Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33438 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 07/11/2019, dep. 17/12/2019), n.33438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11907-2015 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARLO FELICE

103 C/0 STUDIO LEGALE BERCHICCI/, presso lo studio dell’avvocato

GIAN LUCA CORLEONE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.M., P.C., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO BONOTTO,

che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA MATTIOLI;

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO CIROTTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO IGOR CURALLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 294/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 17/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Corleone, Cirotti e Mattioli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.P. ha presentato ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 294/2015, depositata il 17 febbraio 2015.

Resistono con distinti controricorsi P.M. e P.C., nonchè P.G..

Con citazione del 9 febbraio 2007 P.G. convenne innanzi al Tribunale di Asti i fratelli P., C. e P.M., nonchè la madre P.I. (quest’ultima poi deceduta nel (OMISSIS)), chiedendo la divisione dei beni del lotto B attribuito dalla Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1037/1998 passata in giudicato, agli eredi di P.L.. Tale sentenza era stata resa con riguardo alla domanda avanzata nel 1976 da P.A., sorella del già defunto P.L., per determinare le quote dell’eredità di P.G. senior. L’attore P.G., con la citazione del 9 febbraio 2007, chiese altresì la determinazione delle spese necessarie per la riparazione urgente del tetto di uno degli immobili caduti in successione e da porsi a carico di ciascun coerede, nonchè la condanna di P.P. al rimborso della quota da lui dovuta con riguardo alle spese anticipate dallo stesso attore in favore della massa. Il Tribunale di Asti con sentenza del 23 gennaio 2012: 1) rigettò le eccezioni di P.P. in ordine alla consistenza dell’eredità discendente dal nonno P.G. senior, come suddivisa nei lotti A e B, assegnati rispettivamente ad P.A. e agli eredi di P.L. dalla sentenza n. 1037/1998; 2) individuò i beni compresi nell’asse, disponendo di procedersi alla vendita degli immobili specificatamente individuati; 3) accertò le quote di spettanza nelle misure di 1/2 per P.P. e di 1/6 per P., M. e P.C..

La sentenza 23 gennaio 2012 del Tribunale di Asti, impugnata da P.P., è stata confermata dalla sentenza n. 294/2015 del 17 febbraio 2015 della Corte d’Appello di Torino. I giudici di secondo grado ritennero inammissibile per genericità il motivo di appello volto a riproporre tutte le istanze, anche istruttorie, formulate davanti al Tribunale; aggiunsero poi che l’asse ereditario appartenente a P.G. senior era già stato specificatamente individuato nella sentenza, passata in giudicato, della Corte di Appello di Torino n. 1037/1998, relativa alla precedente controversia intercorsa tra P.A., figlia del de cuius, e gli eredi di P.L., parti del presente giudizio; quanto all’indivisibilità dell’asse ereditario, la Corte di Torino ritenne inammissibile la censura, atteso che l’appellante P.P. si era limitato a definire “risibili” le conclusioni rese dal c.t.u., senza individuare una concreta soluzione alternativa; circa la determinazione delle quote spettanti a ciascun coerede, la Corte di Appello evidenziò che la stessa era stata compiuta con espressa statuizione, non oggetto di impugnazione, già nella sentenza del 23 dicembre 1988 resa dal Tribunale di Asti, la quale aveva provveduto alla formazione dei due lotti da attribuire agli eredi di P.G. senior, A. e P.L., ovvero agli eredi di quest’ultimo nelle rispettive quote. Venne altresì respinto il quinto motivo di appello attinente alla regolamentazione delle spese processuali, essendo lo stesso, secondo la prospettazione dell’appellante, fondato sulla riforma parziale dell’impugnata sentenza in punto di individuazione dei beni facenti parte della successione di P.G. senjor.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., per l’udienza pubblica del 20 dicembre 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, deve rigettarsi l’istanza di riunione, avanzata dal ricorrente P.P., tra il presente giudizio e quello anch’esso pendente innanzi alla Corte di Cassazione, contraddistinto come R.G. 25157/2017 ed avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza 1583/2017 della Corte d’Appello di Torino, trattandosi di ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, di cui l’uno (R.G. 25157/2017) ha ad oggetto anche la divisione del patrimonio ereditario di P.G. senior, operata tra l’erede P.A. e i discendenti, subentranti per rappresentazione, dell’altro erede premorto P.L., mentre l’altro giudizio (R.G. 11907/2015) ha ad oggetto la divisione della relativa porzione all’interno della stirpe di P.L.. La riunione richiesta, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l’economia ed il minor costo dei due giudizi, nè favorirebbe la loro ragionevole durata.

