Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33467 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 27/12/2018), n.33467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 126/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t, con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

San Carlo Immobiliare s.a.s. di C.D.S. & C.,

rappresentata e difesa dall’avv. Carlo Amato e dal Prof. Avv.

Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, via dei Monti Parioli, n. 48;

– controricorrente-ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale de|

Veneto, depositata il 18 novembre 2011 n. 83/18/2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 ottobre

2018 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di accoglimento dell’appello proposto dal contribuente nei confronti della sentenza del Commissione tributaria provinciale di Milano, che aveva respinto il ricorso col quale il contribuente medesimo aveva impugnato una cartella di pagamento mediante la quale, a seguito di controllo automatizzato del D.P.R. n. 633 del 1972, ex 54-bis, sulla dichiarazione dei redditi 2002, relativa all’anno di imposta 2001, l’Ente procedeva a un recupero dell’IVA non versata, ritenendo indetraibile un credito di imposta;

– La Commissione tributaria regionale ha parzialmente annullato la cartella sul presupposto della riconosciuta detraibilità del credito IVA;

– Il ricorso principale è affidato a un solo motivo;

– Il contribuente ha resistito con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale, basato anch’esso su un unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con l’unico motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 55, avendo i giudici della Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che il contribuente che maturi un credito IVA in un anno di imposta e ometta di presentare la dichiarazione IVA in relazione a quell’anno, conservi il diritto di portare in detrazione il credito d’imposta nella dichiarazione dell’anno successivo;

– Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la contribuente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo i giudici d’appello, per un verso, dichiarato la detraibilità del credito IVA maturato in un anno d’imposta per il quale era mancata la presentazione della dichiarazione fiscale, per altro verso, contraddittoriamente ritenuto che il medesimo credito detraibile non potesse essere posto in compensazione con l’imposta dovuta l’anno successivo;

– Il motivo di ricorso principale è infondato ed esige il rigetto;

– Con le sentenze n. 17757 e n. 17758 dell’8 settembre 2016, le Sezioni Unite di questa Corte sono intervenute al fine di comporre un annoso contrasto verificatosi all’interna della giurisprudenza di legittimità in ordine al trattamento da riservare alle eccedenze di credito I.V.A., maturate in un periodo d’imposta per il quale la relativa dichiarazione annuale era stata omessa dal contribuente;

– Al riguardo la Suprema Corte ha affermato l’essenziale principio secondo cui l’omissione della dichiarazione I.V.A., da parte del soggetto passivo, non comporta ex se la perdita del credito maturato nella stessa annualità (circostanza che si verifica solo in assenza dei requisiti sostanziali del diritto alla detrazione), palesandosi alla stregua di onere del contribuente, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione;

– Più nel dettaglio, nella sentenza n. 17757 del 2016 – con orientamento condivisibile, cui si ritiene di dare continuità – le Sezioni Unite hanno affermato che, in tema di detrazione del credito IVA maturato con riferimento ad un anno di imposta in cui il contribuente ha omesso di presentare la relativa dichiarazione, vale il principio secondo cui “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da, dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dai giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione”;

– Segnatamente, dunque, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco, qualora, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, non sia controverso che le operazioni cui la detrazione viene correlata siano ascrivibili ad un soggetto passivo d’imposta nonchè assoggettate a IVA;

– In senso analogo, nella sentenza n. 17758 del 2016, le Sezioni Unite hanno escluso che il diritto di detrazione possa essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella, laddove, pur constando l’omissione della dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, non sia controverso che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili e di deduzione eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto;

– Nella richiamata sentenza n. 17757 del 2016, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, d’altronde, osservato che “nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale dell’UE emerge (…) che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi” (in termini cfr. anche Cass. Sez. 5, n. 7576 del 2015); in tal senso – proseguono le Sezioni Unite – ai fini del diritto alla detrazione è sufficiente che “in sede di contraddittorio e/o di contenzioso sulla cartella, il contribuente omissivo documenti la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto a detrazione di cui alla sesta Dir., art. 17”.

– Questo essendo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, giova considerare che, nella specie, non è dubbio che i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione siano comprovati: intanto, essi si mostrano addirittura incontroversi, sol che si constati che, ancora nel ricorso per cassazione, l’Agenzia testualmente riferisce di un “credito IVA – non contestato dall’Ufficio – maturato nel 2001”, concentrando le proprie doglianze, non sull’an o sul quantum del credito, ma sulla sua asserita indetraibilità nell’anno 2002; inoltre, in quanto – come evidenziato nella sentenza d’appello – il soggetto passivo risultava aver fatturato le operazioni, riportando nei singoli documenti l’imposta dovuta, tanto da consentirne il calcolo; i pagamenti, in altri termini, erano regolarmente contabilizzati e fatturati, essendo mancata la dichiarazione per “un mero disguido nella trasmissione”;

