Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33439 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 07/11/2019, dep. 17/12/2019), n.33439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25472-2015 proposto da:

T.M.L., M.R.E., elettivamente domiciliate

in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 102, presso lo studio dell’avvocato ITALO

ROMAGNOLI, rappresentate e difese dall’avvocato STEFANO PARLATI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PARIOLI 67, presso lo studio dell’avvocato FABIO D’ANIELLO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3026/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sgroi Carmelo, il quale ha concluso per l’accoglimento del secondo e

del terzo motivo di ricorso, l’assorbimento del quarto motivo e il

rigetto del primo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.R.E. e T.M.L. propongono ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 3026/2015 resa dalla Corte d’appello di Napoli in data 2 luglio 2015.

Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS). Con citazione del 5 dicembre 2003, M.R.E. e T.M.L., rispettivamente proprietaria ed usufruttuaria di appartamento strutturato su due livelli compreso nel Condominio via (OMISSIS), convennero quest’ultimo per conseguire il risarcimento dei danni subiti a causa di infiltrazioni di acqua provenienti dal lastrico di copertura. Il Condominio dedusse che le terrazze in oggetto erano di proprietà di M.R.E., sicchè a questa doveva attribuirsi la responsabilità per le lamentate infiltrazioni. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 25 giugno 2008, accolse le domande risarcitorie in danno del convenuto Condominio, stante il ritardo nell’esecuzione dei lavori di riparazione della guaina delle terrazze. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 3026/2015 del 2 luglio 2015, respinse, poi, l’impugnazione incidentale avanzata da M.R.E. e T.M.L., circa l’importo dei danni accordati dal primo giudice, mentre, quanto al gravame avanzato dal Condominio (OMISSIS), rigettò i motivi inerenti alla responsabilità di questo per l’omessa manutenzione delle terrazze, ma ritenne errato il risarcimento di Euro 20.000,00 disposto dal Tribunale in favore della usufruttuaria dell’appartamento sottostante T.M.L., per il mancato godimento di due stanze interessate dalle infiltrazioni. Ad avviso della Corte d’appello, il vantato “danno da mancato godimento del cespite”, che il Tribunale aveva riconosciuto, era invece rimasto sprovvisto di prova, avendo la signora T. continuato a godere dell’appartamento, come risultante dalla espletata CTU e dalle esibite riproduzioni fotografiche. In subordine, i giudici di appello considerarono che, anche ove fosse stata dimostrata la mancata utilizzazione delle due stanze, essa non poteva essere foriera di un danno patrimoniale risarcibile, nè ricorrevano le condizioni dettate da Cass. sez. un. 11 novembre 2008, n. 26972, per risarcire un danno non patrimoniale correlato al disagio sofferto ed alla compromissione della vita quotidiana.

Le ricorrenti hanno presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va in via pregiudiziale disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, il quale rileva l’eccessiva lunghezza dell’atto di impugnazione. E’ vero che il ricorso, nella narrazione del “fatto vicenda processuale” contenuta da pagina 8 a pagina 22, eccede rispetto all’esigenza di strumentalità logica tra il requisito formale dell’esposizione dei fatti di causa, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ed il contenuto dei motivi per i quali si chiede la cassazione, intrattenendosi su tutte le vicende della lite, e non soltanto su quei “fatti” che siano necessari a rendere intellegibili le singole censure poste di seguito, le quali formano il thema decidendum del giudizio di legittimità. Tuttavia, a fronte delle rimostranze del controricorrente, deve osservarsi che la particolare ampiezza della parte espositiva delle vicende di causa, dovuta anche alla pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali, pur collidendo con l’esigenza di chiarezza e sinteticità dettata dall’obiettivo di un processo celere, non trasgredisce da alcuna prescrizione formale di ammissibilità (cfr. Cass. Sez. 2, 04/07/2012, n. 11199), e supera il vaglio di cui all’art. 366 c.p.c., visto che la giustapposizione dei ritagli degli atti processuali delle pregresse fasi di merito è accompagnata da una sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione delle questioni dedotte (cfr. Cass. Sez. U, 24/02/2014 n. 4324).