I. Con il primo motivo di ricorso P.P. lamenta la violazione dell’art. 553 e ss. c.c., art. 2909 c.c., e dell’art. 39 c.p.c., comma 2, nonchè il mancato esame di un punto decisivo della controversia e “l’insufficiente motivazione circa un fatto decisivo”. La Corte di Appello di Torino, nell’impugnata sentenza n. 294/2015, avrebbe violato il giudicato formatosi tra le parti oggi in causa, a seguito delle sentenze 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti, 10 maggio 2005 della Corte di Appello di Torino e n. 9360/2012 del 15 maggio 2012 della Corte di Cassazione, sentenze che, nel dichiarare P.P. illegittimamente pretermesso nel testamento olografo di P.L., riconobbero che dovessero essere ricompresi nell’asse ereditario anche l’immobile di (OMISSIS), e l’azienda di bottaio di cui alla scrittura privata del 1963 prodotta dal convenuto G.. Il ricorrente osserva come l’accoglimento della domanda di riduzione promossa da P.A. e culminata nella sentenza n. 1037/1998 della stessa Corte di Appello di Torino avrebbe tratto origine dalla sola esigenza di determinare la quota di legittima della stessa attrice con riguardo alla eredità del padre P.G. senior, senza produrre alcun effetto reale sui beni invece compresi nel patrimonio del fratello P.L. e perciò nell’eredità di quest’ultimo. La Corte di Torino avrebbe, perciò, errato nell’accogliere la domanda di divisione dei beni ricadenti nel lotto B), di cui alla propria precedente sentenza n. 1037/98, essendo tale lotto di natura fittizia, giacchè formato al solo fine di determinare la quota di legittima assegnata ad P.A..

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 467 e 587 c.c., relativamente alla determinazione delle quote ereditarie facenti parte della successione di P.G. senjor, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si ha riguardo al contenuto della sentenza del 23 dicembre 1988 del Tribunale di Asti, che stabilì la formazione dei due lotti da attribuire agli eredi di P.G. senior, A. e P.L., ovvero agli eredi di quest’ultimo, poi oggetto anche della sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1037/1998, con cui i due lotti A) e B) vennero assegnati ad P.A. e agli eredi di P.L.. Deduce il ricorrente che nella sentenza del 23 dicembre 1988 il Tribunale di Asti affermò che in quel giudizio non si sarebbe potuto procedere alla divisione del lotto B), giacchè la stessa divisione andava effettuata nel distinto procedimento contraddistinto come R.G. n. 623/74, concernente l’eredità relitta da P.L.; tale statuizione sarebbe stata confermata dalla sentenza n. 1037/1998 della Corte di Torino, passata in giudicato. Così, il secondo motivo di ricorso di P.P. sostiene che la suddivisione dell’asse ereditario di P.G. senjor dovesse attribuire 1/4 a ciascun erede ( G. junior, P., C. e M., subentrati per rappresentazione al padre L., istituito erede universale di G. senjor), sulla base del complesso delle disposizioni contenute nel testamento olografo del 6 ottobre 1972 e nei due testamenti pubblici del 12 maggio 1955 e del 6 ottobre 1972, tutti redatti da P.G. senjor e ritenuti validi dal Tribunale di Asti con sentenza del 17 novembre 1980.

1.1. I primi due motivi del ricorso di P.P. possono essere esaminati congiuntamente, giacchè connessi, e si rivelano, oltre che connotati da profili di inammissibilità, comunque infondati.