– In ultima analisi il diritto alla detrazione, non solo è stato dimostrato, ma è stato fatto valere entro l’anno successivo a quello di maturazione, ergo “nel termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 3)” (come si esprime la sentenza delle Sezioni Unite, sopra menzionata), disposizione che richiama i D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, secondo periodo;

– L’unico motivo del ricorso incidentale è fondato e va accolto;

– Nel ricorso incidentale della contribuente è riportato il contenuto del ricorso introduttivo della lite e si tratta di un contenuto assolutamente chiarificatore in fatto;

– Tra le questioni interconnesse ab initio agitate dalla contribuente si registravano: la censura del “mancato riconoscimento dell’utilizzo” del credito IVA “in compensazione/detrazione con L’IVA del periodo (versamenti periodici anno 2002), da aggiungersi ai versamenti d’imposta pacificamente, perchè documentati – non contestati – non disconosciuti nemmeno nella sentenza d’appello, eseguiti dalla contribuente nell’anno 2002 a mezzo F24”; la doglianza relativa alla circostanza per la quale, la Commissione tributaria regionale, a fronte della dichiarazione di nullità parziale della cartella esattoriale nella parte in cui la stessa non aveva tenuto conto della detraibilità del credito fiscale, contestava, bensì riconosceva “l’esistenza dei versamenti e delle detrazioni … effettuati dalla contribuente nell’anno 2002″; la censura dell‘”illegittima duplicazione tributaria” che ne discendeva, quand’anche la si dovesse “considerare quale frutto di un evidente duplice errore del contribuente nella stesura della dichiarazione, già accettabile direttamente dall’Ufficio che avesse agito in buona fede e secondo dettami di correttezza”; la contestazione di “errori” che si assumono formali e che sono dettagliatamente esposti ai punti a) e b) delle pagine 23 e 24 del ricorso;

– In quest’ottica, il ricorrente ha riportato minuziosamente nella propria impugnazione gli esatti termini delle questioni poste, oltre che in primo, anche in secondo grado, svolgendo una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – nonchè delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti (v. Cass. n. 29833 del 2017);

– Con ogni evidenza a venire in risalto nel caso che occupa è proprio un deficit radicale di motivazione della decisione impugnata su plurimi fatti controversi e decisivi per il giudizio ampiamente spiegati dalla ricorrente incidentale, sol che si consideri che la sentenza tralascia completamente di chiarire la ragione per la quale – pur avendo riconosciuto l’esistenza del credito IVA relativo all’anno 2001, pur non revocando in dubbio l’effettuazione dei versamenti d’imposta da parte del contribuente, pur avendo, infine, dichiarato la nullità della cartella di pagamento “nella parte in cui non tiene conto della detraibilita del credito IVA” – abbia contraddittoriamente confermato la sentenza di primo grado, di fatto denegando il riconoscimento di un credito in compensazione/detrazione che essa stessa aveva poco prima appurato;

– Altrimenti detto, la sentenza d’appello ha affermato, da un lato, che la cartella notificata alla contribuente non è corretta laddove non tiene conto della detraibilità del credito IVA venuto in essere in relazione all’anno 2001, dall’altro lato, incoerentemente escluso che alla riconosciuta detraibilità conseguisse la compensabilità del credito, fino all’importo di Euro 31.162,00, con l’IVA a debito della contribuente medesima per l’anno 2002;

– A fronte di tali profili di nitida e articolata doglianza della contribuente, la sentenza impugnata ha svolto una pedissequa e assiomatica adesione alle statuizioni rese in primo grado, limitandosi a dichiarare testualmente che “relativamente agli altri errori riscontrati con riferimento all’anno d’imposta 2002, le conclusioni contenute nella sentenza di primo grado appaiono condivisibili e non smentite dai dati forniti dal contribuente”)

– In questa cornice, deve dirsi integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, posto che, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerge la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell'”iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà è ben ravvisarle in presenza di argomentazioni obiettivamente contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” posta a fondamento della decisione adottata (v. Cass. n. 12967 del 2018);

– Invero, la motivazione si palesa insanabilmente contraddittoria ed apparente per impossibilità di ricavare la logicità del ragionamento inferenziale del giudice, che afferma la sussistenza di un presupposto per l’applicazione di una norma, nel contempo negandone immotivatamente la conseguente applicazione (v. Cass. n. 4367 del 2018);

– In ultima analisi, la decisione d’appello non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, palesandosi, risolvendosi, con riferimento ai profili circostanziali denunciati dal contribuente, in una motivazione “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass. n. 27112 del 2018);

– Questa Corte ha osservato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure (v. Cass. n. 16057 del 2018; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9097 del 2017);

– La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso proposto dalla contribuente;

– Le spese di tutti i gradi di giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, in considerazione dell’incidenza sulla decisione delle recenti pronunce delle Sezioni unite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa le sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente; compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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