Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33435 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26412-2015 proposto da:

P.L., P.P., in proprio e in qualità di eredi

di P.A. e F.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA VAL GARDENA 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO

GUIDI, rappresentati e difesi dall’avvocato ENRICO CARLO ADOLFO

PEREGO;

– ricorrenti e controricorrenti all’incidentale –

contro

PA.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE LIEGI 42,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè contro

P.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 802/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 08/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/10/2019 dal Consigliere ORICCHIO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Brescia, adita in riassunzione da Pa.Fr. originario attore, decideva con sentenza n. 802/2015 quale Giudice di rinvio in seguito alla cassazione, disposta con sentenza n. 14353/2013, di precedente decisione n. 426/08 della stessa Corte distrettuale che aveva, riformato la sentenza di primo grado del Tribunale di Mantova in data 14.6.2004.

Quest’ultimo Giudice di prima istanza aveva condannato gli odierni ricorrenti al rilascio delle porzioni del podere Olza, in atti individuate, in favore del Pa.Fr., escludendo la sussistenza di ogni favorevole usucapione a favore dei condannati in relazione alle medesime porzioni immobiliari. Viceversa, in sede di appello proposto dagli odierni ricorrenti, veniva disattesa la domanda del Pa.Fr. intesa ad ottenere il rilascio delle dette porzioni immobiliari a seguito dell’intervenuto e pregresso accertamento giudiziale (con altra sentenza della locale Corte di Appello n. 102/1997, passata in giudicato) della nullità del contratto col quale, in frode alla legge ed in violazione della esercitata prelazione, era stato venduto il medesimo immobile a danno dello stesso Pa.Fr..

A seguito del primo atto di appello degli odierni ricorrenti veniva -come detto – riformata la statuizione del Tribunale di prima istanza sul presupposto che era intervento l’acquisto per usucapione in danno del Pa.Fr. ritenendo testualmente “provato il potere di fatto ei P. e del loro dante causa ex art. 1141 ed onere del controinteressato provare che fosse iniziato come detenzione”.

La prima sentenza della Corte territoriale del 2008 veniva poi, come già esposto, cassata da questa Corte del 2013. Con l’ultima citata sentenza della Corte distrettuale del 2015, in conformità del precedente decisum di questa Corte del 2013, veniva -quindi- confermava integralmente la sentenza n. 76/2004 del Tribunale di Mantova.

Avverso la sentenza in sede di rinvio della Corte di Appello di Brescia hanno interposto ricorso, fondato su due ordini di motivi, P.L. e P..

Il ricorso e resistito con controricorso del Pa.Fr., che ha, altresì, proposto ricorso incidentale basato su un unico motivo.

Sia i ricorrenti che la parte controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo del ricorso viene denunciata la “violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 394 c.p.c.” con “conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

2. – Il secondo motivo è così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2943 c.c., in relazione agli artt. 1158 ss. c.c. e art. 2932 c.c.”.

3.- I due motivi possono essere trattati congiuntamente attesa la loro comune continuità espositiva e logica.

Essi tendono entrambi alla ridiscussione di questioni già svolte, affrontate e risolte.

Giova, in proposito, rammentare – preliminarmente, in breve- il nucleo essenziale della controversia già pervenuta all’esame di questa Corte.

L’odierno controricorrente Pa.Fr. ebbe ad agire, in origine del presente giudizio, per il rilascio di porzioni di terreno in atti individuato, nonchè i danni conseguenti. Tanto in virtù e per conseguenza di altra decisione (Corte di Appello di Brescia n. 102/1997), passata in giudicato, con la quale era stata dichiarata la nullità del contratto in data 1.5.1977 con cui tale P.D. aveva acquistato il predetto fondo in frode alla legge per violazione della prelazione esercitata dallo stesso odierno controricorrente Pa.Fr..

Al cospetto delle eccezioni mosse avverso la domanda da quest’ultimo in origine formulata e delle accennate prime due decisioni dei Giudici del merito, questa Corte -con l’anzidetta sentenza n. 14353//2013- ebbe ad affermare che la durata per più di venti anni del processo volto ad accertare la nullità di negozio in frode alla legge non poteva andare a detrimento del proprietario ope iudicis, già pretermesso nell’applicazione di prelazione ex lege, per effetto di una pretesa usucapione maturata nel lasso di tempo dovuto alla causa.