Trovando applicazione il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. Nè il denunciato vizio può nella specie dar luogo ad una ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c., in quanto la pronuncia della Corte d’Appello di Torino contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

Il ricorso, inoltre, invoca l’effetto del giudicato esterno contenuto nella sentenza n. 40/2003 del Tribunale di Asti, con riferimento alla illegittima pretermissione di P.P. dal testamento di P.L. del 5 marzo 1971 ed alla inefficacia di due atti dispositivi (l’atto pubblico notaio K. del 5 febbraio 1967 e la scrittura privata 1 gennaio 1963) conseguente all’azione di riduzione proposta dal medesimo P.P. il 10-11 settembre 1974, azione che avrebbe comportato il recupero dei beni oggetto di detti atti dispositivi nel patrimonio ereditario di P.L.; il ricorrente allega altresì la coincidenza tra i beni contemplati nella sentenza n. 40/2003 del Tribunale di Asti e quelli coinvolti nel presente giudizio, trascrivendo due righi della “bozza preliminare della relazione di consulenza tecnica di ufficio” redatta nel primo grado del presente giudizio. Del contenuto di tale congerie di atti e documenti difetta, tuttavia, una specifica indicazione, come prescritta ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in maniera da consentire a questa Corte, al fine di valutare la fondatezza dei motivi, le indagini e gli accertamenti necessari, anche di fatto, non potendo richiedersi in sede di legittimità un accesso diretto alle risultanze documentali di causa e una loro rinnovata delibazione.

Il presente giudizio, in ogni modo, attiene allo scioglimento della porzione dell’eredità di P.G. senior attribuita per effetto di successione per rappresentazione alla stirpe di P.L., nonchè ai rimborsi delle spese sostenute da P.G. junior per alcune cose della comunione ereditaria di P.L.. Tale giudizio è intercorso tra l’attore P.G., i fratelli P., C. e P.M., e la madre P.I.. L’oggetto della porzione della successione per rappresentazione è stato determinato, nella citazione del 9 febbraio 2007 di P.G. junior, avendo riguardo soltanto al “lotto B” attribuito ai medesimi eredi di P.L. dalla sentenza n. 1037/1998 della Corte di Appello di Torino, passata in giudicato. Quest’ultima sentenza definì la causa introdotta il 5/20 agosto 1976 da P.A., sorella del defunto P.L., la quale, dando atto di rinunciare alle disposizioni testamentarie fatte dal padre, P.G. senior, e di voler ottenere la sola quota prevista ex lege a suo favore, chiese di dichiarare la nullità delle disposizioni contenute nei testamenti di P.G. senior (testamento pubblico del 12 maggio 1955, con il quale veniva costituito, tra l’altro, l’usufrutto a favore di M.C., moglie del testatore, premorta allo stesso; testamento pubblico del 6 ottobre 1972, con cui veniva costituito anche un prelegato a favore del nipote P.G.; testamento olografo pubblicato il 25 ottobre 1976, con cui veniva costituito l’usufrutto generale a favore della nuora P.I., vedova di P.L.). P.A. domandò, altresì, di dichiarare la simulazione dell’atto di compravendita del 12 novembre 1956, concretante, in realtà, una donazione del padre G. a favore del figlio L., nonchè di condannare i coeredi P., M., C., G. e P.I. a conferire i beni loro pervenuti in qualità di eredi di P.L., ai fini della determinazione dell’eredità di P.G. senior e della divisione pro quota tra gli aventi diritto. L’adito Tribunale di Asti, con sentenza n. 388/1980, decise su alcune delle domande avanzate da P.A., la quale, proposto gravame innanzi la Corte d’Appello di Torino, ottenne dalla stessa, con sentenza n. 305/1983, la determinazione della quota del patrimonio del padre P.G. senior a lei spettante. Con altra sentenza non definitiva del 23 dicembre 1988 il Tribunale di Asti deliberò la formazione dei due lotti da attribuire agli eredi di P.G. senior, A. e P.L., ovvero agli eredi di quest’ultimo. Proposto ulteriore gravame, la Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1037/1998, passata in giudicato, provvide alla formazione di due lotti A) e B), assegnandoli, come detto, rispettivamente ad P.A. e agli eredi di P.L..