1. Il primo motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. denuncia l’errata applicazione dell’art. 342 c.p.c.. La censura riporta dapprima la trascrizione del terzo motivo dell’appello incidentale di M.R.E. e T.M.L. sulla condanna risarcitoria ad Euro 20.000,00, quindi la trascrizione del relativo punto della sentenza di primo grado, e conclude che la precisione della decisione del Tribunale impugnata avrebbe imposto una maggiore specificità del motivo di appello.

1.1. Il primo motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. è infondato. Col terzo motivo dell’appello incidentale di M.R.E. e T.M.L. veniva impugnata la condanna al risarcimento dei danni determinati in Euro 20.000,00 dal Tribunale, affermandosi che era rimasta senza prova la circostanza del mancato godimento della piccola porzione dell’appartamento interessato dalle infiltrazioni, e che comunque l’entità del pregiudizio andava contenuta nei limiti della superficie coinvolta e dei brevi tempi occorsi per le riparazioni necessarie. Al riguardo, il Tribunale di Napoli aveva esposto in sentenza che i fatti dedotti a sostegno ella domanda erano stati confermati dai testi escussi ed accertati “soprattutto” a mezzo della CTU e dell’accertamento tecnico preventivo espletati, avendo l’ausiliare stimato nel 30% il danno da “mancato godimento del cespite”, e tenuto conto del valore locativo dell’immobile, nonchè della circostanza che la signora T. aveva continuato a dimorare nell’appartamento.

Trovando nella specie applicazione ratione temporis il testo dell’art. 342 c.p.c., anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, occorre ribadire che, non essendo l’appello limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il requisito della specificità dei motivi dettato dall’indicata disposizione postula unicamente l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, le quali possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure (ad esempio, Cass. Sez. U, 25/11/2008, n. 280579). In tal senso, il terzo motivo dell’appello incidentale indicava sufficientemente i punti della sentenza del Tribunale oggetto di impugnazione ed esponeva, seppure in forma succinta, le ragioni per cui veniva chiesta la riforma della pronuncia di condanna al risarcimento resa primo grado. Nè le ricorrenti (le quali in sostanza evidenziano che il ragionamento del primo giudice fosse immune da vizi e che la sentenza della Corte di Napoli abbia invece risolto la questione in modo giuridicamente non corretto) possono addurre come violazione dell’art. 342 c.p.c., le loro doglianze piuttosto attinenti alla fondatezza dell’appello incidentale di M.R.E. e T.M.L., le quali devono essere fatte valere con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Il secondo motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. denuncia l’omesso esame di un fatto, quanto all’assunto della Corte d’appello che le infiltrazioni avessero interessato solo due stanze dell’appartamento, evidenziandosi che gli elaborati dei consulenti tecnici avessero, al contrario, descritto danni all’intero immobile delle ricorrenti (468 metri di superficie di pareti ammalorate), versante in “pessime condizioni locative”, dal che la conclusione della diminuzione di abitabilità dell’alloggio quantificata in un 30% dalla CTU.

Il terzo motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. allega la “insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti controversi e decisivi per il giudizio”. Questo motivo si sofferma su una diffusa critica della sentenza impugnata quanto alla tollerabilità della lesione, alla ritenuta futilità del danno, alla riduzione della possibilità d’uso dell’immobile, richiamando le deposizioni di tre testimoni.

2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, rivelandosi, oltre che connotati da profili di inammissibilità, anche infondati. Questa Corte ha ormai chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). E’ dunque estranea al vigente parametro dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la denuncia di insufficienza e contraddittorietà della motivazione, rimanendo piuttosto scrutinabile, agli effetti dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ovvero la “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, tuttavia, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).

