Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33463 del 27/12/2018
Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 27/12/2018), n.33463
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27276-2011 proposto da:
G.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI
SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MORICONI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DELLO RUSSO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARLETTA ANDRIA TRANI
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 70/2011 della COMM. TRIB. REG. della
Lombardia, depositata il 18 aprile 2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
28 giugno 2018 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.
Fatto
RITENUTO
che:
G.V. impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Agenzia, per l’anno 2004, gli attribuiva maggiori redditi per l’importo di Euro 65.894, sulla base dell’accertamento in capo alla società G.A. Srl, della quale il ricorrente era stato socio, con conseguente ritenuta distribuzione dello stesso ai membri della compagine sociale.
Il ricorrente contestava davanti alla CTP di Bari il conseguimento di maggior reddito distribuito dalla società, affermando di esserne stato socio solo per un periodo limitato e di avere ritratto i propri redditi solo dallo svolgimento di un’attività autonoma esercitata in proprio per oltre trent’anni.
La CTP rigettava il ricorso e la CTR rigettava l’appello proposto dallo stesso contribuente, sulla base della rilevata definitività dell’accertamento relativo alla società, mai impugnato.
Contro tale ultima sentenza ricorre il contribuente sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia del giudice di secondo grado sulla eccepita nullità dell’impugnato avviso di rettifica, per difetto di legittimazione passiva del ricorrente e/o per inesistenza giuridica della notifica.
Rileva di avere dedotto nel primo motivo di appello la nullità della notifica dell’avviso al proprio domicilio, atteso che egli aveva cessato la qualità di socio della G.A. Srl fin dal 2005 e non era quindi tenuto ad adempiere debiti tributari della stessa.
Il motivo è infondato.
Lo stesso ricorrente riporta che l’accertamento si riferisce al 2004, anno in cui egli era socio della società, atteso che egli stesso afferma di avere ceduto le quote nel 2005; la notifica si riferiva, quindi, ad un atto relativo ad un anno di imposta per il quale sussisteva pienamente la legittimazione tributaria passiva in relazione ai fatti di causa.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 2727 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea applicazione delle norme in materia di presunzione.
La CTR ha infatti giustificato la presunzione di distribuzione del maggior reddito societario sul presupposto che si trattasse di società a ristretta base, ed ha applicato una doppia presunzione, in quanto la presunzione di distribuzione ai soci si fonda, a sua volta, sulla presunzione del conseguimento di maggior utile societario, in violazione del divieto del “praesumptio de praesunto”.
Il motivo è infondato.
E’ giurisprudenza costante di questa Corte quella per cui:
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. (Sez. V, n. 24534 del 2017, Rv. 645914 – 01)
Nello stesso senso Sez. VI-5, ord. n. 18032 del 2013, Rv. 628447 e 628448, Sez. V., n. 18640 del 2008, Rv. 605332.
La stessa sentenza citata dal ricorrente nel suo ricorso (Sez. prima, n. 1412 del 1997, Rv. 502450) in realtà non fornisce elementi a sostegno della tesi da questi sostenuta, affermando che:
In tema di accertamento tributario, il giudice non può legittimamente considerare noto un fatto contenuto in un diverso accertamento e da questo fatto risalire a quello ignorato della esistenza di un maggior reddito, senza prima avere verificato se l’atto in questione è divenuto definitivo per mancata impugnazione o per rigetto del ricorso del contribuente con sentenza non più impugnabile, solo in tal caso acquistando il contenuto dell’atto impositivo summenzionato il carattere della certezza.
Essa sostiene, quindi, che la doppia presunzione opera solo se l’atto presupposto non è divenuto definitivo, ma, nella specie, il motivo su cui la CTR fonda le proprie conclusioni è proprio il fatto, non contestato, che l’accertamento nei confronti della società era divenuto definitivo.
A ben vedere, poi, tale ragionamento logico non è in ogni caso in violazione del divieto di doppia presunzione.
E’, infatti, un principio elaborato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui:
nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale;
che, pertanto, ove, come nella specie, si versi dinanzi ad una società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, attesa la mancanza – trattandosi di utili occulti – di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti (Cassazione n. 7564 del 2003). (Sez. V, n. 21415 del 2007, citata dalla CTR nella sentenza impugnata; nello stesso senso Sez. V, n. 7174 del 2002)
In conclusione, la presunzione di distribuzione ai soci è del tutto legittima, e lascia comunque spazio alla prova contraria, nella specie non fornita.
Il principio affermato dalla CTR appare dunque corretto.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente e si liquidano in Euro 2.000.
PQM
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 2.000.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018