La sentenza del 23 gennaio 2012, resa in primo grado dal Tribunale di Asti in questo procedimento, conseguente alla domanda di divisione di P.G. del 9 febbraio 2007, ha rigettato le eccezioni di P.P. in ordine alla consistenza dell’eredità discendente del nonno P.G. senior, come suddivisa nei lotti A e B, assegnati dalla sentenza n. 1037/1998; ha conseguentemente individuato i beni compresi nell’asse; ha accertato le quote nelle misure di 1/2 per P.P. e di 1/6 per P., M. e P.C.. La sentenza n. 294/2015 del 7 febbraio 2015 della Corte d’Appello di Torino, qui impugnata, ha ulteriormente ribadito che il patrimonio ereditario appartenente a P.G. senior era già individuato nella sentenza, passata in giudicato, della Corte di Appello di Torino n. 1037/1998.

Ora, il ricorrente P.P., nei suoi primi due motivi di ricorso, deduce che sia errato il presupposto fattuale di partenza, posto a base della domanda di divisione di P.G. junior e della stessa sentenza della Corte di Torino, qui impugnata, secondo cui la massa ereditaria del de cuius P.L. dovesse determinarsi alla stregua del giudicato contenuto nella sentenza n. 1037/1998, resa nel contraddittorio tra P.A. e gli eredi tutti del medesimo P.L., opponendosi a tale conclusione la portata della sentenza del 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti, la quale, nel dichiarare P.P. illegittimamente pretermesso nel testamento olografo di P.L., aveva disposto che venissero ricompresi nell’asse ereditario proveniente da quest’ultimo anche l’immobile di (OMISSIS), di cui al rogito 5 febbraio 1967, e l’azienda di bottaio di cui alla scrittura privata del 1 gennaio 1963 prodotta dal convenuto P.G.. Questa statuizione non era stata riformata dalla sentenza n. 769/2005 del 10 maggio 2005 della Corte di Appello di Torino, per poi passare a sua volta in giudicato in seguito alla sentenza n. 9360/2012 del 15 maggio 2012 della Corte di cassazione, la quale rigettò il ricorso di P.P.. In particolare, quest’ultimo giudicato discenderebbe dalla citazione notificata nel settembre del 1974 da P.P., figlio del primo matrimonio di P.L., deceduto in (OMISSIS), che aveva disposto delle proprie sostanze con testamento olografo del 5 marzo 1971, istituendo erede universale il figlio P.G., nato dal secondo matrimonio con P.I.. Nella citazione del 1974, P.P. aveva dedotto la simulazione della vendita dal de cuius P.L. a P.G., con atto notarile del (OMISSIS), di un appezzamento di terreno sito nella frazione Poggio di Asti, da collazionare all’asse ereditario, nonchè richiesto la collazione di tutti i beni donati in vita dal medesimo de cuius, ed in particolare del valore dell’azienda di bottaio e segheria trasmessa gratuitamente al figlio P.G.. Quel giudizio (e perciò anche il giudicato invocato, contenuto nella sentenza 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti) intercorse tra P.P., P.G., P.I., P.M. e P.C.. Il Tribunale di Asti, con sentenza del 2003, dichiarò compresi nell’asse ereditario, oltre agli immobili indicati nell’atto di citazione, anche quello oggetto dell’atto di vendita simulato e l’azienda di bottaio.

Non risulta, allora, per quanto dei fatti di causa sia stata data sufficiente specificazione dal ricorrente, che sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, il cui conflitto debba essere risolto facendo riferimento al criterio temporale.