L’atto di riassunzione della causa, svolto dal Pa. dopo la detta decisione di legittimità del 2013, innanzi alla Corte territoriale ha, in effetti, ricalcato quanto disposto per effetto dell’accoglimento del terzo motivo del ricorso deciso come detto da questa Corte nel 2013.

Pertanto è del tutto pretestuoso ed infondato il primo motivo del ricorso allorchè adombra una presunta ma inesistente violazione delle norme sul giudizio di rinvio allorchè afferma che quest’ultimo “è notoriamente un giudizio chiuso nel quale non è ammessa la prospettazione di nuove tesi difensive”.

L’assoluta infondatezza di tale motivo emerge palese, anche per effetto della breve ricostruzione del nucleo essenziale della controversia, in considerazione che nello svolto giudizio di rinvio nulla di più o di nuovo è stato prospettato e trattato se non quello che già era stato oggetto della decisione di questa Corte nel 2013.

Per di più, così procedendo allo specifico esame del secondo motivo, è parimenti infondata la sollevata questione relativa alla paventata mancata interruzione, da parte del Pa., del possesso dei P. (argomento – questo – che, fra l’altro, avrebbe dovuto costituire motivo di ricorso incidentale nel precedente giudizio innanzi a questa Corte).

Il Pa., infatti, ebbe -in ogni caso e risolutivamente- a domandare, fin dall’origine del giudizio, il rilascio del fondo per cui è causa (già venduto con atto impugnato per nullità perchè in frode alla legge): tanto era ed è più che sufficiente al fine di ritenere interrotto l’altrui illegittimo possesso del bene.

Destituita di fondamento è anche la prospettazione degli odierni ricorrenti in ordine al fatto che il rilascio del terreno doveva essere richiesto in uno con domanda di nullità nel primo giudizio: il rilascio non poteva, infatti, che essere la conseguenza della svolta azione tesa all’accertamento della nullità, che -quale elemento prodromico proprio al fine del successivo rilascio- costituiva già in sè esercizio del diritto del prelazionario pretermesso e, quindi, interruzione dell’altrui usucapione.

Peraltro, ancora, nulla adduce di nuovo e rilevante il ricorso al fine di scalfire la correttezza -che qui va rilevata- della decisione in sede di rinvio, decisione che appare conforme al principio enunciato e qui ribadito da questa Corte, in particolare al fine di evitare quella “mancata equiparazione della posizione del promissario acquirente al titolare del diritto che – oltre ad urtare con una interpretazione giustamente estensiva della norma- finirebbe per determinare il risultato paradossale di penalizzare chi agisca a tutela del diritto sancito dall’art. 2932 c.c. (e debba attendere il passaggio in giudicato della sentenza di trasferimento della proprietà) a fronte del soccombente che si gioverebbe della lunghezza del giudizio per eccepire l’intervenuta usucapione del fondo”.

Entrambi i motivi sono, quindi, infondati e vanno respinti.

5. – Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato

6. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il giudicato, in particolare per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 3600 c.p.c., n. 4.

Il ricorrente incidentale lamenta la mancata pronuncia sulla domanda di liquidazione di interessi e rivalutazione (fino alla pubblicazione della sentenza di appello) sulla somma dovuta a titolo di danno da occupazione illegittima.

Senonchè l’odierna parte ricorrente incidentale, dopo aver esplicitato di aver richiesto tanto con l’atto di citazione in sede di rinvio, nulla specifica adeguatamente al fine di poter far individuare se la medesima domanda era già stata tempestivamente posta in precedenza.

Il ricorso incidentale, per tale mancanza di specificità, non può, quindi, essere accolto e va dichiarato inammissibile.

7. – Le spese vanno compensate stante la reciproca soccombenza.

8. – Sussistono i presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali, che di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto -rispettivamente- per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali che di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto – rispettivamente – per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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