Le censure non denotano nemmeno una specifica e completa riferibilità agli argomenti decisori su cui la Corte di Napoli ha fondato la propria decisione reiettiva della pretesa di risarcimento del “danno da mancato godimento del cespite”, concludendo che lo stesso era rimasto indimostrato, visto che le infiltrazioni avevano riguardato solo due stanze, peraltro senza renderle inutilizzabili e quindi senza pregiudicare l’abitabilità del ben più ampio appartamento. Inoltre, la sentenza impugnata sostenne che, pur ove fosse da reputarsi provata la mancata utilizzabilità delle due stanze, essa non avrebbe comportato il risarcimento di alcun danno patrimoniale, nè di alcun danno non patrimoniale correlato al disagio ed alla compromissione della vita quotidiana.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. non consistono nè nella denuncia di una violazione o falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errore nel giudizio di diritto (e cioè per la negazione o il fraintendimento di una norma astratta di legge esistente o per l’affermazione di una norma astratta di legge non esistente), nè rappresentano un errore nel giudizio su un determinato fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico. Con le due censure in esame le ricorrenti auspicano, piuttosto, che la Corte di Cassazione proceda motu proprio ad un complessivo riesame delle risultanze istruttorie costituite dalle prove per testimoni e dalle risultanze degli elaborati peritali, in maniera da far desumere alla medesima Corte in via inferenziale, mediante un diretto e rinnovato studio del materiale di causa, una diversa conclusione circa la sussistenza di un pregiudizio correlato al “mancato godimento” dell’appartamento. Secondo e terzo motivo deducono che i danni causati dalle infiltrazioni erano diffusi nell’intero appartamento, la cui abitabilità era perciò diminuita del 30% secondo le stime del CTU, sicchè il danno non era da considerarsi futile.

Ora, certamente la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o, come nel caso in esame, di usufrutto di un immobile, che siano causate dall’altrui fatto dannoso (nella specie, infiltrazione di acqua proveniente da terrazze di copertura dell’edificio condominiale) sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (cosiddetto danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio. In ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario o dell’usufruttuario il relativo onere probatorio, che può essere assolto altresì mediante presunzioni semplici, il giudice può fare ricorso anche ai parametri del cosiddetto danno figurativo, trattandosi di casa di abitazione, come quello del valore locativo della parte dell’immobile del cui godimento il proprietario è stato privato (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 27/07/1988, n. 4779).

Anche, tuttavia, a voler convenire sulla necessità dogmatica di ampliare il catalogo dei diritti inviolabili che consentono la risarcibilità dei danni non patrimoniali, includendovi pure il diritto di proprietà, in nome di un’interpretazione (non solo) costituzionalmente e (quindi anche) comunitariamente orientata (ex art. 117 Cost., in relazione all’art. 1, Protocollo n. 1, CEDU), e perciò nell’ambito di una rinnovata visione dell’art. 2059 c.c., che attribuisca rilevanza, ai fini dell’ingiustizia del pregiudizio arrecato dal terzo, alla relazione di strumentalità tra il bene leso e le utilità potenzialmente realizzatrici di interessi fondamentali della persona, resta onere dell’attore l’allegazione del fatto produttivo del danno-evento alla cosa di proprietà, che possa essere posto a base del ragionamento deduttivo da accertare in giudizio.

L’attrice T.M.L. ha, invece, limitato gli elementi di fatto e le ragioni di diritto poste a fondamento della sua pretesa risarcitoria, come delle conseguenti censure articolate in sede di legittimità, alla mera “riduzione della possibilità d’uso dell’immobile… in ragione del disagio… patito per fatto ascrivibile al Condominio”.

Nel caso in esame, la Corte d’appello di Napoli, ha, come visto, negato il risarcimento della usufruttuaria per il mancato godimento dell’immobile stante l’assenza di prova proprio del fatto produttivo del danno-evento, necessariamente correlato alla situazione di concreta ed effettiva indisponibilità del bene, così applicando il corretto principio secondo il quale la liquidazione equitativa del danno, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., richiede comunque che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità. La valutazione del fatto produttivo del danno, consistente nella impossibilità di utilizzare in tutto o in parte l’appartamento a causa dell’illecito attribuito al Condominio (OMISSIS), ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., spettava certamente al giudice del merito, e non è qui sindacabile, come propongono secondo e terzo motivo di ricorso, contrapponendo soluzioni logico-deduttive alternative rispetto a quella adottata nella sentenza impugnata, nel senso di desumere dalla consistenza delle infiltrazioni una diversa conclusione circa l’effettivo stato di agibilità dell’immobile.