La sentenza 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti, da ultimo culminata nella sentenza n. 9360/2012 del 15 maggio 2012 della Corte di Cassazione, ha dato risposta all’azione, proposta da P.P. nel settembre 1974, di riduzione della disposizione testamentaria di P.L., nonchè di divisione della communio incidens determinata dall’accoglimento della domanda di reintegrazione e dall’adempimento dell’obbligo di collazione (correlata all’accertamento della natura simulata del rispettivo atto dispositivo).

La sentenza 3 ottobre 1998, n. 1037/1998, della Corte di Appello di Torino, viceversa, diede risposta alla domanda introdotta nell’agosto 1976 da P.A., sorella di P.L., nei confronti dei discendenti di questo, per lo scioglimento della comunione di P.G. senior, deceduto il (OMISSIS), nonchè per la declaratoria di simulazione della compravendita del 12 novembre 1956 concretante, in realtà, una donazione – intercorsa tra il padre G. ed il figlio L.. Dapprima il Tribunale di Asti, con sentenza del 23 dicembre 1988, e poi la Corte d’Appello, con la sentenza n. 1037/1998, provvidero alla formazione dei due lotti A) e B) da attribuire agli eredi di P.G. senior, A. e P.L., ovvero ai discendenti di quest’ultimo subentrati per rappresentazione.

Non ha alcun rilievo, al fine di giustificare la cassazione dell’impugnata sentenza, la questione che il ricorrente pone col suo primo motivo circa la natura personale, e non reale, dell’azione di riduzione, essendo questa unicamente diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e perciò da proporre non contro chi al momento sia titolare del bene, che fu legato o donato, ma esclusivamente contro gli eredi, l’legatari o i donatari. Ciò che qui assume carattere decisivo è che, come già spiegato, la sentenza n. 1037/1998, della Corte di Appello di Torino, statuendo sulla domanda di P.A., definì, in modo divenuto irretrattabile, la consistenza dell’intero patrimonio del de cuius P.G. senior, nonchè, una volta eseguita la stima, i beni specificamente compresi nella porzione assegnata ai fratelli P. per rappresentazione del padre L..

La sentenza 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti non può quindi considerarsi contraria (e perciò prevalente, secondo il criterio cronologico) all’altra sentenza 3 ottobre 1998, n. 1037/1998, della Corte di Appello di Torino, in quanto tra i due giudizi non vi era identità di soggetti e di oggetto, nè alcuna ontologica e strutturale concordanza di elementi.

Come da questa Corte già chiarito in precedenti pronunce, le cui interpretazioni vanno ribadite, per il combinato disposto degli artt. 469 e 726 c.c., la divisione ereditaria, quando vi è rappresentazione (quel che nella specie avvenne per la divisione del patrimonio ereditario di P.G. senior, intercorrente tra l’erede P.A. e i discendenti, subentranti per rappresentazione, dell’altro erede premorto P.L.),avviene per stirpi, procedendosi alla formazione di tante porzioni, una volta eseguita la stima, quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti, mentre non è prevista l’ulteriore formazione di altrettante subporzioni all’interno di ciascuna stirpe, sempre che non si formi al riguardo un accordo fra tutti i partecipanti, non potendo i restanti condividenti essere tenuti a subire le remore e le spese di una suddivisione interna alla stirpe cui non appartengono e che quindi non li interessa in alcun modo (così Cass. Sez. 2, 29/10/1992, n. 11762; Cass. Sez. 2, 07/09/1977, n. 3894; Cass. Sez. 2, 09/03/1970, n. 604).

Il giudizio in esame, iniziato con l’autonoma citazione di P.G. junior del 9 febbraio 2007, è stato volto ad ottenere, per quanto esposto dallo stesso ricorrente P.P., la divisione del lotto B, quota dell’eredità di P.G. senior costituita in base alla sentenza della Corte di Appello di Torino nella sentenza n. 1037/1998 in favore dei discendenti di P.L. (restando attribuito ad P.A. il lotto A), nonchè i rimborsi delle spese sostenute da P.G. junior per beni compresi nella comunione ereditaria di P.L..

