Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33449 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 13/06/2018, dep. 27/12/2018), n.33449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26245-2012 proposto da:

CASAMIA AGENZIA IMMOBILIARE DI C.R. & C. IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA

MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ANGELO

CABRAS, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 76/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata l’11/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Fatto

CONSIDERATO

che:

La Casamia Agenzia Immobiliare s.n.c. ed i soci D.R., Q.E. e R.C. hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 76/06/12, depositata 1’11.04.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. Hanno riferito che il contenzioso traeva origine dalla notifica di avvisi di accertamento alla società relativamente all’Iva e all’Irap per gli anni 1999 e 2000, ed ai suoi soci relativamente all’Irpef per l’anno 2000. Gli atti impositivi erano emessi a seguito di indagini bancarie eseguite D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, commi 2 e 7 (e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, commi 2 e 7) sui conti dei soci.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, riuniti i ricorsi, aveva accolto le doglianze dei ricorrenti in ordine alla riconducibilità ad operazioni economiche della società di movimentazioni bancarie riscontrate sui conti personali (sent. 316/36/2009), annullando sul punto gli atti impositivi. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, adita dalla Agenzia, aveva invece accolto l’appello, rigettando integralmente i ricorsi introduttivi.

Con l’unico motivo di ricorso avverso quest’ultima sentenza i contribuenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, 37 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente applicato in modo automatico i principi presuntivi evincibili dagli accertamenti bancari eseguiti in forza della normativa ai rapporti bancari di soggetti terzi quali i soci rispetto alla società.

Hanno chiesto pertanto la cassazione della sentenza.

Si è costituita l’Agenzia, che ha contestato le avverse difese, chiedendo il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata dalla società memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Diritto

RITENUTO

che:

I contribuenti hanno censurato l’argomentazione principale della sentenza, che di fatto avrebbe applicato l’automatismo presuntivo previsto dal D.P.R. n. 600 cit., art. 32 e dal D.P.R. n. 633 cit., art. 51, in relazione ai conti bancari non della società contribuente, ma di terzi, quali sono i soci. A tali conclusioni la sentenza perviene assumendo che la giurisprudenza prevalente è orientata in tal senso.

Il motivo è fondato.

Questa Corte, sia con riferimento a società di capitali, a ristretta base sociale, sia con riguardo a società di persone, ha reiteratamente riconosciuto la possibilità di accertare i maggiori redditi sociali mediante indagini bancarie eseguite sui conti personali dei soci. Nello specifico, in tema di accertamento del reddito d’impresa, si è infatti affermato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, e il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, e cioè allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (cfr. Cass., ord. 1898/2016 per l’ipotesi di conti correnti dell’amministratore e socio assoluto di maggioranza; sent. n. 8112/2016 con generale riferimento ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali della società, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di rispecchino operazioni aziendali; ord. n. 6595/2013, con riferimento persone a ristretta base sociale; in generale e ancora, tra le tante, 26829/2014; 20668/2014).

Nè tale potere di verifica e di riconduzione ad operazioni movimentazioni riscontrate sui conti correnti bancari personali viola il divieto della doppia presunzione (cd. divieto del praesumptum de praesumpto non admittitur), atteso che gli accertamenti fondati sulle risultanze emergenti dalla suddette indagini non riguardano la correlazione tra due presunzione semplici, ma tra una presunzione semplice (per la prova indiziaria della riconduzione dal conto personale al conto della contribuente) ed una presunzione legale (relativa alla riconduzione ad operazioni sociali occultate delle movimentazioni bancarie del conto o dei conti della contribuente; cfr. Cass., sent. n. 15003/2017; sent. n. 17953/2013).

Quello però che deve affermarsi, nel solco di una giurisprudenza pressochè costante, è che anche la riconducibilità delle movimentazioni bancarie dei soci alla società partecipata implica pur sempre una prova indiziaria, l’acquisizione cioè, anche mediante una presunzione semplice, della prova che il conto bancario del terzo, qual’è il socio, appartenga in realtà alla (società) contribuente medesima. Si è infatti reiteratamente affermato che nell’effettuazione di indagini bancarie valide ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’utilizzo dei movimenti effettuati sui conti correnti bancari dei soci implica che l’Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzioni, il carattere fittizio dell’intestazione o la riferibilità all’ente delle posizioni annotate sui conti medesimi (Cass., sent. n. 5849/2012; ord. n. 11145/2011; sent. 9760/2010; sent. n. 374/2009sent. n. 13819/2003).

Alla luce di quanto chiarito, occorre a questo punto verificare se la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi affermati.

Ebbene, nella motivazione si afferma che “Il Collegio visto il costante orientamento della Suprema Corte con molteplici sentenze…., ritiene fondato l’appello dell’Ufficio, considerando che in dette sentenze, viene attribuito all’ufficio la facoltà di presumere il rinvenimento di maggiori imponibili in capo alla società, partendo dalle movimentazioni bancarie dei soci, in quanto in tal caso opera inizialmente una presunzione semplice, consistente nella riconducibilità dei movimenti bancari del socio con quelli della società, e poi opera una presunzione di tipo legale di riconduzione di tali somme rilevate ai maggiori imponibili, ai fini delle imposte dirette e indirette, che in combinazione portano alla configurazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, che legittimano l’attività accertativa operata dall’ufficio”.

Al di là dello sforzo espositivo emerge l’affermazione di un principio in sè corretto ma del tutto privo di contenuto. La sentenza infatti non si preoccupa di identificare quale prova indiziaria, quali presunzioni semplici, l’Amministrazione abbia addotto per dimostrare che il conto bancario del socio fosse a questi solo fittiziamente intestato ma in realtà riconducibile alla compagine sociale (e in verità nulla sul punto viene riferito dalla stessa controricorrente). La conseguenza è che di fatto la riconduzione del conto del socio alla contribuente società viene operato automaticamente, con ciò violando il riparto dell’onere della prova e i principi sopra affermati. Andava invece individuato l’indizio, o gli indizi, di tale collegamento.

In conclusione il motivo di ricorso è fondato e trova accoglimento.

Considerato che:

la sentenza va pertanto cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che, in diversa composizione, alla luce del principio affermato, dovrà accertare la riconducibilità o meno alla compagine sociale dei conti intestati ai soci, oltre che liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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