Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33460 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 17/12/2019), n.33460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14814-2018 proposto da:

P.V., PE.GI., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato TERROSI PAOLA;

– ricorrenti –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

NETO BERNARDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 434/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SABATO

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Gianni Pezzuolo e Vanna Pellegrini hanno convenuto Marsilio Massoni innanzi al tribunale di Montepulciano che, con sentenza n. 207 del 2009, ha regolato il confine tra i fondi delle parti in Montepulciano, località le Caggiole, affermandolo giacente alla base della scarpata.

2. Con sentenza n. 434 del 208, depositata il 21.2.2018, la corte d’appello di Firenze ha accolto l’impugnazione di M.M. e, per l’effetto, ha dichiarato collocato il confine sul limite superiore della scarpata.

3. A sostegno della decisione, la corte d’appello ha – per quanto rileva – considerato che, quanto al confine nel secondo tratto, dovesse essere “conferito rilievo significante alle particolarità del territorio, quali l’acclività e la natura scoscesa del terreno, nella individuazione del reale confine tra i fondi finitimi; non poteva essere preso in considerazione il confine catastale…”.

4. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i signori Pe. e P. su due motivi (benchè indicati sotto una intestazione “I motivo”). Ha resistito con controricorso il signor M..

5. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha invece – considerate le memorie che entrambe le parti hanno depositato memorie`, in vista dell’adunanza camerate – ritenuto inammissibile il ricorso come in appresso.

Considerato che:

1. Con un primo motivo si deduce una violazione dei principi giurisprudenziali (da identificarsi in quelli applicativi dell’art. 950 c.c.) che impongono al giudice di attenersi al criterio per cui, in tema di azione di regolamento di confini, per l’individuazione della linea di separazione fra fondi limitrofi la base primaria dell’indagine debba essere costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà; solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sul confine rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione, giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ivi comprese le risultanze delle mappe catastali.

2. Con un secondo motivo, non separatamente evidenziato ma enunciato con una rubrica consecutiva a quello del primo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere il giudice del merito disatteso, con la sentenza impugnata, omettendo la motivazione, il predetto obbligo di dare evidenza al contenuto degli atti di acquisto e al tipo di frazionamento come indicati in c.t.u.

3. I due motivi sono inammissibili per le ragioni di cui in appresso, ciò che assorbe le questioni, parimenti di inammissibilità, sollevate nella memoria della parte controricorrente.

3.1. Al riguardo, va richiamato che:

– il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;

– tale diverso vizio nel presente procedimento avrebbe potuto essere declinato ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che ha limitato il controllo di legittimità sulla motivazione al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici; la censura secondo la giurisprudenza di questa corte presuppone che l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, principale o secondario, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza della semplice “insufficienza” o della “contraddittorietà” della motivazione, e fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Ciò posto in ordine alla limitazione al minimo costituzionale del controllo della motivazione attraverso il parametro delromesso esame”, va detto e ciò rende rilevante l’excursus operato – che la giurisprudenza ha specificato che la possibilità di sollevare le doglianze precluse, rispetto al precedente testo del n. 5, neppure sopravvive come ipotesi di nullità della sentenza in relazione a presunte violazioni di norme processuali in tema di motivazione delle sentenze (cfr. Cassi, sez. U., 07/04/2014 n. 8053; Cass. n. 08/10/2014 n. 21257 e 06/07/2015n. 13928), doglianze invece fatte valere nel presente procedimento con il secondo motivo quale asserita violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione (essendo invece, per quanto si dirà, presente idonea motivazione).

3.2. Ciò posto, nel caso di specie, quanto alle censure fondate su presunto error in iudicando, nessuna erronea applicazione della legge – nel senso dianzi chiarito relativo alle fattispecie astratte – la parte ricorrente ha posto in luce nell’ambito del mezzo di ricorso. La corte d’appello, lungi dal violare alcuna norma in tema di confini ha ritenuto soltanto, in via fattuale, che, quanto al confine nel secondo tratto, dovesse essere “conferito rilievo significante alle particolarità del territorio, quali l’acclività e la natura scoscesa del terreno, nella individuazione del reale confine tra i fondi finitimi; non poteva essere preso in considerazione il confine catastale…”. In nessun modo, così motivando, la corte d’appello si è posta contro i principi applicativi dell’art. 950 c.c. (cfr. Cass. n. 21686 del 09/10/2006 e n. 23720 del 15/11/2007; e recentemente ad es. n. 876 del 16/01/2018). La corte d’appello, come si evince dal riferimento, alla p. 5 della sentenza, per la parte del terreno a monte, agli “atti d’acquisto” considerati parimenti dal c.t.u., non ha negletto in alcun modo le risultanze di detti atti, essendosi indotta soltanto, per il tratto a valle, ad attribuire minore importanza al confine catastale rispetto alla natura scoscesa del terreno, rappresentando il ciglio della scarpata il naturale luogo ove si potesse arrestare il potere dominicale (cfr. pp. 5 e 6). Trattasi di accertamento di merito, eventualmente anche non condivisibile in fatto, ma non sindacabile in sede di legittimità, in quanto da un lato rispettoso (quantomeno in astratto) dei criteri di cui all’art. 950 c.c. che pongono le risultanze catastali come mero criterio sussidiario, dall’altro sorretto dall’esame dei fatti, dunque non omesso, all’interno di idonea motivazione (cfr. in appresso).

3.3. Quanto poi ai vizi di motivazione (anche in correlazione alle norme in tema di prova), dedotti con il secondo motivo, si censura non essere stati esaminati alcuni elementi fattuali, di cui la parte ricorrente auspica la valorizzazione. Le censure, in quanto travalicanti rispetto ai limiti dell'”omesso esame”, sono dunque inammissibili, essendo stato il fatto storico esaminato, pur se non dando rilievo a fonti di convincimento invocate da una parte.

3.4. In altri termini, sotto la veste di censure per violazione di legge e vizi processuali afferenti la motivazione, la parte ricorrente ha sottoposto a questa corte – in luogo che errores in iudicando o pretermissioni motivazionali riferite a specifici fatti storici decisivi istanze di riesame degli apprezzamenti di merito del materiale probatorio, non esigibili in sede di legittimità.

4. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

la corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.500 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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