Stabilito, del resto, con sentenza quali siano i beni da dividere e formate le porzioni quanti siano gli eredi o le stirpi condividenti, le statuizioni relative all’appartenenza alla massa di detti beni ed alla loro concreta attribuzione diventano irrevocabili ed irretrattabili a causa della mancata impugnazione.

Non può rappresentare motivo di censura della impugnata sentenza n. 294/2015 del 17 febbraio 2015 della Corte d’Appello di Torino la diversa estensione del patrimonio ereditario di P.L., che il ricorrente assume evincibile dalla sentenza 15 gennaio 2003 del Tribunale di Asti, in quanto, pur ove la domanda proposta da P.G. junior in data 9 febbraio 2007 abbia così dato luogo ad una divisione parziale, neppure risulta che P.P. abbia ampliato l’oggetto di questo giudizio con apposita domanda riconvenzionale (arg. da Cass. Sez. 2, 24/03/2016, n. 5869; Cass. Sez. 2, 12/01/2011, n. 573; Cass. Sez. 2, 05/09/1978, n. 4036). Identicamente, per quanto specificamente indicato in ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non risulta proposta nel giudizio in esame (conseguente alla domanda notificata da P.G. junior nel febbraio 2007) alcuna eccezione di litispendenza o di riunione obbligatoria ex art. 273 c.p.c., fondata sulla pendenza della domanda di divisione notificata nel settembre del 1974 da P.P..

Il principio riguardante la natura unitaria del giudizio di divisione va, invero, riferito alla comunione ereditaria che venga sciolta nei modi e nelle forme di legge, ma non si estende alle ipotesi di divisione di singoli beni ereditari, nelle quali non venga fatta alcuna questione che possa in qualsiasi modo incidere circa la divisione degli altri beni ereditari, e, in particolare, circa l’eventuale appartenenza ad alcune parti, od altro titolo diverso da quello ereditario, di taluni beni apparentemente rientranti nell’eredità. In tal caso ciascuna divisione, anche se collegata con la successiva, ha una propria autonomia processuale, mentre sul piano del diritto sostanziale, ai fini della efficacia preclusiva di eventuali giudicati, assume rilievo il contenuto delle domande espresso nel petitum effettivamente richiesto nei diversi giudizi (Cass. Sez. 2, 16/06/1972, n. 1902).

2. Con il terzo motivo di ricorso P.P. censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 718 c.c., in relazione alla affermata indivisibilità in natura dell’asse ereditario, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, in quanto la Corte di Appello di Torino avrebbe condiviso le conclusioni del CTU, gravando l’appellante di individuare una concreta soluzione alternativa, e così contraddicendo l’orientamento giurisprudenziale sul favor della divisione in natura in ipotesi di pluralità o di blocchi di beni immobili. Nè il CTU si sarebbe “sforzato” nel proporre un progetto di divisione eventualmente comportante l’esecuzione di opere edili di sistemazione delle singole porzioni.

2.1. Il terzo motivo di ricorso è innanzitutto inammissibile giacchè la Corte d’appello di Torino, a proposito del secondo motivo di appello di P.P. inerente proprio alla “ritenuta indivisibilità dell’asse ereditario”, aveva dichiarato lo stesso “inammissibile”, essendosi l’appellato limitato a “definire risibili le conclusioni sul punto rese dal CTU – e fatte proprie dal Tribunale – senza, tuttavia, declinare specificamente le ragioni di tale giudizio”, mancando nel gravame l’individuazione di una alternativa divisione dei beni, come anche una critica del ragionamento tecnico seguito dal perito. Avendo dunque il giudice d’appello dichiarato inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificità, la parte rimasta soccombente aveva comunque l’onere di impugnare per cassazione la relativa statuizione denunciando l’error in procedendo con riguardo all’art. 342 c.p.c., non potendo alternativamente far valere in sede di legittimità l’erroneità delle statuizioni di merito sul punto della decisione impugnata (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, 20/08/2019, n. 21514).

