Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3344 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. I, 05/02/2019, (ud. 16/01/2019, dep. 05/02/2019), n.3344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1476/2017 proposto da:

W.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Brunacci n.1,

presso lo studio dell’avvocato Guaitoli Fabio Massimo che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefettura Ufficio Territoriale del Governo di Milano, in persona del

Prefetto pro tempore, Questura di Milano, in persona del Questore

pro tempore, domiciliati in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato. che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

contro

Ministero Dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato. che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del GIUDICE DI PACE di MILANO, del 23/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/01/2019 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Giudice di Pace di Milano, con provvedimento depositato il 23 novembre 2016, ha respinto il ricorso proposto da W.S., cittadino cinese, avverso il decreto, emesso dal Prefetto di Milano, di espulsione, con obbligo di lasciare il territorio dello Stato a mezzo di forza pubblica, rilevando che, “pur tenuto conto dei gravi motivi di famiglia”, il ricorrente non aveva provato l’esistenza di un contratto di lavoro in essere ed era stata respinta l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, scaduto nel 2011, per carenza di un’occupazione lavorativa; ad avviso del Giudice di Pace era poi irrilevante la pendenza di un procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni, in seguito alle denunce presentate nei confronti della madre della figlia minore del ricorrente, anche valutati i precedenti penali (per sfruttamento della prostituzione ed associazione a delinquere) a carico del ricorrente.

Avverso il suddetto provvedimento, W.S. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di Prefettura di Milano, Questura di Milano e Ministero dell’Interno (che resistono con controricorso). Il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’impegno della di lui sorella, titolare di una ditta individuale, all’assunzione lavorativa, nonchè dall’insussistenza di un rischio di fuga, atteso che il medesimo, in possesso di passaporto cinese valido, alloggia a Milano, in regime di detenzione domiciliare, in appartamento condotto in locazione, ed aveva richiesto al Tribunale per i minorenni di Milano, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3 di continuare a restare in Italia, per prendersi cura della figlia minorenne, nata nel (OMISSIS), abbandonata dalla madre naturale; 2) con il secondo motivo, la falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3 in considerazione della Direttiva n. 115/08/CE, avendo erroneamente il Giudice di Pace ritenuto irrilevante, anche ai fini della sospensione dell’esecutività del provvedimento di espulsione, la pendenza di due procedimenti, avviati dal ricorrente, dinnanzi al Tribunale per i Minorenni, a tutela della minore, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3 ed ex art. 330 c.c., oltre che di un procedimento penale per abbandono della minore (nel quale il ricorrente è parte offesa); 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3 in considerazione dell’art. 8 della CEDU, nonchè la violazione dell’art. 8 della CEDU, anche in relazione agli artt. 10 e 19 della Convenzione di New York, L. n. 176 del 1991, riguardo alla violazione del proprio diritto alla vita privata e familiare; 4) con il quarto motivo, la nullità del provvedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, lett. 4, non avendo il Giudice di pace motivato in alcun modo in ordine all’interesse primario di salvaguardia dell’unità familiare ed ai fatti dedotti in relazione alla tutela della minore.

2. La prima censura è inammissibile, essendo volta a reintrodurre una, non consentita in questa sede, rivalutazione dei fatti accertati nel merito.

Invero, il Giudice di Pace ha motivato sulla sussistenza dei presupposti dell’espulsione, ritenendo decisiva e sufficiente la circostanza relativa alla mancanza di un permesso di soggiorno, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) (secondo il quale, l’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero “si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo”) ed alla carenza di un’occupazione lavorativa del ricorrente.

3. Il secondo motivo è, del pari, infondato, atteso che, di per sè, la pendenza dei procedimenti dinanzi al Tribunale per i minorenni ovvero l’essere parte offesa in relazione ad un procedimento penale, non erano ostativi al provvedimento espulsivo.

Nè peraltro vengono dedotti profili di competenza (cfr. Cass. 18622/2018; Cass. 14849/2010).

4. Risulta invece fondato il quarto motivo, con assorbimento del terzo.

Invero, a fronte della lamentata lesione del diritto alla coesione familiare (avendo il ricorrente dedotto di avere una figlia minore), il Giudice di Pace si è limitato a fare generico richiamo ai precedenti penali del medesimo, con una motivazione, all’evidenza, del tutto apparente.

Ora, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 29 prevede, nel testo vigente ratione temporis: “1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: a) coniuge non legalmente separato; b) figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) genitori a carico; d) parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al lavoro secondo la legislazione italiana. 2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli. 3. Salvo che si tratti di rifugiato, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità: a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero, nel caso di un figlio di età inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, del consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; b) di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente”. L’art. 30 successivo disciplina il permesso di soggiorno per motivi famigliari.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 30 (Espulsione amministrativa), al comma 2 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 2,comma 1, lett. c), n. 1 prevede: “2-bis. Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lett. a) e b), nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

L’art. 19 (Divieto di espulsione e di respingimento), al comma 2, prevede poi il divieto di espulsione, salvo che nei casi previsti dall’art. 13, comma 1 (espulsione disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato), nei confronti (c) “degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana”.

Ora, questa Corte (Cass. 3004/2016) ha ritenuto che il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero avente figli minori che si trovano nel territorio italiano, anche ove questi abbia omesso di chiedere, nei termini di legge, al tribunale per i minorenni il rinnovo dell’autorizzazione al soggiorno per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico degli stessi, tenuto conto della loro età e delle loro condizioni di salute, è illegittimo, per violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 e art. 31, comma 3, ove non contenga alcun riferimento alle ragioni per cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare.

Inoltre, questa Corte (Cass.17070/2018) ha osservato che, sempre in materia di divieto di espulsione per ragioni di coesione familiare, è onere dell’autorità amministrativa e, successivamente, dell’autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, esplicitare in concreto le ragioni dell’attuale pericolosità sociale del richiedente il permesso di soggiorno, che siano tali da giustificare il rigetto dell’istanza.

Questa Corte, da ultimo, poi, in recente sentenza, n. 781/2019, si è pronunciata sulla clausola di coesione familiare in funzione impeditiva dell’espulsione dello straniero, rilevando che, a seguito della sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale ed in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, si applica – con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorchè non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare. Tuttavia, in caso di mancato esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, i legami familiari dello straniero nel territorio dello Stato, per consentire l’applicazione della tutela rafforzata di cui al citato comma 2 bis, devono essere soggettivamente qualificati ed effettivi e il giudice di merito è tenuto a darne conto adeguatamente, sulla base di vari elementi, quali l’esistenza di un rapporto di coniugio e la durata del matrimonio, la nascita di figli e la loro età, la convivenza, la dipendenza economica dei figli maggiorenni e dei genitori, le difficoltà che essi rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione, altri fattori che testimonino l’effettività di una vita familiare. In mancanza di “legami familiari” qualificati nel senso anzidetto, non è possibile ricorrere ai criteri suppletivi della durata del soggiorno, dell’integrazione sociale nel territorio nazionale e dei legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine.

Il Giudice di Pace non ha, nel provvedimento impugnato, in alcun modo motivato sulla decisiva e rilevante questione dell’esistenza di qualificati ed effettivi legami famigliari dello straniero, in particolare con la figlia minore.

3. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del quarto motivo del ricorso, assorbito il terzo e respinti i primi due motivi, va cassato il provvedimento impugnato, con rinvio al Giudice di Pace di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame sulla questione della natura e rilevanza dei legami famigliari. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, assorbito il terzo e respinti i primi due motivi, cassa il provvedimento impugnato, con rinvio al Giudice di Pace di Milano, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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