Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33466 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 17/12/2019), n.33466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 171-2018 proposto da:

A.V., elettivamente domiciliato in Roma, Via Filippo

De Grenet, n. 145, presso lo studio dell’avvocato Michele De Cillis,

rappresentato e difeso dagli avvocati Augusta Crudo e Maria Teresa

Laurito;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale dei Parioli 74,

presso lo studio dell’avvocato Francesco Piselli, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 508/2017 del Tribunale di Castrovillari,

depositata il 12/09/2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27 giugno 2019 dal Consigliere Dott. D’Arrigo

Cosimo.

Fatto

RITENUTO

A.V. ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso due pignoramenti immobiliari riuniti, deducendo l’omessa notifica degli atti. Nel corso del giudizio proponeva querela di falso avverso la relata di notificazione del 23 settembre 1991, relativa al primo dei pignoramenti.

Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Castrovillari rigettava l’opposizione, con condanna dell’ A. alle spese di lite, rilevando che la querela di falso era stata proposta da un difensore sprovvisto di idonea procura speciale.

Avverso tale decisione l’ A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Italfondiario s.p.a., quale procuratrice della Castello Finance s.r.l., cessionaria del credito, ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata.

Il ricorrente, con plurimi motivi, in sostanza si duole della circostanza che il Tribunale abbia ritenuto che il suo difensore fosse sprovvisto di procura speciale, senza tenere tuttavia in conto che detta procura accedeva ad una dichiarazione depositata in udienza, tale da non lasciare adito a dubbi sul fatto che la procura fosse stata rilasciata proprio per la presentazione della querela di falso di cui si faceva riferimento in quella dichiarazione.

Il ricorso è inammissibile.

Anzitutto va evidenziato un profilo di carenza di interesse ad agire.

La querela di falso era finalizzata a denunciare la nullità della notificazione dell’atto di pignoramento e, dunque, la nullità dello stesso. La giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, è saldamente orientata nel ritenere che la proposizione dell’opposizione determina la sanatoria del vizio di notificazione dell’atto di pignoramento.

Infatti, la cui funzione del pignoramento è – ex latere debitoris – quella di rendere edotto l’esecutato dell’avvio del processo espropriativo. La proposizione dell’opposizione, in quanto indice della conoscenza dell’esecuzione iniziata, dimostra l’avvenuto raggiungimento dello scopo cui era preordinata la notificazione e comporta, quindi, la sanatoria della sua nullità, in applicazione dell’art. 156 c.p.c., u.c. (Sez. 3, Sentenza n. 19498 del 23/08/2013, Rv. 627585 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24527 del 02/10/2008, Rv. 604734 – 01).

Nè, d’altro canto, può dirsi che la notificazione fosse, anzichè nulla, radicalmente inesistente, talchè della stessa dovesse escludersene la sanabilità. Infatti, l’inesistenza di una notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Sez. U, Sentenza n. 149 del 20/07/2016, Rv. 640603 – 01). Orbene, il ricorrente non avrebbe convincentemente dimostrato che l’ipotetico accoglimento della querela di falso avrebbe condotto all’accertamento di una delle stringenti condizioni nelle quali la notifica si sarebbe potuta dire inesistente. Quindi resta fermo il rilievo che l’ A., avendo sanato l’eventuale vizio di notifica mediante la proposizione dell’opposizione, non aveva un interesse sostanziale a proporre la querela di falso.

In ogni caso, a prescindere dal superiore rilievo, va evidenziato che il Tribunale ha rigettato la richiesta di ammissione della querela di falso con una doppia argomentazione. Unitamente a quella specificatamente impugnata dal ricorrente, il giudice di merito richiama anche le ragioni già esposte nell’ordinanza del 7 ottobre 2010 (così dovendosi intendere l’espressione “a prescindere da quanto rilevato dal Tribunale nel provvedimento del 07.10.2014”, di cui a pag. 4 della sentenza impugnata). Il contenuto di quell’ordinanza è riportato a pag. 3 della sentenza (“Con ordinanza depositata in data 07.10.2014. il Tribunale, rilevata l’omessa specificazione, nella procura speciale conferita dall’opponente al proprio difensore, del documento da impugnare, ha dichiarato l’inammissibilità della menzionata querela di falso”).

Dunque, il Tribunale ha basato la propria decisione, da un lato, sul difetto di una Vera e propria procura speciale alla proposizione della querela di falso; dall’altro, sulla mancata esatta indicazione dell’oggetto della querela medesima.

Questa seconda ratio decidendi non risulta specificatamente impugnata.

L’omessa impugnazione di uno dei due percorsi argomentativi rende inammissibile il ricorso, astrattamente inidoneo a condurre alla cassazione della sentenza impugnata. Si tratta, infatti, di rationes decidendi tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione.

Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata. Si caratterizza, invece, come un rimedio impugnatorio a critica vincolata e a cognizione perimetrata nell’ambito dei vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017 Rv. 645076; Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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