Esula, altresì, dal contenuto specifico delle censure delle ricorrenti, come detto non consistenti nella denuncia di una violazione o falsa applicazione di norme di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il profilo della configurabilità di un danno non patrimoniale conseguente all’illecito per lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonchè tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (cfr. Cass. Sez. U, 01/02/2017, n. 2611).

3. Il quarto motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. è rubricato “governo delle spese”, criticando la statuizione della Corte di Napoli che, nel liquidare le spese di entrambi i gradi, ha compensato le stesse per un terzo, in ragione del parziale accoglimento del gravame del Condominio, del rigetto dell’appello incidentale, come del rigetto della domanda delle condomine di risarcimento del danno per il mancato godimento dell’immobile, condannando per la frazione residua proprio le attrici a rimborsare la controparte. Ad avviso delle ricorrenti, la sentenza impugnata avrebbe trascurato che le domande di M.R.E. erano state in realtà interamente accolte, mentre le domande di T.M.L. erano state respinte solo per un capo. Evidenzia la censura come il Tribunale avesse riconosciuto la responsabilità del Condominio per la causazione delle infiltrazioni e condannato lo stesso anche alla somma risarcitoria di Euro 8.200,00, statuizioni confermate dai giudici di appello.

3.1. Il quarto motivo del ricorso di M.R.E. e T.M.L. è fondato nei limiti di seguito indicati.

La Corte di Napoli ha riaffermato in motivazione il corretto principio secondo cui il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale. La decisione finale di porre solidalmente a carico di M.R.E. e T.M.L. due terzi delle spese è stata perciò assunta in relazione al disposto dell’art. 91 c.p.c., evidenziando il parziale accoglimento dell’appello principale, nonchè il rigetto dell’appello incidentale e della domanda di risarcimento danni per mancato godimento dell’immobile. In sostanza, la reciproca parziale soccombenza delle parti, secondo la sentenza impugnata, avrebbe giustificato la compensazione parziale delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2), nonchè la condanna in solido per il residuo di M.R.E. e T.M.L., avendo la Corte d’appello individuato costoro quali parti parzialmente e preponderantemente soccombenti e, per converso, il Condominio quale parte parzialmente vincitrice.

Ora, secondo costante orientamento giurisprudenziale, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149; Cass. Sez. 2, 20/12/2017, n. 30592).

Occorre tuttavia affermare che, qualora, come nella specie, più soggetti danneggiati da uno stesso fatto illecito propongano nel medesimo processo contro lo stesso convenuto, con unico atto di citazione, autonome domande connesse per l’oggetto o per il titolo, si verifica un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo per cumulo soggettivo ex parte actoris (art. 103 c.p.c., comma 1), il quale comporta l’inserimento in un solo giudizio di cause distinte, ancorchè legate alla soluzione di identiche questioni. Ne consegue che, ove siano accolte le domande di uno degli attori (nella specie, quella di M.R.E. per il risarcimento dei danni subiti dall’immobile) e rigettate quelle di altro attore (nella specie, quella di T.M.L. per la ridotta possibilità di uso dell’immobile), non si verifica, nei rapporti col convenuto, la situazione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione tra le parti delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2), sottendendo questa una pluralità di pretese contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti.

D’altro canto, anche la condanna solidale alle spese sulla base di un interesse comune, ex art. 97 c.p.c., nella specie disposta dalla Corte d’appello nei confronti di M.R.E. e T.M.L., suppone comunque che “le parti soccombenti siano più”, e non può perciò disporsi a carico della parte che, pur avendo mostrato convergenti atteggiamenti difensivi con altra parte, in tutto o in parte soccombente, abbia però visto accogliere tutte le proprie domande o eccezioni.

4. Il quarto motivo di ricorso deve dunque essere accolto, mentre devono rigettarsi i primi tre motivi. Va cassata la sentenza impugnata, nei limiti della censura accolta, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, la quale procederà alla regolamentazione fra le parti delle spese dei gradi pregressi uniformandosi all’enunciato principio, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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