Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33454 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 17/12/2019), n.33454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9648-2018 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA

243, presso lo studio dell’avvocato COPPOLA MARIO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

ANTONIO PLANA 4, presso lo studio dell’avvocato PANINI GABRIELE

MARIA, rappresentata e difesa dall’avvocato RETUCCI LUIGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SABATO

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. R.M. ha convenuto innanzi al tribunale di Lecce R.C. lamentando la realizzazione di opere illegittime da parte di quest’ultima nella costruzione della sua casa di abitazione in Marina di Andrano su fondo limitrofo a suolo edificatorio dell’attrice, proprietà che ha chiesto di dichiararsi esente da servitù.

2. Con sentenza depositata il 6.5.2014 il tribunale di Lecce ha accolto l’azione negatoria, accogliendo altresì le domande di condanna all’arretramento del muro perimetrale a m. 2 dal confine ovest, alla rimozione delle opere sconfinanti, al rilascio del tratto di fondo scoperto retrostante l’abitazione della convenuta, al distacco dal pozzo nero su cui ha dichiarato l’inesistenza di diritti della convenuta, nonchè al prosciugamento della cisterna per la sua quota della metà.

3. Con sentenza depositata il 23.1.2018 la corte d’appello di Lecce ha rigettato l’impugnazione di R.C., cui in corso di giudizio è subentrata l’erede A.A..

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.C. su due motivi. Ha resistito con controricorso A.A..

5. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha come segue condiviso la medesima proposta del relatore.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso contiene censura per violazione dell’art. 345 c.p.c. Con il mezzo, dopo aver censurato la ratio decidendi fondata sulla presunta inammissibilità di argomentazioni fondate su c.t.p. depositata in appello (p. 4, ult. paragr., della sentenza), la ricorrente lamenta come erronea anche l’altra ratio (p. 5, terzo paragr.) di “infondatezza” del motivo d’appello, basata sulla correttezza delle risultanze della c.t.u.

1.1. Il motivo, considerato nella sua integralità e nelle singole argomentazioni, è inammissibile.

1.2. Esso si appunta sulle considerazioni contenute, come detto, alle pp. 4 e 5 della sentenza impugnata, con cui i giudici d’appello, nel rigettare il primo motivo di gravame (con il quale si era lamentato essersi la sentenza di primo grado basata sulle sole risultanze della c.t.u., trascurando la c.t.p. della convenuta), hanno “in primo luogo” osservato che “le… doglianze (sono state) proposte per la prima volta in sede di gravame, posto che per la prima volta in questa sede il c.t.p…. ha depositato una propria relazione, confutando le misurazioni compiute dal perito d’ufficio, alle cui operazioni ha preso parte… senza sollevare alcuna censura”, avversando anzi “il difensore… la richiesta di chiarimenti invocata dalla controparte”; in “secondo luogo” hanno “evidenziat(o) l’infondatezza” della tesi dell’appellante, “per avere il perito d’ufficio individuato lo sconfinamento… all’esito di un procedimento eseguito a mezzo di sofisticata strumentazione… sulla scorta degli atti di provenienza e dell’allegato frazionamento”.

1.3. Trattandosi, come detto, di due diverse e concorrenti rationes decidendi, deve rilevarsi come la seconda – con cui i giudici d’appello hanno ritenuto resistere la confinazione accertata dal c.t.u. alle critiche mosse dal c.t.p., a prescindere dall’ammissibilità o meno del deposito delle sue controdeduzioni per la prima volta in appello – sia attinta da argomentazioni, contenute nel motivo di ricorso per cassazione, che possono sintetizzarsi:

a) nell’avere errato il c.t.u. nel prendere in esame la sola dividente tra le particelle 1488 e 1487, e non anche le linee di confine del terzo lotto del frazionamento del 1982, dovendosi ipotizzare una traslazione di confini, che sarebbe confermata da differenze di superficie tra i lotti;

b) nell’essere l’incertezza dei confini corroborata dal fatto che in altro giudizio civile un diverso c.t.u. aveva accertato una diversa giacitura;

c) nell’essere il trasferimento di fondi avvenuto a corpo, come dichiarato dal redattore del tipo di frazionamento;

d) nell’essere certo il riferimento all’antica “pagliara”, trascurato dal c.t.u.;

e) nell’essere stati i moderni metodi utilizzati dal c.t.u. incongruenti rispetto a quelli usati nel 1982 per frazionare;

f) nell’essere gli edifici realizzati identici, ciò che concreterebbe un’ipotesi di errore scusabile.

1.4. Dall’esame delle ragioni fatte valere avverso la seconda ratio decidendi si evince che, come rilevato in controricorso, esse sostanziano censure di merito, inammissibili in sede di legittimità, in quanto volte non già a sollevare l’esistenza di vizi rilevanti ex art. 360 c.p.c., bensì a contrapporre alle risultanze della disamina probatorià già svolta dai giudici d’appello diverse risultanze auspicate invece dalla parte ricorrente. Resta dunque ferma, stante l’inammissibilità delle censure, la seconda ratio decidendi, con inammissibilità complessiva del motivo, senza che sia necessario esaminare in dettaglio l’impugnativa mossa circa l’altra ratio, concernente la produzione di relazione di c.t.p. in appello.

2. Con il secondo motivo si censura, per violazione dell’art. 2058 c.c., la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui si è affermato, confermandosi la decisione sul punto del tribunale, che non fosse applicabile il principio della risarcibilità per equivalente, essendo state esercitate azioni reali tendenti al ripristino.

2.1. Il motivo è inammissibile in quanto con esso, addirittura riconoscendosi l’inapplicabilità dell’art. 2058 c.c. ove sia stato fatto valere un diritto reale con tutela ripristinatoria, la parte ricorrente meramente adduce la buona fede nella realizzazione e l’onerosità della rimozione, senza alcuna argomentazione giuridica.

2.2. Il motivo, poi, non si confronta adeguatamente con la giurisprudenza – pur richiamata dalla sentenza impugnata – che impedisce l’applicazione dell’art. 2058 c.c. nella materia dei diritti reali, se non in presenza di richiesta del danneggiato (cfr. ad es. Cass. sez. U n. 10499 del 20/5/2016). Si è dunque in presenza della situazione ipotizzata dall’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (per cui, “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”, il ricorso per cassazione va dichiarato inammissibile, e non rigettato per manifesta infondatezza: cfr. Cass. sez. U a n. 7155 del 21/3/2017).

3. In definitiva il ricorso va dichiarato nel suo complesso inammissibile, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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