atti;

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4-6 marzo 2003 Gino Fornaca
ha convenuto davanti al Tribunale di Asti Giuseppe Ferroglio,
Bruno Pavese, Teresita Ameno e Silvio Boano, chiedendone la
condanna al risarcimento dei danni, per avere essi diffuso false

proprietà di rifiuti tossici tali da impedire la concessione
dell’abitabilità.
In conseguenza di queste voci la s.n.c. Enzo Ghia, con la quale
aveva in corso avanzate trattative per la vendita del capannone
e del terreno al prezzo di £ 1.450.000.000, aveva abbandonato
la trattativa ed egli aveva potuto vendere la sua proprietà solo
in seguito, al minor prezzo di £ 821.622.219 (C 324.530,04).
L’attore ha quantificato il danno nella differenza fra il prezzo
in discussione nel corso della prima trattativa e quello poi
riscosso.
Tutti i convenuti si sono costituiti, resistendo alla domanda.
Con sentenza 19 dicembre 2005 – 6 marzo 2006 il Tribunale di
Asti ha respinto la domanda attrice, condannando l’attore al
pagamento delle spese di causa.
Proposto appello

dal soccombente, a cui hanno resistito gli

appellati, la Corte di appello di Torino – con sentenza n. 1542
del 2007, depositata il 10 ottobre 2007 e notificata il 4
dicembre 2007 – ha confermato la sentenza di primo grado,
ritenendo non dimostrata la circostanza che siano state

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voci circa l’esistenza nel sottosuolo di un capannone di sua

effettivamente diffuse le voci denigratorie e che la soc. Enzo
Ghia abbia interrotto le trattative a causa di esse.
Il Fornaca propone quattro motivi di ricorso per cassazione.
Resiste con controricorso Bruno Pavese.
Gli altri intimati non hanno depositato difese.

Motivi della decisione

1.- Il primo motivo, che denuncia violazione degli art. 2043
e 2697 cod. civ. e 51 cod. pen., in relazione all’art. 360 n. 3
cod. proc. civ., si conclude con il seguente quesito:

“Piaccia

alla Suprema Corte, sulla scorta di quanto sopra esposto
rilevare che la sentenza _impugnata con il presente ricorso è
affetta da violazione di legge con riferimento agli art. 2043 e
2697 cod. civ. e 51 cod. pen., avendo il giudice di merito del
tutto arbitrariamente invertito l’onere della prova in ordine ai
fatti allegati, ritenendo pertanto irrilevanti i capitoli di
prova dedotti dal ricorrente nel giudizio di merito”.
Il secondo motivo, che

denuncia violazione degli art.

2043,

1337 e 1697 c. c., si conclude con il seguente quesito:
“Piaccia alla Suprema Corte, sulla scorta di quanto sopra
esposto rilevare che la sentenza impugnata con il presente
ricorso è affetta da violazione di legge con riferimento agli
art. 2043 e 1337 c. c., avendo 11 giudice di merito
arbitrariamente ampliato l’onere probatorio di cui è gravata
parte attrice sulla base delle disposizioni sopra citate”.

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Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata.

Il terzo motivo, che ancora denuncia violazione delle norme
sopra citate e dell’art. 41 cod.pen., si conclude con il
seguente quesito:

Piaccia alla Suprema Corte, sulla scorta di

quanto sopra esposto rilevare che la sentenza impugnata con il
presente ricorso è affetta da violazione di legge con

giudice di merito arbitrariamente invertito l’onere probatorio
tra le parti del giudizio”.
2.- Tutti i motivi sono inammissibili per violazione dell’art.
366

bis

cod. proc. civ., norma applicabile al caso di specie

perché in vigore alla data del deposito della sentenza impugnata
(art. 6 e 27 d. lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, che ha introdotto la
disposizione, e art. 47 e 58 legge 18 giugno 2009 n. 69, che ne
ha disposto l’abrogazione).
A norma dell’art. 366bis, nei casi previsti dall’art. 360 n. 1,
2, 3, 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere
con la formulazione di un quesito di diritto che sintetizzi la
questione giuridica sottoposta al giudizio della Corte di
legittimità sì da consentirle di enunciare un principio di
diritto chiaro, specifico ed applicabile anche ai casi analoghi
a quello sottoposto ad esame.
Il quesito deve perciò contenere la riassuntiva esposizione
della fattispecie sottoposta al giudice di merito; la
sintetica indicazione della regola di diritto da esso applicata,
nonché di quella che si vorrebbe venisse affermata in sua vece.

5

riferimento agli art. 2043, 2697 c.c. e 41 c.p., avendo 11

Il quesito non può risolversi, quindi, in una enunciazione di
carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione
sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla
fattispecie in esame. Né si può desumere il quesito dal
contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena

formulazione dei quesiti,

Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36

e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. III, 30 settembre 2008
n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535; Cass. Civ. Sez. 3, 14 marzo
2013 n. 6549, fra le tante). Men che mai il quesito di diritto
può risolversi nella mera indicazione della norma che si ritiene
violata (cfr. Cass. civ. S.U. 18 luglio 2008 n. 19811).
Nella specie i quesiti si limitano per l’appunto a denunciare la
violazione di talune disposizioni di legge, senza specificare
sotto quale aspetto la violazione sussista.
Lamentano il mancato rispetto dei principi in tema di onere
della prova, senza indicare i fatti da provare e senza
effettuare alcun collegamento fra la fattispecie concreta e la
regola astratta, sicché risultano del tutto inidonei allo scopo
in vista del quale è stata introdotta la disposizione dell’art.
366bis cod. proc. civ.
3.- Il quarto motivo, che lamenta vizi di motivazione ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., è parimenti inammissibile,
per mancanza del c.d. quesito di fatto.
A norma dell’art. 366bis cod. proc. civ. il ricorrente che
denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è
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la sostanziale abrogazione della norma (cfr., sulle modalità di

tenuto ad indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente e
autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione
si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione.

espositivo del ricorso esprima tutto ciò in modo non equivoco.
Tale requisito non può ritenersi rispettato allorquando solo la
completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito di
una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e
il significato delle censure, posto che la ratio che sottende la
disposizione di cui all’art. 366-bis Cpc è associata alle
esigenze deflattive del filtro di accesso alla Suprema Corte, la
quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla
lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal
giudice del merito (cfr. Cass. civ. Sez. Un. 1 0 ottobre 2007 n.
20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio
2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. III, 7 aprile 2008 n. 8897, n.
4646/2008 e n. 4719/2008, 14 marzo 2013 n. 6549, fra le tante).
4.- Il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.
5.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
7

A tale fine è necessaria occorre che uno specifico passaggio

cassazione, liquidate complessivamente in C 5.200,00, di cui C
200,00 per esborsi ed C 5.000,00 per compensi; oltre agli
accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013
‘l idente

Il P

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