Il terzo motivo di ricorso è peraltro inammissibile anche in quanto allega il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, che esula dal vizio previsto dal vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134; e comunque la censura, con riferimento alla ipotizzata violazione e falsa applicazione dell’art. 718 c.c., si rivela priva di specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con l’indicata norma regolatrice della fattispecie.

E’ d’altro canto indubbio che, in tema di divisione giudiziale, l’indivisibilità o la disagevole divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto di ciascun partecipante alla comunione di conseguire la sua parte di beni in natura (ex art. 718 c.c.), può ritenersi legittimamente predicabile solo nell’ipotesi in cui singole unità immobiliari siano considerate indivisibili o non comodamente divisibili, non potendo la disciplina in tema di indivisibilità, di cui all’art. 720 c.c., trovare applicazione nella diversa ipotesi di una molteplicità di beni (Cass. Sez. 2, 29/11/2011, n. 25332). Nell’interpretazione di questa Corte si afferma tuttavia altresì che l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti, trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili e, cioè, allorchè, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (così, ad es., Cass. Sez. 2, 15/12/2016, n. 25888). La soluzione dell’attribuzione degli immobili ad uno dei coeredi avente diritto alla quota maggiore, in deroga al principio generale dell’art. 718 c.c., è dunque ispirata da criteri di opportunità e convenienza (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 20/03/2019, n. 7869; Cass. Sez. 2, 22/08/2018, n. 20961; Cass. Sez. 2, 19/05/2015, n. 10216). L’accertamento del requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., è perciò riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove il ricorrente deduca, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, l’omesso esame di un “fatto storico” di portata decisiva inerente all’aspetto strutturale del singolo bene, tale da giustificarne il frazionamento attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, nonchè idoneo a consentirne il mantenimento della pregressa funzionalità, senza alcun sensibile deprezzamento del valore delle singole porzioni apportate proporzionalmente al valore dell’intero (cfr. Cass. Sez. 2, 21/05/2003, n. 7961; Cass. Sez. 2, 07/02/2002, n. 1738).

3. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 978 e ss. c.c., in relazione alla liquidazione, a carico del ricorrente P.P., delle spese ordinarie sostenute da P.G. junior in favore della massa ereditaria, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio. Ad avviso del ricorrente, la CTU espletata avrebbe dimostrato che le spese anticipate da P.G. junior erano di natura ordinaria, e quindi non potevano spettare al nudo proprietario P.P., incombendo piuttosto sulla usufruttuaria generale dell’eredità P.I., quanto meno fino al decesso di quest’ultima.

3.1. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto prospetta una questione di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, senza che il ricorrente, come imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, indichi l’avvenuta deduzione di essa dinanzi al giudice di merito, nè lo specifico atto del giudizio precedente in cui ciò sia avvenuto, in maniera da consentire la verifica che la censura investa un punto già compreso nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20694).

Per di più, il quarto motivo allega una censura comunque astrattamente infondata in diritto, atteso che il credito del coerede per i miglioramenti e le addizioni eseguiti sui beni comuni, ricondotti all’intera massa per effetto dello stato di indivisione e perciò ricadenti nel compendio ereditario, va soggetto alla disciplina che regola i rapporti tra i partecipanti alla comunione, sicchè il coerede suddetto ha diritto di essere rimborsato delle spese sostenute per la cosa comune al momento della divisione e dell’attribuzione delle quote, ripartendole fra i vari condividenti, senza che perciò abbia rilievo che il bene comune sia stato oggetto medio tempore di diritto di usufrutto in favore di terzi, ormai estintosi per morte dell’usufruttuario all’epoca della pronuncia di scioglimento della comunione tra i proprietari.

Il quarto motivo di ricorso è, infine, inammissibile anche ove denuncia il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, per quanto già spiegato in relazione ai precedenti motivi.

4. Il ricorso va dunque rigettato e, secondo soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, in favore delle controricorrenti P.M. e P.C., nonchè del controricorrente P.G..

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alle controricorrenti P.M. e P.C. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; nonchè a rimborsare al controricorrente P.G. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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