Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3347 del 12/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 12/02/2020), n.3347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11930-2018 proposto da:

N.F., N.A., nella qualità di eredi di N.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO MAURO;

– ricorrenti –

contro

GEMSAUTO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difeso dagli avvocati ELIO PERIRNE,

ANGELO VALENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2622/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Bari, con sentenza nr. 2622 del 2017, resa nel giudizio di rinvio riassunto a seguito della pronuncia di questa Corte n. 9599 del 2013, ha accolto parzialmente il gravame di GEMSAUTO S.r.L. avverso la sentenza del Tribunale di Lecce (n. 113 del 2007) e, per l’effetto, ha ordinato ad N.E. la restituzione della somma di Euro 51.164,90, oltre interessi legali, in favore della indicata società, versata in esecuzione della pronuncia di primo grado;

per quanto qui solo rileva, la Corte di cassazione, con l’indicata pronuncia (id est: con la pronuncia n. 9599), in accoglimento del nono e del decimo motivo del ricorso proposto dalla GEMSAUTO srl, aveva ritenuto che i giudici del merito dovessero attribuire rilievo “all’affermazione resa dal N., in sede di interrogatorio, relativa all’orario di lavoro (…) in quanto dichiarazione a sè sfavorevole”;

la Corte territoriale, dunque, all’esito del giudizio rescissorio, ha osservato come il lavoratore, all’udienza del 12.12.2003, avesse dichiarato di aver lavorato ordinariamente dalle 8 alle 13 e dalle 15-15,30 alle 17,30; ha, quindi, giudicato che, in base a tale dichiarazione, dovesse considerarsi provato, in ragione di un calcolo matematico, un orario di lavoro di 7 ore giornaliere per 5 giorni, pari a 35 ore settimanali;

avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi di N.E., fondato su un unico motivo;

ha resistito, con controricorso, GEMSAUTO s.r.l.

è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

parte controricorrente ha depositato memoria con richiesta di liquidazione anche delle spese della procedura ex art. 373 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 228 c.p.c. ed all’art. 2730 c.c.;

secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto considerare l’orario di lavoro di otto ore giornaliere come indicato dal lavoratore e confermato dal legale rappresentante o, in subordine, di 7 ore e mezzo;

il motivo è inammissibile, essendo il vizio denunciato estraneo all’ambito di applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non indicando il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);

la critica investe, infatti, la valutazione della dichiarazione operata dalla Corte territoriale; quest’ultima, uniformandosi al comando giudiziale, ha dato rilievo alla risposta resa dal N. in sede di interrogatorio e valutato il contenuto della stessa, con apprezzamento di merito, non sindacabile; in particolare, ha ritenuto accertato (evidentemente in termini di maggiore certezza) lo svolgimento di una prestazione lavorativa giornaliera pari a sette ore e non, come preteso dai ricorrenti, per otto ore o, in subordine, per sette ore e mezza;

le spese seguono la soccombenza e, comprensive anche di quelle relative alla fase cautelare svoltasi dinanzi alla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 373 c.p.c., si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di quelle inerenti all’intervenuta fase inibitoria che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020

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