Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33441 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 08/11/2019, dep. 17/12/2019), n.33441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Presidente –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24655-2016 proposto da:

C.S.R., S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA ARIOLI;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO PARCO LOMBARDO VALLE DEL TICINO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

TRASTEVERE 173, presso lo studio dell’avvocato MARIA PIA IONATA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE MANTELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2603/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2019 dal Consigliere LOMBARDO LUIGI GIOVANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.A., C.S.R. ed altri (nella qualità di proprietari e locatori di un terreno agricolo sito nel Parco Lombardo della Valle del Ticino, da essi locato alla società CCPL Inerti s.p.a., impresa esercente nel settore dell’estrazione di inerti) proposero opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Parco Lombardo della Valle del Ticino ebbe a comminare loro sanzione amministrativa pecuniaria con l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, per violazioni urbanistiche, ambientali e paesaggistiche relative all’attività di estrazione svolta su terreno agricolo, mutandone di fatto la destinazione d’uso con l’istallazione su di essi di un impianto di selezione e deposito di inerti.

2. – Il Tribunale di Voghera, in parziale accoglimento dell’opposizione, rideterminò l’importo della sanzione amministrativa dovuta, con sentenza che fu confermata dalla Corte di Appello di Milano.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono S.A. e C.S.R. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso il Parco Lombardo della Valle del Ticino. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi, che vanno trattati congiuntamente essendo strettamente connessi tra loro, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto sussistente l’elemento soggettivo dell’illecito ed escluso l’esimente della buona fede e dell’affidamento incolpevole.

In particolare, si lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto di quanto deciso dalla medesima Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 4596 del 2013, pronunciata in un caso analogo (primo motivo); non abbia considerato l’affidamento che i proprietari avevano posto sulla esistenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività (secondo motivo); abbia, infine, omesso di esaminare il parere favorevole espresso dal Parco del Ticino in data 15/12/1997 e l’attività di fatto esercitata dalla CCPL Inerti s.p.a. da parecchi decenni (terzo motivo).

I motivi vanno dichiarati inammissibili.

Inammissibile è il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, per palese travisamento dei principi di diritto dettati da questa Corte nella materia (ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 24523 del 05/10/2018), in quanto nessun vincolo di giudicato può derivare, nè alcun argomento può essere tratto, dalla sentenza della Corte di Appello di Milano n. 4596 del 2013, sia perchè trattasi di pronuncia non definitiva, sia perchè trattasi di sentenza pronunciata tra parti diverse ed avente ad oggetto terreni diversi da quello oggetto del presente giudizio.

In ogni caso, poi, va rilevato che quella sentenza è ormai venuta meno dal mondo giuridico, per essere stata cassata da questa Suprema Corte con sentenza n. 18274 del 2017, che ha disposto il rinvio alla Corte territoriale per un nuovo esame.

Inammissibile è il terzo motivo (omesso esame di fatto decisivo): sia perchè trattasi di censura nuova, della quale non v’è traccia nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti hanno indicato se e dove abbiano proposto apposito motivo di gravame (per tale onere, Cass., Sez. 2, n. 8206 del 22/04/2016); sia perchè il documento richiamato (parere favorevole dal parco del Ticino in data 15/12/1997) risulta non decisivo nella presente controversia, attenendo esso a concessione demaniale e non all’area privata oggetto della presente causa; sia, infine, perchè l’attività di fatto esercitata dalla CCPL Inerti s.p.a. in terreni diversi da quello degli opponenti è del tutto ininfluente ai fini del decidere.

Quanto al secondo motivo è necessario richiamare i principi di diritto che reggono la materia.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di sanzioni amministrative, la L. n. 689 del 1981, art. 3, pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass., Sez. 1, n. 2406 del 08/02/2016); in particolare, il giudizio di colpevolezza è ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, con limitazione dell’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suitas” della condotta inosservante, per cui, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., Sez. Un., n. 20930 del 30/09/2009; Cass., Sez. 1, n. 4114 del 02/03/2016).

In questo quadro, l’errore di diritto sulla liceità della condotta, correntemente indicato come “buona fede”, può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa (al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni) solo quando esso risulti “inevitabile”, occorrendo a tal fine, da un lato, che sussistano elementi positivi, estranei all’autore dell’infrazione, che siano idonei ad ingenerare in lui la convinzione della liceità della sua condotta e, dall’altro, che l’autore dell’infrazione abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva. Grava sull’autore dell’infrazione l’onere della prova della sussistenza dei suddetti elementi, necessari per poter ritenere la sua buona fede (in questo senso, Cass., Sez. 6 – 2, n. 19759 del 02/10/2015, che, in tema di abusiva occupazione di un tratturo demaniale, nel cassare sul punto la sentenza impugnata, ha ritenuto che la rilevabilità, anche solo attraverso le mappe, dell’intersezione fra il percorso del tratturo ed il fondo dell’intimato escludesse la configurabilità di un errore sulla liceità del fatto; conf.: Sez. L, n. 16320 del 12/07/2010; Sez. 5, n. 23019 del 30/10/2009; Sez. 2, n. 20866 del 29/09/2009).

L’inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, poi, deve essere apprezzata, dal giudice di merito, alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alle sue qualità professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (Cass., Sez. 6 – 2, n. 18471 del 01/09/2014; Sez. 2, n. 10621 del 03/05/2010; Sez. 2, n. 19995 del 18/07/2008).

La Corte milanese ha fatto corretta applicazione di tali principi (sottolineando peraltro come gli attori-opponenti avessero essi stessi autorizzato, in seno al contratto di locazione, l’uso diverso da quello agricolo), rispetto ai quali i ricorrenti non offrono argomenti per mutare orientamento giurisprudenziale. Dunque, il motivo, già di per sè inammissibile per difetto di specificità, è comunque inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

2. – Col quarto motivo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si deduce ancora la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per avere la Corte di Appello escluso che l’illecito si fosse estinto per prescrizione, omettendo di considerare che l’attività della CCPL nelle aree limitrofe era iniziata fin dal 1983.

Anche questa doglianza è inammissibile.

Esattamente la Corte territoriale ha considerato che la consumazione dell’illecito è iniziata il 20/11/2005 (giorno di stipula del contratto di locazione e, quindi, di inizio del relativo rapporto giuridico); pertanto, il verbale di accertamento in data 26/4/2006 è intervenuto tempestivamente, prima della maturazione del termine quinquennale di prescrizione. Nè va trascurata la natura permanente dell’illecito, la cui commissione non è istantanea, ma perdura nel tempo.

Il riferimento del ricorrente alla condotta della CCPL in aree diverse da quella oggetto dell’illecito è del tutto illogico e privo di rilievo giuridico.

3. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

4. – Avuto riguardo alla palese inammissibilità e alla manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale dei ricorrenti è connotata da colpa grave ed integra un abuso del processo (secondo la nozione enucleata da Cass., Sez. Un., n. 22405 del 13/09/2018; v. anche Cass., Sez. 1, n. 29462 del 15/11/2018; Sez. 3, n. 10327 del 30/04/2018; Sez. 3, n. 19285 del 29/09/2016), per il quale va comminata la sanzione di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis, mediante condanna dei medesimi al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte.

5. – Parte ricorrente è tenuta anche a versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, dell’ulteriore somma di Euro 2000,00 (duemila), ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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